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Un nuovo modo di stare al mondo

Il ponte: ovvero come si esce dalla società di mercato? [Pier Luigi Fagan]

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21 Settembre 2013 - 14.13


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di Pier Luigi Fagan

La società capitalistica o di mercato è quel tipo di società che ha scelto di farsi ordinare dall’economia e da un tipo di economia basata sulla circolazione del capitale.

K. Marx ben individuò la seconda caratteristica ed individuò anche la prima. Ma di questa prima, il modo economico determina tutto l’articolato sociale sia strutturale sia sovrastrutturale ne fece una legge newtoniana, cioè vera da sempre, per sempre e nell’ovunque.

K. Polanyi portò invece un altro contributo, proprio su questa prima affermazione, quella relativa al fatto che sono i modi economici a determinare la società. Secondo Polanyi ed i suoi studi di antropologia economica, non è stato sempre vero, anzi non lo è stato mai precedentemente, che l’economia dominasse le forme sociali. Altrove ed in altri tempi, si notano società in cui il fatto economico, dalla produzione della sussistenza allo scambio, è “compreso” nella società. Il fatto economico è stato, altrove e nel passato, vincolato (embedded) alle forme sociali altrimenti determinate mentre la nostra società è la prima che pone l’economia svincolata (disembedded) dall’ordito sociale. Non ne è determinata, ma lo determina. Questo significa “società ordinata dall’economia”, una società che ha preso il sistema economico, lo ha svincolato dall’ordito sociale e lo ha posto come ordinatore di se stessa.

Questa “scelta” è stata determinata dal particolare tipo di economia (economia ordinata dalla accumulazione e circolazione del capitale, dal mercato) o da altro?

Non vi è quasi alcuna caratteristica delle tante che compongono ciò che chiamiamo capitalismo che possa essere isolata dalle altre e che di essa si possa dire che è una esclusiva della forma moderna e che da sola determina l’intero sistema.

Ciò porta a quella babele di analisi e definizioni sul termine “capitalismo” che va da Proudhon a Ricardo, da Weber a Braudel, da Sombart a Marx, da Keynes a Veblen, da Schumpeter a Polanyi, dalla scuola liberale anglosassone a quello austro-tedesca, da quella socialista alla moderna versione cinese e potremmo continuare. Ciò fa supporre che si stia guardando nel posto sbagliato. Che cioè la forma economica di cui parliamo non è autodeterminata ma è a sua volta determinata, non ha un drive specifico ed a lei interno che la spiega, ma è spiegata da qualcosa che non è nella sua forma “economica”. Che non è un sistema fisso ma una forma altamente adattativa che si trasforma nello spazio e nel tempo.

Se ciò fosse vero, significherebbe che non è immaginando una altra forma economica che possiamo trovare una exit strategy dal suo dominio, possiamo immaginare certo una diversa forma economica ma non è disegnando questo progetto che creiamo l’alternativa. Meglio, se poniamo in parallelo confronto la forma moderna detta capitalismo e la forma nuova detta “xyz”, ci si pone il problema del ponte, di ciò che dall’una ci possa portare all’altra. Inoltre, almeno su questo, non va sottovalutato il pessimismo di Hayek relativo al fatto noi si sia capaci – ex ante- di disegnare la complessa ingegneria organica di un sistema adattativo di tipo economico. In effetti, il capitalismo risulta una prassi, non un progetto che troviamo espresso organicamente in un libro.

Marx ci disse che questa forma non si chiamava capitalismo (termine da lui usato raramente, forse una volta sola ed in una corrispondenza) ma modo di produzione borghese. Questa forma era il dominio di una classe ristretta su tutte le altre, era una forma sociale che esprimeva la forma economica non il contrario. In termini politici aristotelici si potrebbe riformulare lo schema dell’analisi marxiana dicendo che erano i Pochi a dominare su i Molti. Ma così espressa non abbiamo una legge della modernità ma una legge valida da circa 6-7000 anni, da quando le società umane da semplici divennero complesse.

I Pochi sono stati nel tempo: i maschi, gli anziani, una etnia specifica, i militari, i sacerdoti, i capi politici carismatici, i ricchi, gli aristocratici (capi militari o ricchi o di una etnia, con tradizioni ed ereditarietà), i possessori dei mezzi di produzione, i banchieri, una civiltà, uno stato nazione etc.. Nel secolo scorso, questa legge è stata riformulata nei termini, sostituendo a Pochi: [i]élite[/i].

La moderna teoria delle élite è una riformulazione della più generale legge dei Pochi e dei Molti espressa da Aristotele nella Politica, legge che Aristotele certo traeva dalla sua contemporaneità greca ma che per essere “legge”, doveva essersi verificata nel tempo ed in molti luoghi come ad Aristotele doveva esser ben noto avendo sicuramene letto Erodoto e non solo.

