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Da oggi in libreria il libro di Massimo Ciancimino e Francesco La Licata
di Silvia Cordella – 7 aprile 2010
E” la storia di don Vito Calogero Ciancimino raccontata attraverso gli occhi di suo figlio in una Palermo spregiudicata e perduta, in un misto di speculazioni affaristiche e clientelismo strisciante.
Sono gli anni ruggenti della mafia di Bontade e poi ancora quella di Riina e Provenzano a caratterizzare i ricordi del quarto figlio dell”ex sindaco di Palermo riassunti in un libro, “Don Vito” (Feltrinelli), scritto a quattro mani con Francesco La Licata e il contributo puntuale del primogenito di casa Ciancimino: suo fratello Giovanni. Quaranta lunghi anni di rapporti tra mafia e politica che trova ospitalità e approvazione nel quartier generale di don Vito, la sua camera da letto, dove l”ex sindaco detiene quattro linee telefoniche per parlare con i suoi collaboratori e referenti politici più affini. Una sola di queste rimane attiva anche la notte.
È quella riservata a Provenzano, Lima, i ministri Gioia e Ruffini, l”on. Gorgone, Enzo Zanghì e l”eterna eminenza grigia dei Servizi, il Sig. Franco, che non lascerà mai solo, nemmeno negli anni a venire, l”ultimo dei maschi Ciancimino.
Con una massiccia dose d”incoscienza, quasi di distacco, Massimo racconta così il suo passato in una famiglia profondamente divisa dalle gesta di un padre padrone, accentratore assoluto del suo stesso potere, incapace per questo di concedere affetto ai suoi figli e di rendere felice sua moglie, spesso tradita dalle sue tresche clandestine. Situazioni paradossali, a volte anche curiose, vissute all”interno delle mura domestiche che coinvolgono il privilegiato gotha mafioso più vicino a Provenzano. Quel capo di cosa nostra che Massimo conosce come Ingegner Lo Verde. Un uomo che spesso va a trovare il padre a Baida, nella casa al mare dei nonni materni, di cui riconosce l”identità osservando un identikit pubblicato su “Epoca”.
Una scoperta inconfessabile che Massimo è costretto a portare con sé per il resto della vita. Quando chiede spiegazioni al suo vecchio, lui lapidario gli risponde: “Ricordati che non è concesso sbagliare. Da queste cose non ti posso proteggere nemmeno io”. Don Vito teme il carattere irrefrenabile di suo figlio. Conosce il suo temperamento vivace e la sua prontezza di lingua e ha paura che Massimo per vantarsi, in una città dove i picciotti si atteggiano a piccoli boss e dove tutti decantano amicizie inconfessabili, metta in serio pericolo la sua stessa vita.
Un rapporto eternamente conflittuale quello fra i due: il padre fortemente contrario a ostentare le proprie ricchezze, il figlio spregiudicatamente amante della bella vita. Per questo don Vito frena le sue bizzarre iniziative punendolo con lezioni esemplari una volta ristretto per giorni in un ripostiglio pieno di vestiti e scarpe maleodoranti, una volta bloccato con 19 metri di catena ai piedi dentro casa. Alla fine “baffo”, così come i suoi figli lo chiamano di nascosto, decide per Massimo un destino diverso da quello concesso a tutti gli altri. Lo fa diventare il suo accompagnatore fidato, trasformandolo inevitabilmente in un testimone privilegiato di fatti tra i più inquietanti che hanno caratterizzato il passato della nostra Repubblica.
Dal rapporto con l”affabile signor Franco, a quello con i mafiosi e i carabinieri del Ros, per giungere a quel cordone che da sempre ha legato indissolubilmente don Vito alla madre di tutti i partiti, la Democrazia Cristiana.
Tra affari e strategie tessute immancabilmente dietro grosse speculazioni di fondi pubblici, don Vito è quel personaggio che garantisce a tutti un”equa assegnazione di ricchezze, compiacendo gli appetiti degli alleati politici e dei padrini di Cosa Nostra, sempre presenti alla spartizione degli appalti.
Il “Sistema Ciancimino” è uno status che, nei limiti del possibile, definisce le linee di una convivenza pacifica fra mafia e politica, rivelando i suoi momenti di crisi solo in presenza di rappresentanti istituzionali liberi dai vincoli di corruzione. Sullo sfondo di questa altalenante stabilità si consuma negli anni Ottanta la mattanza dei servitori più validi e fedeli dello stato italiano e di quei referenti esterni alla mafia che non hanno saputo mantenere le promesse.
Omicidi che si fondono in un congiunto programma di morte tra vendetta criminale e preventive volontà esterne alla mafia per fermare verità indicibili su personaggi insospettabili. Piani costantemente accondiscesi dalla provvidenziale presenza dell”ing. Lo Verde – Provenzano e dal sig. Franco, l”eterno suggeritore di Vito Ciancimino fin dai primi anni Settanta, dal tempo del tentato golpe di Junio Valerio Borghese.
