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Il cervello aumentato, l'uomo diminuito

Cervello, società e potere: qualche nota sul nuovo libro di Miguel Benasayag. [Paolo Bartolini]

Il cervello aumentato, l'uomo diminuito
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27 Gennaio 2016 - 21.17


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di Paolo Bartolini

È di recente pubblicazione uno degli ultimi lavori del filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag. [i][url”Il cervello aumentato, l’uomo diminuito”]http://www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?ItemId=41335[/url][/i], esce per le Edizioni Erickson e si presenta come un tassello fondamentale per ripensare le sfide della complessità al crocevia tra neuroscienze, politica e antropologia.

L’autore riesce ad annodare fra loro le derive dell’attuale economia di mercato e le evoluzioni (involuzioni?) delle tecnologie digitali che ci stanno portando, a tutta velocità, in un altro mondo dove le struttura miste (organismi-macchine) perdono ogni rapporto con i fini umani per vivere una specie di vita propria. Quando ci interroghiamo sul dominio capitalistico e sugli ibridi da esso prodotti – fermo restando che tutti i collettivi umani generano ibridi che evidenziano l’inscindibilità dei falsi opposti natura/cultura – dovremmo riflettere maggiormente sull’influsso che le logiche del potere esercitano sulla nostra mente e persino sui circuiti cerebrali del nostro cervello. Quest’ultimo, ricorda Benasayag, viene scolpito dalle esperienze di vita.

Non esiste dunque un essere umano uguale all’altro, sebbene la cultura di appartenenza orienti da subito le traiettorie di sviluppo dei singoli e li metta in forma in modi peculiari. Il punto critico è il seguente: la digitalizzazione estrema della cultura, più che scolpire il cervello umano (cervello che non è mai separato, a se stante, ma sempre parte di un corpo connesso all’ambiente in un accoppiamento strutturale che co-evolve nel tempo), tende a produrre superfici lisce, a semplificare fino all’estremo la complessità psichica e neurofisiologica, imponendo la logica del codice binario proprio dell’informazione elettronica. Può così scrivere l’autore:

«Se ogni pratica modifica il cervello in un corpo, la pratica che si restringe all’informazione meramente codificata modifica di meno e in modo non radicato; le informazioni, in questo senso, non saranno conoscenze che scolpiscano il cervello ma conoscenze che, semplicemente e sempre di più, circolano nel cervello. Ogni volta più separato dal corpo, dalla sua fonte principale di conoscenza e pensiero, il cervello si trasforma così, a poco a poco, in una lastra di gestione di informazioni che non modellano il cervello perché non passano per il corpo» (p. 72).

A questo dobbiamo aggiungere la sollecitazione costante dei meccanismi fisiologici di stimolo-risposta: il consumo compulsivo – anche di “beni immateriali” come quelli diffusi dai mass media e dalle nuove tecnologie – produce a livello cerebrale un’attivazione cronica dei circuiti di ricompensa dopaminergici. Ecco dunque che il piacere si riduce al suo stato più elementare e ripetibile, precipitando facilmente in dipendenza.

La complessità crescente dello scenario-mondo nelle sue interconnessioni economiche, tecnologiche ed ecologiche suscita, in gran parte dell’umanità (soprattutto quella meno avvertita e critica), una ricerca ansiosa di semplificazioni che possano placare l’angoscia per il futuro – inteso ormai come minaccia, secondo la tesi di Benasayag già espressa nel famoso “L’epoca delle passioni tristi”.

In tal senso il potere, non insuperabile ma ancora insuperato, del sistema in cui viviamo e che chiamiamo capitalismo spettacolare integrato, risulta distruttivo e vincente perché unisce nel suo agire automatico le seguenti operazioni: separazione e frammentazione sociale e psichica; produzione di una pletora di informazioni che presuppongono un soggetto ricevente “liscio”, disabituato all’esperienza come vissuto corporeo e coinvolgimento esistenziale; ripetizione continua del suo principio implicito: l’accumulazione quantitativa e la semplificazione del calcolo razionale che ad essa si associa.

Il libro di Benasayag illumina questo circolo vizioso e lo fa senza scadere nella tecnofobia, promuovendo piuttosto una critica consapevole del mutamento antropologico avviato dalla rivoluzione informatica. Noi lo consigliamo a tutti, perché senza comprendere a fondo il passaggio epocale che stiamo attraversando non si potrà dare limiti alla dismisura del nostro tempo.

(27 gennaio 2016)

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