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Gelli, i lingotti d'oro e il Caso Moro…

'Dopo aver visto i ''coccodrilli'' di giornali e Tv, notiamo quante cose siano state dimenticate, perfino divertenti da rievocare. [Aldo Giannuli]'

Gelli, i lingotti d'oro e il Caso Moro…
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17 Dicembre 2015 - 22.43


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di Aldo Giannuli.


Come sempre capita, a botta calda non ti
ricordi di cose che sai e magari sono interessanti, poi ieri avevo
interesse a spostare l’attenzione sul fenomeno P2 da un punto di vista
politologico più che sul personaggio. Dopo aver visto i “coccodrilli” di
giornali e Tv, mi sono accorto di quante cose siano state dimenticate e
che forse può essere divertente rievocare.


Ad esempio la storia dell’oro
della banca centrale Jugoslava trafugato dagli italiani che, però, non
riuscivano a far arrivare in Italia, perché anche i tedeschi ci avevano
messo su gli occhi e volevano predarlo (begli alleati!). Gelli era a
Cattaro incaricato del recupero dell’oro ed ebbe una trovata che
risolse, almeno in parte, il problema: mise i lingotti sotto le traverse
di legno di un vagone, con tanto di bandiera gialla, che trasportava
soldati ammalati di tifo o altre malattie contagiose. I tedeschi (che
erano agli ordini di un ufficiale di nome Kurt Waldheim, futuro
presidente austriaco e Segretario Generale dell’Onu) non si avvicinarono
e l’oro arrivò in Italia.


Solo che non si capisce bene in che
misura e sembra che se “perse per strada” un terzo, che qualcuno pensò
trasferito in Argentina dallo stesso Gelli. Però circa mezzo secolo
dopo, ci fu uno strano episodio: nelle fioriere di villa Wanda, la
residenza di Gelli che, nel frattempo, era tornato in Italia, spuntarono
numerosi lingotti, che non si capì né da dove provenissero, né perché
stessero in quell’insolito nascondiglio. 

Facile saltare alle
conclusioni: erano quelli della banca jugoslava: facile ma molto
probabilmente ingannevole e che non risolve il problema del perché
stessero nelle fioriere. 

Il fatto è che Arezzo, con Vicenza è uno dei
due centri italiani per il trading dell’oro sia finanziario che fisico e
che esso è il principale business della Banca dell’Etruria. Per cui
potrebbe trattarsi di una partita diversa ed assai più recente, ma non
doveva trattarsi di una cosa regolarissima, se era nascosto in quel modo
(timore di una visita dei ladri o della GdF? Tappa intermedia di un
percorso un po’ clandestino? Vai a sapere…).


Poi c’è anche la storia dei trascorsi
gelliani  in periodo salotino. Come si sa Gelli era con la Rsi, federale
di Pistoia, però, e questo è stato accennato in diverse ricostruzioni,
impegnato in un pericoloso e disinvolto triplo gioco fra fascisti e
tedeschi, Alleati e partigiani (in particolare la brigata comandata da
Silvano Fedi “Pippo”, poi morto in circostanze non chiarissime). 

Una
storia complicata ed interessante su cui forse tornerò, ma questo è
stato accennato in diverse ricostruzioni di questi giorni. 

Quella che,
invece è passato senza menzione è stata la storia di Carla Costa,
ausiliaria che faceva parte del servizio segreto femminile formato e
guidato dal comandante David, le “volpi argentate” impiegate per
missioni “dietro le linee”. Fra esse c’era Carla Costa (la “volpe
argentata” per antonomasia) catturata dietro delazione il 22 ottobre
1944 nei pressi di Pistoia. La delazione venne attribuita ad un
personaggio milanese. Ma, sul finire degli anni settanta, si tornò a
parlare di quelle vicende nel quadro delle prime inchieste sulla P2 che
era ancora un oggetto misterioso. Sembra che Carla Costa abbia iniziato a
nutrire dubbi sulla reale fonte che l’aveva denunciata ed abbia
iniziato ad indagare negli ambienti dei reduci della Rsi, ma la sua
inchiesta privata non ebbe esito perché, l’11 ottobre 1980 venne trovata
asfissiata nell’abitacolo della sua auto collegato, con un tubo di
gomma, allo scappamento. Suicidio. Sul quale Giorgio Pisanò si dimostrò
assai dubbioso.


Un terzo capitolo dimenticato è quello
dell’Ompam (Organizzazione Mondiale per l’Assistenza Massonica), un
vasto sodalizio che Gelli stava cercando di formare, con appoggi in
Italia, Argentina ed Usa.  Il tentativo fallì per il susseguirsi di una
serie di scandali iniziati con una inchiesta sui sequestri di persona
che investì personaggi del clan dei marsigliesi, fra cui Alberto
Bergamelli che, all’arresto, proclamò “siamo protetti da un grande
famiglia internazionale) ed il giudice che indagava, Pierluigi Occorsio
iniziò a sospettare che i proventi dei rapimenti (fra cui quello di
Umberto Ortolani) finissero a finanziare la costituenda Ompam.


Il 10 luglio 1976 Vittorio Occorsio
cadeva sotto una raffica esplosa dall’ordinovista Pierluigi Concutelli,
(Occorsio aveva indagato anche sul Movimento Politico Ordine Nuovo che
rivendicò l’attentato). L’inchiesta finì su un binario morto, salvo
qualche ritorno di fiamma nel corso dell’inchiesta parlamentare guidata
da Tina Anselmi. Eppure la pista meriterebbe d’esser ripresa ancora
oggi: capiremmo molto di più sui “livelli superiori” alla P2 e forse
scopriremmo che Brenneke non vaneggiava quando parlava di P7.


E per concludere, il caso Moro. Tutti
hanno ricordato che il comitato di crisi allestito da Cossiga era
costituito quasi tutto da Piduisti, ma nessuno ha ricordato la pag 20 di
un aureo libretto che Adriano Sofri pubblicò nel 1991:


Non ricordo chi fossero gli
“esperti” che, alla prima comparsa delle lettere di Moro, si
affrettarono a dichiararlo affetto dalla sindrome di Stoccolma. Non so
se fossero dello stesso genere dei consulenti che si disse, occupavano
una stanza al Ministero della Marina Militare, durante il sequestro:
consulenti ufficiosi  che completavano i ranghi della P2… e che
avrebbero compreso un peritus peritorum chiamato affettuosamente “Micio
Micio”, all’anagrafe Licio Gelli.


Dunque:


a- oltre che il noto comitato del Viminale sarebbe esisto un secondo comitato di esperti presso il comando della Marina Militare


b- esso sarebbe stato parimenti composto
di piduisti (29 alti ufficiali di Marina erano affiliati alla P2 ed
inoltre di essa ne facevano parte anche Giovanni Pattumelli –direttore
della sezione Marina del Ministero della Difesa- e Salvatore Vagnoni
–direttore generale del personale della Marina-)


c- ad esso avrebbe preso parte anche
Licio Gelli in persona, di cui Sofri indica anche il “nome di copertura”
usato nell’occasione.


Queste notizie non sono mai state
smentite. E ci chiediamo quali fossero le mansioni di questo secondo
comitato e quali i rapporti con il primo, quale il ruolo che vi avrebbe
ricoperto Gelli, che attività avrebbe svolto, perché non se ne è mai
fatto menzione. Ricordiamo peraltro che la Marina è la più integrata nel
sistema Nato delle nostre tre armi avendo base a Bagnoli il comando
Nato per il Mediterraneo.


Sarebbe interessante che qualcuno riprendesse questo filo di discorso. E, per oggi, basta.

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