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Tunisia, snodo della pace

La strage di Tunisi ha un obiettivo chiaro: far fallire la Tunisia, il suo turismo, il suo modello politico. Ora: toglier soldi alla guerra, investire in Tunisia.

Tunisia, snodo della pace
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19 Marzo 2015 - 22.59


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di Pierluigi Fagan.

Gilles
Kepel è uno dei massimi e più lucidi orientalisti. Rispetto al suo articolo di
commento ai fatti tunisini uscito
 su Repubblica,
sentiamo però di dover fare qualche aggiunta. L’attentato tunisino ha un obiettivo chiaro: far fallire la Tunisia.

Per
farlo, si stringe un cappio intorno all’unica arteria che porta sangue
all’asfittica economia del paese: il turismo.

E’
chiaro che da oggi, si cancellano tutte le prenotazioni estive, si cancella il
paese dai tour, si stacca l’unico condotto che porta denaro dentro il paese
(20% del Pil) e ci si domanderà anche quanto è opportuno tenere in piedi joint-venture e maestranze occidentali, in loco.

Perché
farlo?

Perché
così di destabilizza l’unica forma, per quanto incerta, di diverso sistema
politico oltre quello dominante l’Islam (nella doppia versione élite militare o
élite politica, entrambe più o meno islamizzate ed islamizzanti),
un’alternativa che va in direzione esattamente opposta al progetto di “Stato
islamico”. Altresì per metter sotto pressione al-Nahda.
Al-Nahda è un partito politico islamista che, per quanto provenga dalle stesse
radici ideologiche (S.Qutb, al-Mawdudi) degli islamo-totalitaristi, rifiuta la
violenza, la costituzione basata solo sulla Shari’a ed accetta la presenza politica
pluri-partitica di tipo democratico. Quanto abbia sposato questa linea per
realismo politico stante l’attuale fase politica tunisina o quanto ne sia
profondamente e definitivamente convinta, è da vedere. Comunque, al-Nahda è
risultato il secondo partito politico tunisino alle elezioni dello scorso
ottobre ed è probabile che ci sia chi voglia condizionarne l’autonomia
politica, mettendo in tensione il contesto in cui opera.

Si
segnala infine, il grande significato simbolico che avrebbe una Tunisia in via di islamizzazione.
Abbiamo già segnalato a suo tempo ammassi di jihadisti al confine
libico-tunisino, con l’intenzione di coinvolgere la Tunisia nella nuova ondata
di jihad interna al mondo arabo-islamico. In Tunisia c’è la moschea di ‘Uqba (Qayrawan) che è la più antica dell’Africa (690),
uno dei luoghi santi più importanti dell’islam ed un simbolo della rapida e
vincente conquista omayyade che fa da modello a quell’utopia
retrospettiva
 dei
tempi d’oro (il termine è del prof. Massimo Campanini) che gli
islamo-totalitaristi hanno come proprio paradigma progettuale.

A
suo tempo, la Tunisia divenne il centro-base dell’inarrestabile espansione califfale
 in tutto il Maghreb.

Com”è ormai noto, Il progetto
islamo-totalitarista
 ha
grande cura del registro
simbolico
, e ha un gran bisogno di riprendere la propria “inarrestabile” storia di successi visto che in Iraq sembra scontare una
inarrestabile storia di insuccessi (da Kobane a Tikrit), la questione Siria è
in stallo e forse prossima a venire a patti con Bashar al-Assad e se gli USA
effettivamente dovessero sdoganare l’Iran, si metterebbe molto male per il
progetto “Iddio vuole lo stato islamico sunnita (hanbalita o meglio wahhabita)
per tutti”. Ci si domanda allora: chi c’è dietro questi fatti? Chi tiene
davanti a sé lo spartito complesso di una strategia così ampia ed articolata?

C’è
un solo indirizzo a cui rivolgersi: citofonare
Riyad
.

Per i più
interventisti, per gli occidentali che non resistono a rimaner con le mani in
mano mentre il jihad giunge alle coste del Mediterraneo, si consiglia di
evitare con cura ogni velleità di intervento militare (basta uno scadente
manuale di strategia militare per capire che la guerra asimmetrica di truppe
scoperte contro cellule al coperto è destinata a fallire prima d’iniziare) e di prendere tutti i soldi che
s’intendono investire per armare l’Europa dell’Est
 contro un “nemico” che in realtà
sarebbe ben felice di sottoscrivere trattati di libero scambio (energia vs
tecnologia) e bombardare di
investimenti
 la Tunisia, di
modo che nuova occupazione, giustizia sociale, progetti e futuro desertifichino le condizioni di
possibilità per il progetto islamo-totalitarista
 e magari ci mostrino la via della
necessaria, reciproca convivenza, in un mondo sempre più complesso.


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