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'Moro: i 55 giorni che cambiarono l''Italia'

Proprio a Roma, nei giorni in cui riemerge il verminaio delle trame, il monologo teatrale di Ulderico Pesce ricompone il mosaico del mistero italiano più importante

'Moro: i 55 giorni che cambiarono l''Italia'
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4 Dicembre 2014 - 22.29


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di Lucilla
Chiodi e Margherita Furlan

. 

«Chi, non disponendo che dei dati divulgati
dai mezzi d”informazione, vuole fare un”analisi dell”affaire Moro, non
solo deve scernere il poco grano dal tanto loglio, ma deve far tabula rasa
di quella specie di pregiudizio autodenigratorio che non riconosce come
italiano tutto ciò che è preciso, puntuale, efficiente. (…)

Personalmente, debbo e voglio essere più
cauto. E tenermi a questi due punti: primo, che l”efficienza delle Brigate
Rosse è italiana, tipicamente analoga ad altra più conosciuta e diffusa efficienza;
secondo, che l”azione delle Brigate Rosse non è avulsa dal contesto politico
italiano e che in esso giuoca in un senso ancora imprecisato, ancora ambiguo:
ma, è da presumere, non imprecisato e non ambiguo per chi le muove».

Così scriveva Leonardo Sciascia nel 1978, quando – a soli due mesi dall”omicidio di
Aldo Moro – diede alle stampe un
libretto intitolato “L”Affaire
Moro”
mettendo in ordine i passaggi-chiave di quel che è stato lo
spartiacque del dopoguerra italiano.

A riportare l”attenzione sulla vicenda –
ritornata agli onori della cronaca con la recente riapertura del caso a seguito
delle dichiarazioni del magistrato Ferdinando
Imposimato
– è l”intenso monologo di Ulderico
Pesce
“Moro: i 55 giorni che
cambiarono l”Italia”
, in scena dal 2 al 14 dicembre al Teatro Lo Spazio di
Roma. L”autore lucano tratteggia la storia
partendo da una prospettiva diversa:
quella delle famiglie dei ragazzi della scorta – i primi a cadere sulla scena
di via Fani, i primi a essere dimenticati – con un lutto mai completamente
elaborato.

Sul palco Ulderico Pesce è Ciro Iozzino,
fratello di quel Raffaele Iozzino passato alle cronache come l”unico membro
della scorta che riuscì ad esplodere dei colpi di pistola contro il commando
che rapì Aldo Moro. Dopo l”assassinio del fratello, nei giorni ancora convulsi
del rapimento, Ciro parte – ancora adolescente – alla volta di Roma, alla
ricerca di quel giudice cui le indagini sarebbero dovute essere affidate fin da
subito, ma che invece poté seguire il caso solo otto giorni dopo l”omicidio di
Moro. Qualcuno, infatti, aveva violato il codice di procedura penale e aveva scelto
di demandare il caso all’UCIGOS (
Ufficio centrale
per le investigazioni generali e per le operazioni speciali) sotto la guida
dell’allora
ministro dell’Interno, Francesco Cossiga.

«In Italia è meglio non sognare. Se vuoi sognare,
studia e poi costruisci». Con queste parole Imposimato accoglie Ciro, al quale
fa intravedere un intreccio di corruttela e misteri, come quelli nascosti nelle
tre borse di Moro mai più rinvenute.

Il monologo si trasforma presto in
un’affannosa quanto impossibile ricerca
della verità
, nella quale tutti i tasselli vanno a comporre un complesso
mosaico in cui lo statista democristiano appare come la vittima designata di un sistema che ne ha decretato l”eliminazione
fisica dallo scenario politico italiano.

Su una scena scarna, composta solo da
carcasse vuote di vecchi apparecchi Mivar che ormai non trasmettono più nulla,
Pesce solleva un lenzuolo bianco sul quale viene proiettato un intervento-video
di Ferdinando Imposimato che sembra spezzare per un attimo la finzione scenica,
aiutando a chiarire quanto e perché l”operato
di Moro
fosse inviso a molti, anche
all’interno del partito. Le parole del giudice aprono così scenari inquietanti, in cui le ingerenze
da parte dei servizi segreti
d”oltreoceano
, nonché importanti omissioni
da parte di figure chiave della DC, come Giulio
Andreotti
e Cossiga, concorrono
a delineare un progetto ben preciso su cui, ad oggi, gravano ancora pesanti
interrogativi.