Un rapporto, si concede Massimo nel libro, che potrebbe trovare origine nello sbarco degli americani in Sicilia quando al nonno Giovanni, forte del suo precedente espatrio in America, fu offerto il ruolo d”interprete del comando alleato. A casa dell”ex sindaco s”incrementarono così una serie di attività riguardanti strade, acquedotti, trasporti. Improvvise fortune partirono alla volta di Zurigo, Milano, Montreal, con passaggi di denaro e investimenti che passarono nelle mani di Salvatore Buscemi, Franco Bonura, Michael Pozza, Giuseppe Bono, Roberto Calvi e all”interno dei conti dello Ior, ed ancora in quelle dei conti Vaselli e Cassina, coinvolgendo le società immobiliari milanesi di Francesco Paolo Alamia e Marcello Dell”Utri, attraverso il quale anche Bontade e Teresi investirono tre miliardi di lire per la costruzione di Milano 2.
Proprio questi, secondo quanto racconta Massimo Ciancimino, sarebbero i legami che consentono a Marcello Dell”Utri di sostituire il padre negli equilibri fra mafia, politica e imprenditoria consolidati all”ombra della Trattativa tra Stato e Cosa Nostra. E, per quanto Dell”Utri non gli piacesse, don Vito tutto ciò lo comprese bene. Lui che aveva trattato con lo Stato per fermare la strategia stragista, facendo arrestare Riina, sapeva di non essere in grado di rappresentare il nuovo soggetto politico che stava per affacciarsi alla seconda Repubblica.
Nel libro proprio questa parte è analiticamente descritta da pensieri e rancori di un uomo di potere consapevole di essere stato “eliminato” e tradito dai suoi più fedeli compagni di viaggio: Binnu e il sig. Franco, che optarono per il nuovo referente di Forza Italia. Da lì la “trappola” per la richiesta del passaporto che causò l”arresto di “baffo”, poi i sette anni di detenzione a Rebibbia e gli ultimi due ai domiciliari.
La morte di Don Vito arriva inaspettata a novembre del 2002. Ma, come ricalcando la scena di un thriller, l”eminenza grigia non tarderà a comparire anche nella nuova vita di suo figlio. Il biglietto di condoglianze di Provenzano recapitato a Massimo Ciancimino al cimitero dei Cappuccini dall”uomo dei servizi è il segnale che quella reciproca vicinanza, come aveva pensato suo padre, era effettivamente consolidata e diretta. Il sig. Franco monitorizzava in carcere lo “stato d”animo” di don Vito, ora invece controllava lo stato generale intorno a suo figlio. A turbarlo vi erano le inchieste avviate dal contenuto dei pizzini di Giuffrè, poi di Provenzano, riguardanti la società del Gas in cui Ciancimino padre deteneva le sue quote occulte.
L”intento, in cui Mister X riusciva benissimo, era quello di scongiurare provvedimenti pesanti da parte della magistratura. Le condizioni erano sempre le stesse: bisognava starsene “calmi e zitti”, soprattutto sulla vicenda della “Trattativa”. Per questo nel 2005, con l”indagine sulla Gas a carico dell”erede dell”ex sindaco, misteriosamente le sue casseforti di Roma e Palermo non vengono perquisite dei carabinieri, concedendo al padrone di casa di nascondere presso una società di Hong Kong alcuni documenti li custoditi, tra cui il famigerato “papello” di Riina, la cui esistenza era sempre stata negata dal Capitano De Donno e dal Generale Mori. L”intervento del signor Franco e dei suoi emissari, erano stati provvidenziali.
Dando ampia prova delle loro immense facoltà  avevano inoltre mantenuto “sottocoperta” altre prove di altissima rilevanza recuperate dagli ufficiali, come la lettera di minacce a Dell”Utri e Berlusconi e una sim di Massimo in cui era registrato il numero telefonico del signor Franco. Documenti che (tranne per il numero sapientemente cancellato dalla rubrica), sono stati rinvenuti solo l”anno scorso dopo la denuncia di Ciancimino jr. ai sostituti della Procura di Palermo Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Una scelta, maturata nell”ultima turbolenta tappa della sua romanzesca avventura, descritta nel libro in modo particolarmente toccante, con l”esperienza traumatizzante del carcere e la sensazione dell”azzeramento di ogni dignità umana.
Un passato indelebile della sua vita che, insieme all”amore per suo figlio e sua moglie, ha costituito il suo punto di forza in un percorso di cambiamento, realizzando che il potere a cui si ispirava suo padre era frutto di un inganno che non può essere condiviso.
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Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia nel racconto di un testimone d”eccezione
Tratto da: antimafiaduemila.com
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