Possiamo allora domandarci: come fece la borghesia a prendere il potere derivato dall’esercizio della funzione di dare ordine e comando che nelle società complesse spetta quasi in forma “naturale”, alle élite? Quando e dove la borghesia prese il potere ? Questa è una domanda precisa ed ha, per fortuna, una risposta altrettanto precisa.

Per la risposta dobbiamo tralasciare fatti storici in genere molto cari al pensiero di sinistra come la Rivoluzione industriale o la Rivoluzione francese e concentrarci su un fatto storico precedente invece molto caro ai liberali che sono in effetti, coloro ai quali guardare se si vuole capire come funziona il loro sistema, quello tutt’ora in auge.

Questa fatto fu l’accoppiata data dalla Rivoluzione inglese fatta di una prima Guerra civile (1642-1651) e da una seconda Gloriosa rivoluzione (nome posticcio applicato dalla storiografia whig a quello che fu un semplice colpo di stato) che si compì poco dopo nel 1688-89. La borghesia (definizione problematica poiché a quei tempi c’era tanta borghesia, quanto un certo tipo di aristocrazia, élite ecclesiastica e militare) sovvertì il sistema monarchico con un principio politico: il parlamento composto da élite e votato da un pubblico di riferimento.

Questo pubblico di riferimento era la basa allargata della composizione sociale di questa stessa élite. Questo pubblico sceglieva chi delegare per il compito legislativo (esecutivo, giudiziario) stante il fatto che il mandato era la protezione e lo sviluppo degli interessi di questo pubblico allargato. Una più ampia élite sociale, votava e delegava su un preciso mandato, una élite politica. L’oggetto di questo mandato era l’affermazione del primato dell’economia (di un certo tipo di economia) sulla religione, sulla tradizione, sulla politica stessa (interna ed estera) e su ogni altra forma di strutturazione sociale e culturale.

Fu l’intera sequenza legislativa del parlamento inglese e poi britannico che permise l’affermazione e lo sviluppo di ciò che chiamiamo capitalismo. Non era la semplice ed accessoria “camera d’affari della borghesia”, era ciò che faceva in modo che l’economia si sviluppasse in un dato modo ed in base al suo successo di ordine sociale fosse legittimata per i più al ruolo di ordinatore sociale, diventando modello guida per tutti gli altri stati moderni.

Questa forma, venne successivamente allargata socialmente a partire dal XIX secolo e divenne la moderna democrazia parlamentare a suffragio universale che è un sistema che propriamente con il termine “democrazia”, c’entra assai poco. Il trasferimento logico di – potere del popolo – o – autogoverno del popolo – dal sistema partecipativo non delegato a quello rappresentativo delegato fu giustificata in base alla lampante impossibilità di fare di un moderno stato nazione basato su decine di milioni di individui, una Atene con Pnice ed agorà.

In più, la gente non aveva più tutto quel tempo dato dalla libertà offerta dallo sfruttamento degli schiavi, la gente per essere libera, lavorava (ironia usata dai nazisti come messaggio di benvenuto a molti lager nella forma “Arbeit macht frei”) e non aveva certo il tempo di perdersi in chiacchere. Per non essere schiava o servile, era salariata. Il tempo diventava denaro e il denaro era ciò che ordinava il mondo.

Il tutto può esser visto come un circuito cibernetico. La società è ordinata dal lavoro, dalla produzione, dallo scambio, dall’accumulazione ed impiego di ricchezza, per funzionare sempre meglio, delega un gruppo di esperti (le élites) a gestire il potere al fine di creare sempre più occasioni di lavoro, produzione, scambio, accumulazione ed impiego di ricchezza. Senza la regia delle élite fatta di leggi, scelte, politiche, investimenti, esercite e guerre, collusioni con il mondo banco-finanziario, dominio di una certa cultura, il capitalismo semplicemente non esisterebbe.

Il sistema ordina tutta la società, la sua élite sociale è quella che invariabilmente ed in molti modi ha la preminenza nella scelta delle élite rappresentative che poi controlla in vari modi, diretti ed indiretti. Non c’è da forzare le relazioni neanche più di tanto, perché dal momento che il benessere per tutta la società proviene dal fatto che l’economia funzioni bene, questo imperativo categorico sarà spontaneamente introiettato da tutti, dallo sfruttato e dallo sfruttatore, dalla società minuta come dalla sua élite, dal rappresentato come dal rappresentante, dal tecnico come dal politico. Un coro greco di intellettuali e formatori di opinione sacerdotali, accompagnerà la celebrazione dei riti collettivi del lavoro, del consumo, della crescita, dell’accumulazione e dell’investimento per un sempre nuovo giro di giostra. Il titolo della rappresentazione sarà: la ”società di mercato“.

