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L'Islam e la modernità

'Un estratto da "L''Islam e la modernità", il pamphlet di Slavoj Žižek, in questi giorni in libreria per le edizioni Ponte alle Grazie. [Alfabeta2]'

L'Islam e la modernità
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26 Febbraio 2015 - 15.59


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di Slavoj Zizek

Pubblichiamo un estratto da L”Islam e la modernità, il pamphlet in questi giorni in libreria per le edizioni Ponte alle Grazie. In queste pagine il filosofo di Lubiana ci rivela una verità che è sotto i nostri occhi ma non abbiamo il coraggio di cogliere. Una realtà in cui il fondamentalismo religioso e il liberalismo sono le due facce di una stessa medaglia, in cui jihadisti invasati e dall’aspetto truce, decapitatori, stupratori, genocidi, che sembrano prelevati da un passato mitico e crudele, invece speculano in borsa, sono esperti di informatica e usano le immagini con una maestria che fa impallidire il più consumato regista di Hollywood: in una parola sono i figli ripudiati della modernità. [b][url”Alfabeta2″]http://www.alfabeta2.it/[/url][/b]

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È un’osservazione di senso comune che lo Stato Islamico sia solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di risvegli anticoloniali (stiamo assistendo alla riconfigurazione dei confini tracciati arbitrariamente dalle grandi potenze dopo la Prima guerra mondiale), e allo stesso tempo un nuovo capitolo della resistenza ai tentativi del capitale globale di minare il potere degli Stati-nazione. A provocare tanto timore e sgomento è invece un altro tratto del regime dello Stato Islamico: le dichiarazioni delle autorità dell’IS indicano chiaramente che, a loro giudizio, l’obiettivo principale del potere statale non è il benessere della popolazione (sanità, lotta alla denutrizione ecc.) – ciò che realmente conta è la vita religiosa, che ogni aspetto della vita pubblica si conformi ai precetti religiosi.

È per questo che l’IS rimane più o meno indifferente alle catastrofi umanitarie che avvengono all’interno dei suoi confini – il suo motto è «occupati della religione e il benessere provvederà a sé stesso». Qui appare lo scarto tra l’idea di potere praticato dall’IS e il concetto, occidentale e moderno, di «biopotere», di potere che regola la vita: il califfato dell’IS rifiuta totalmente la nozione di biopotere.

Ciò dimostra che l’IS è un fenomeno premoderno, un disperato tentativo di rimettere indietro le lancette del progresso storico? Qui l’ironia è che, malgrado i fondamentalisti islamici individuino la svolta negativa dell’Occidente nella secolarizzazione della società incarnata dalla Rivoluzione francese, è anche possibile sostenere che, per quanto attiene alla loro forma organizzativa, «i jihadisti dell’IS non sono medievali, ma plasmati dalla filosofia occidentale moderna». In questo senso, se vogliamo cogliere la fonte dell’ideologia e della violenza dello Stato Islamico, dobbiamo rivolgerci alla Francia rivoluzionaria: secondo il filosofo indo-pakistano Abu l-A’la Maududi, inventore dell’espressione «Stato Islamico», la Rivoluzione francese prometteva uno «Stato fondato su un insieme di principi», contrariamente a quello basato sulle idee di nazione o di popolo. Per Maududi questo potenziale inaridì in Francia; per la sua realizzazione si sarebbe dovuto attendere uno Stato islamico. Nella Francia rivoluzionaria, è lo Stato che crea i propri cittadini, e a niente dovrebbe essere consentito di porsi tra il cittadino e lo Stato. (…) Questo cittadino universale, separato dalla comunità, dalla nazione o dalla storia, è al centro della visione di Maududi della «cittadinanza nell’Islam». (…) [1]

