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E’ soprattutto a ragazzi come Giuseppe Di Fini che Pino Maniaci deve rendere conto. Ragazzi che si sentono feriti e che guardano la propria terra con un senso di sfiducia e disillusione.
Di fronte alla granitica ordinanza del Gip di Palermo, non può che prevalere un senso di profonda amarezza, ma anche di rabbia nel vedere con quanta leggerezza si possa utilizzare una sorta di “potere†per il proprio tornaconto. “… a me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi – dice Maniaci al telefono – quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci! Ormai tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione… si fa come dico io e basta, decido io, non loro, loro devono fare quello che dico io, se no se ne vanno a casa!â€.
Al di là del suo solito stile, a dir poco irriverente, sono parole che pesano. Parole che minano alle fondamenta l’impegno civile di Telejato basato sul volontariato. Un impegno che ha attirato giovani da tutto il mondo. Che noi stessi abbiamo sostenuto ogni qualvolta veniva messo in pericolo da minacce di morte (vere), o anche da pericolosi tentativi di spegnere questa piccola ma combattiva televisione antimafia.
Un’emittente che abbiamo imparato a conoscere attraverso i sacrifici della moglie di Pino e dei suoi figli, tra cui Letizia (che con la sua telecamera ha dimostrato sempre di possedere le doti del coraggio e dell’umiltà ), che hanno letteralmente dato l’anima per far sopravvivere quella “voce liberaâ€.
Il direttore di Telejato dovrà chiarire ogni ombra per riscattare la sua storia contrassegnata indubbiamente da importanti inchieste antimafia. Oggi, però, le intercettazioni delle sue menzogne sulla reale natura dell’atto intimidatorio che ha causato la morte dei suoi due cani, i riferimenti alle sue richieste estorsive, così come la sua tracotanza in merito ai premi ricevuti da utilizzare a mo’ di paravento, lasciano un effettivo senso di vuoto dentro il quale cercheranno di gettare l’intera antimafia. Che, però, non può essere ristretta alle miserie umane di chi, in buona o cattiva fede, non intende rendersi conto che sta maneggiando qualcosa di estremamente delicato per la quale in molti hanno pagato con la vita.
La lotta alla mafia – ce lo insegna chi ci ha preceduto – ha bisogno di persone libere, oneste, al di fuori da logiche di potere. Persone capaci di trasformare un ideale in un concreto impegno quotidiano che unisca e non divida. Il rischio del delirio di onnipotenza è sempre dietro l’angolo, solamente attraverso un lavoro trasparente – che tenga conto della richiesta di giustizia dei familiari di tutte le vittime di mafia – lo si può combattere. Ed è proprio per il rispetto nei confronti di chi ha perso un familiare per mano mafiosa che non ci si può permettere di infangare una battaglia che, mai come in questo momento, vede la realizzazione di un vero e proprio “tutti contro tutti†a beneficio della mafia stessa e di quei sistemi criminali di cui fa parte. E’ evidente che in questo “gioco al massacro†coloro che seguiteranno a screditare l’antimafia tutta intera si moltiplicheranno come formiche. Ma questa non è una novità . Nel frattempo abbiamo il dovere morale di continuare, uniti, una battaglia di civiltà contro la mafia. Lo dobbiamo fare, soprattutto adesso, per evitare che la disillusione di ragazzi come Giuseppe si trasformi in rassegnazione. Se questo dovesse accadere non avremo giustificazioni.
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Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/60143-una-grave-ferita-da-sanare.html.
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