Da ciò consegue che il sistema parlamentare rappresentativo (da leggere nella duplice asserzione di ”basato sulla delega” e “producente una rappresentazione sociale” che è l’ordine della società, il suo regolamento) è quel ponte che permise di passare da un sistema sociale aristocratico-monarchico con una economia ancora embedded a certe forme sociali ad un nuovo sistema sociale orientato da élite della ricchezza immerse in una società ordinata da quelle stessa economia che le determinava e continua a determinarle.

Per creare una nuova transizione dall’attuale sistema a qualsivoglia altro, bisogna modificare quel ponte. Molti sistemi complessi quale è ad esempio la società moderna, sono dipendenti dal percorso (path dependance). Ciò significa che c’è una ben precisa e determinata sequenza di scelte che fatte, portano sempre ad un ben preciso e determinato esito e non possono portare ad un altro. Queste scelte formano e riproducono continuamente l’attuale forma di società.

Esse vanno dalla mancanza di tempo per pensare, alla mancanza di occasioni per discutere ed apprendere dagli altri, dalla mancanza di informazioni sensibili, all’overdose di informazioni superflue se non palesemente false. Dalla frantumazione delle capacità cognitive spinte ad osservare porzioni di mondo sempre più piccole nelle quali si prende una specializzazione sempre più ottusa alla diffusione della credenza che esista un primato tecnico degli specialisti della Mega-macchina.

Il senso della Mega-macchina sarà esclusiva di Pochi ed i Molti dovranno delegare a questi, il compito di gestione per manifesta ed ammessa incompetenza. Il mandato di delega sarà impreciso e non vincolante poiché solo le élite avranno la possibilità di compiere le scelte che non possono essere pre-determinate e pre-specificate poiché variabili alle occasioni e troppo complesse. Inoltre molte cose sarà meglio non saperle perché l’esercizio del potere implica sempre quegli arcana imperii che sopportano solo gli stomaci forti dei più cinici realisti.

Tutti gli altri, i Molti, dovranno rimanere in un limbo di ideali, di forme platoniche pure che si disputeranno il primato della verità in un circo inconcludente e chiassoso in cui gli intellettuali formeranno le specifiche élite. Ognuno a capo di una inconsistente teoria platonizzante del giusto, del buono e del bello che non ha alcuna pratica attinenza con le forme reali del mondo.

Le elezioni saranno dei beauty-contest in cui si sceglie a “sensazione e simpatia”. Il sistema è fatto non solo per reiterare ab aeternum le sue forme ma per escludere in via di principio vi possa essere una alternativa anche perché tutti guardano alle forme economiche dal cui funzionamento tutti dipendono e pochi si accorgono di quelle politiche, culturali, sociali. Questo è il percorso da disarticolare in ogni suo punto, altrimenti l’esito sarà sempre lo stesso ed una élite subentrerà all’altra ma mai i Molti ai Pochi.

La legge ferrea dell’oligarchia quale:

Il mondo fu sempre ad un modo abitato da uomini, che hanno avuto sempre le medesime passioni, e sempre fu chi serve e chi comanda, e chi serve mal volentieri, e chi serve volentieri, e chi si ribella ed è ripreso. (da Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, N. Machiavelli, 1502)

può esser spezzata. Ma la strada deve riorientarsi dalle forme economiche alle forme politiche. Dal “più lavoro” al “più tempo libero retribuito”. Dall’ignoranza alla conoscenza. Dal trionfo del particolare alla coltivazione del generale. Dalla lotta di classe contro la borghesia (vattelapesca come definita) alla lotta dei Molti contro i Pochi. Dall’oligarchia travestita di consenso, alla democrazia in prima persona. Dall’eteronomia, all’autonomia.

L’agente trasformatore del capitalismo non è né nella rivoluzione, né nelle riforme ma nel conquistare ed imporre progressivamente una forma di nuova democrazia permanente, diffusa e diretta il cui oggetto sia la duplice trasformazione da meno democrazia a sempre più democrazia (politica, economica, informativa, conoscitiva) e, coltivando sempre maggiori indici di pratica democratica, trasformare i concetti ottocenteschi di partito, di stato nazione, di economica di mercato, nel mentre si riduce progressivamente la distanza tra i Pochi ed i Molti.

Non ci servono molto i sospiri sognanti sul mondo che ci piacerebbe vivere, ci serve uno strumento per costruirlo, uno strumento a disposizione dell’unico soggetto che ha diritto a guidare una trasformazione sociale radicale e complessa: i Molti.

Questa potrebbe essere il senso di una rinnovata impresa comune, il ponte che ci serve per passare ad un nuovo modo di stare al mondo, il percorso della transizione. Questo modo nuovo ci serve con urgenza, non solo perché siamo stanchi del totalitarismo economicista e perché odiamo le sue ingiustizie, prima ancora, perché esso non funziona più. Il mondo è molto cambiato nell’ultimo secolo, dobbiamo cambiare anche noi, radicalmente e presto.

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