Nonostante ci sia un grano di verità in questo commento, la sua tesi di base è profondamente problematica. Non solo perché richiama troppo da vicino l’atteggiamento politicamente corretto e autoaccusatorio tipico degli occidentali («Se qualcosa di orribile accade nel Terzo mondo, dev’essere in qualchemodo un effetto del (neo)colonialismo…»), ma anche perché il parallelo tra l’IS e la Rivoluzione francese è puramente formale, come quando si pretende di far passare il nazismo e lo stalinismo come due versioni dello stesso «totalitarismo»: le analogie tra due insiemi di misure oppressive estreme offusca non solo il loro diverso contenuto sociale e ideologico, ma anche la loro differente funzione (per esempio, nel nazismo non c’è nulla di assimilabile alle purghe staliniste). Il momento di verità è insito nel fatto che ilmotivo religioso della completa subordinazione dell’uomo a Dio (presente non solo nell’Islam), lungi dal sostenere di necessità una prospettiva di asservimento e sottomissione, può sostenere anche un progetto di emancipazione universale, come accade in Pietre miliari di Sayyid Qutb, opera che sviluppa il legame tra la libertà umana universale e la servitù dell’uomo a Dio:

Solo una società in cui la sovranità appartiene esclusivamente ad Allah e trova espressione nella sua obbedienza alla Legge Divina, dove ogni individuo è affrancato dalla servitù verso il prossimo, solo questa società assapora la vera libertà. Solo questa è una «civiltà umana», perché la base della civilizzazione umana è la completa e autentica libertà di ogni persona e la piena dignità di ogni individuo nella comunità. D’altro canto, in una società in cui alcuni legiferano come signori e altri obbediscono come schiavi non c’è libertà nel vero senso del termine, né dignità per l’individuo. (…) [2]

Qutb immagina quindi la libertà universale (anche sociale ed economica), ossia l’assenza di qualsiasi padrone: la sottomissione a Dio è la garanzia negativa del rifiuto di ogni altro padrone (terreno, umano) – o, volendo radicalizzare questo asserto, il solo contenuto positivo della subordinazione a Dio è il rifiuto di qualsiasi padrone terreno. (Per inciso, vediamo operare questa stessa logica nella difesa del mercato da parte di Hayek: «Hayek sostiene che il male sorge dalla tirannia della dipendenza personale, dalla sottomissione di un individuo all’arbitrio di un altro individuo. Si può uscire da questo stato di subordinazione solo se ogni membro della società si sottopone volontariamente a un governo astratto, impersonale, universale, assolutamente trascendente» [3].

Il Dio di Qutb e il mercato di Hayek svolgono perciò una medesima funzione: garantire la libertà personale). Si noti, tuttavia, l’assenza sintomatica di un termine in questa serie di proprietà naturali dell’essere umano: non possiamo cambiare colore, razza o nazionalità, ma nemmeno genere; per quale ragione, allora, una società libera non dovrebbe prevedere l’uguaglianza tra uomo e donna? Dettagli come questo testimoniano dell’abisso che separa irrimediabilmente il programma teocratico di Qutb dal processo di emancipazione che si è svolto in Occidente, in cui l’instaurazione dell’uguaglianza formale doveva dipendere esclusivamente dalla sovranità del popolo, senza la garanzia di una figura del grande Altro.

La resistenza al capitalismo globale non può ricevere impulso dal recupero di tradizioni premoderne, dalla difesa di forme di vita particolari – per il semplice motivo che un ritorno alle tradizioni premoderne è impossibile, considerato che la resistenza alla globalizzazione presuppone l’esistenza della globalizzazione stessa: chi si oppone alla globalizzazione in nome delle tradizioni che essa starebbe minacciando lo fa in una forma che è già moderna, parla già il linguaggio della modernità.

(24 febbraio 2015)

NOTE

[1] Cit. in:

[url”http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/sep/09/isis-jihadi-shaped-by-modern-westernphilosophy”]http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/sep/09/isis-jihadi-shaped-by-modern-westernphilosophy[/url], NdR.

[2] Cit. in: [url”http://unisetca.ipower.com/qutb/”]http://unisetca.ipower.com/qutb/[/url], NdR.

[3] Jean-Pierre Dupuy, Economy and the Future, Michigan State University Press, East Lansing 2014, p. 81 [traduzione di L’Avenir de l’économie: sortir de l’écomystification, Flammarion, Paris, 2012]

[url”Link articolo”]http://www.alfabeta2.it/2015/02/24/lislam-e-la-modernita/[/url]

Slavoj Zizek, L”Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme, Traduzione di Carlo Salzani, Ponte alle Grazie (2015), pp. 94, € 9,00.

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