Il 16 marzo 1978 è una data chiave della
storia della prima repubblica italiana. In quel giorno, Gherardo Nucci, un
carrozziere che abita vicino a Via Fani, scatta le fotografie della sparatoria con tutti i presenti e consegna il
rullino con regolare verbale di protocollo alla Procura della Repubblica di
Roma. Il giorno dopo sparisce il rullino.

Dalle 8,33 alle 9,45 della mattina c’è un’interruzione di tutte le conversazioni
telefoniche
.

Un giornalista di Radio Città Futura, Renzo
Rossellini, alle 8,30 annuncia il rapimento di Moro, avvenuto alle 9,01 (poi dichiarò
che si trattò di semplice intuizione) ma le registrazioni radio che l’UCIGOS è
tenuto ad archiviare sono bloccate dalle 8,20 alle 9,12. Chi ha voluto proteggere la fuga dei
terroristi?

Alle 9,01 sul luogo del rapimento di Aldo Moro
e della strage della scorta è presente Camillo
Guglielmi, colonello del SISMI e addestratore di Gladio
, struttura para
militare segreta (testimoniò che – già a quell’ora – stava andando a pranzo dal
generale Armando D’Ambrosio, il quale si apprestò a negare l’incontro). Presso
la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, in Sardegna, era l’uomo che insegnava ai
“gladiatori” le tecniche dell’imboscata [1].

Pierluigi
Ravasio
,
anche lui del SISMI, dichiarò che Camillo Guglielmi ricevette una telefonata da
Pietro Musumeci – capo dei servizi
segreti italiani dell’epoca, arrestato per avere depistato le indagini sulla
strage di Bologna – che lo avvertì di recarsi in Via Fani, dove vennero
rinvenuti 93 bossoli di proiettile, 49 dei quali provenienti da una pistola
mitragliatrice di grosso calibro e ad altissima precisione denominata FNA 43 e
mai utilizzata dai terroristi, né mai rinvenuta nei loro covi. Molte testimonianze
affermano la presenza di una moto Honda blu di grossa cilindrata. Imposimato
sospetta la presenza sull’Honda di Giustino De Buono, tiratore scelto di Gladio.

Ulderico Pesce, che del teatro civile ha
fatto una missione oltre che la propria cifra stilistica da ormai vent”anni,
opera qui un”autentica battaglia per ristabilire la verità storica, facendo
proprie le istanze di verità del giudice Imposimato, secondo il quale i veri
mandanti dell”omicidio furono l”allora Ministro dell”Interno Cossiga e parte
della DC, con il sostegno dei servizi segreti americani. A testimoniarlo è il
ruolo chiave ricoperto da Steve
Pieczenik
[2],
funzionario del Dipartimento di Stato Usa ai tempi del sequestro e stretto collaboratore
di Cossiga, che in un suo brano – letto durante lo spettacolo – ha dichiarato
apertamente che dietro al sequestro e alla linea della fermezza portata avanti
dalla DC vi era un piano ben preciso atto a eliminare lo statista
democristiano, fautore del compromesso storico.

«Il mio sangue ricadrà su di voi» scrisse
lo statista in una delle sue ultime lettere, rivolgendo un durissimo atto
d”accusa nei confronti dei vertici del partito, destinato – purtroppo – a
cadere nel vuoto.

Il teatro di Pesce coltiva qui l”ambizione
di trasformarsi in un grimaldello in grado di scardinare le porte chiuse a
chiave del potere, dietro le quali si celano ancora molte risposte. A chiudere
il monologo è l”invito a firmare una petizione per desecretare tutti i
documenti relativi all”affaire Moro
: un gesto non solo simbolico ma
concreto per restituire al Paese un pezzo di verità su una vicenda dai contorni
ancora oscuri.

NOTE


[1] Sergio Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni 1993

[2] Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro, Cooper 2008,
Libro-intervista a Steve Pieczenik.

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