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La nascita definitiva

Un’intervista a padre Alberto Maggi a cura di Paolo Bartolini su morte e resurrezione, temi centrali del Cristianesimo e fulcro di tante riflessioni sul rinnovamento.

La nascita definitiva
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17 Novembre 2013 - 19.34


ATF

a
cura di Paolo Bartolini
.

1)
Ritengo che, al di là di qualsiasi evoluzione possibile
nell’interpretazione del Nuovo Testamento, i dogmi centrali del
Cristianesimo siano destinati a rimanere tre: l’Incarnazione, la
Trinità e la Resurrezione. L’impressione è che, per la maggior
parte dei credenti, l’ultimo rappresenti un punto nevralgico per
accogliere il messaggio di Cristo e farlo proprio. D’altronde la
questione è così delicata e controversa che anche San Paolo giunse
ad affermare in modo categorico: “Se Cristo non è risorto, la
nostra fede è vana”. Tu ripeti spesso che la vita eterna non
riguarda il
bios ma la zoè;
questo cosa comporta per coloro che sembrano cercare nella
resurrezione quasi esclusivamente la certezza di una sopravvivenza
individuale?

La
filosofia greca era la cultura dominante ai primi tempi del
Cristianesimo e ne ha profondamente intaccato il genuino messaggio.
Mentre Gesù ha parlato di risurrezione dei corpi, i Greci credevano
nell’immortalità delle anime, che con la morte della persona
tornavano nel luogo d’origine, i cieli. Purtroppo il messaggio
cristiano è stato inquinato da queste idee filosofiche estranee
all’insegnamento degli evangelisti. Nei Vangeli non si parla della
sopravvivenza di un’anima che si separa definitivamente dal corpo,
ma della continuità di vita della persona. “La vita non è tolta,
ma trasformata” recita il prefazio dell’eucaristia per i defunti,
uno dei testi più antichi di tutto il messale. È la vita stessa
della persona che, trasformata, continua verso una pienezza senza
fine. Noi siamo soliti contrapporre la vita e la morte, ma non è
esatto. C’è la nascita e poi la morte, entrambe tappe fondamentali
dell’unica vita che continua per sempre. Per questo la morte non è
una fine ma un inizio (i primi credenti la chiamavano “il giorno
natalizio”), essa non distrugge la persona ma ne libera tutte le
capacità d’amore che aveva racchiuse e che nel breve corso
dell’esistenza terrena non potevano affiorare. La morte non limita
la persona ma la potenzia, come il chicco di grano che una volta
caduto in terra trova le condizioni ideali per trasformarsi in spiga.

2)
Gesù Cristo, secondo il racconto dei Vangeli, risorge ma non rimane
come un immortale in mezzo ai suoi discepoli. La sua presenza tra gli
uomini prende invece la forma di una rinnovata capacità d’amare,
che moltiplica solidarietà, giustizia e condivisione con gli altri
(nella gioia e nel dolore). La comunione esprime al massimo grado
questa presenza vivificante. Se la mia premessa è corretta, pensi
che una comprensione solo simbolica e non letterale della
Resurrezione possa guadagnare, con il tempo, un suo spazio nel mondo
cristiano senza attirare scomuniche e facili accuse di eresia?

Tra
la comprensione “simbolica” e quella “letterale” della
Risurrezione del Cristo, c’è quella “reale”. Il messaggio
degli evangelisti, che non intendono trasmettere una cronaca ma una
verità di fede, è che Gesù Cristo è realmente risorto e continua
a vivere: Egli è il Vivente e il vivificante della comunità. Quanti
accolgono il suo messaggio e orientano la propria vita a servizio
degli altri sperimenteranno la presenza del Cristo nella loro
esistenza. L’esperienza del Risorto, infatti, non è un privilegio
concesso duemila anni fa a qualche centinaio di persone, ma una
possibilità per i credenti di tutti i tempi. Non è riservata ad
anime elette, ma a tutti coloro che saranno capaci di farsi pane,
alimento di vita per gli altri, come i primi discepoli che
riconobbero il Cristo “nello spezzare il pane”.

3)
Gesù ha opposto tenacemente, mediante il suo straordinario esempio
di vita, la fede autentica alla religione istituzionalizzata (qui
intesa come organizzazione gerarchica di riti, norme e credenze,
incline al potere e al controllo degli esseri umani mediante il
concetto di peccato). Non stupisce, allora, che secondo le parole
stesse del Vangelo nessuno abbia assistito direttamente all’atto
della resurrezione. Difatti, come ci ricorda lo psicoanalista Gaetano
Benedetti, la resurrezione non è, diversamente da altri eventi
attinenti alla vita di Gesù, un episodio che si ponga sul piano
comune dei fatti storici. Difatti, se lo fosse, all’uomo non si
chiederebbe alcun atto libero di fede e la Verità si imporrebbe a
tutti come evento mondano innegabile e inconfutabile. Qual è quindi,
rispetto alla resurrezione, il ruolo giocato dalla libertà umana
nell’adesione a questo mistero?

I
discepoli, paradossalmente, erano più delusi della risurrezione del
Cristo che della sua morte. Se Gesù era morto, voleva dire che si
erano sbagliati Messia, perché questi non poteva morire, e c’era
da attenderne un altro. Se invece Gesù era risorto voleva dire che i
sogni di gloria della restaurazione della monarchia d’Israele e del
suo dominio sui popoli pagani erano definitivamente tramontati.
Pertanto la risurrezione non è frutto di una speranza o di un’attesa
dei discepoli, ma l’esperienza di una comunità che si è ritrovata
vivo colui che avevano abbandonato cadavere su una croce. E se nessun
evangelista descrive la risurrezione di Gesù (l’immagine
tradizionale con il Cristo trionfante che esce dal sepolcro, con le
guardie tramortite, non è infatti nei vangeli ma in un testo
apocrifo, il “Vangelo di Pietro”), tutti indicano come poterlo
sperimentare risorto nella propria esistenza, attraverso la pratica
del messaggio di Gesù.

4)
Quando muoiono i nostri cari il dolore è qualche volta sordo, altre
straziante, comunque difficilmente sopportabile. Come ci insegna la
psicologia moderna nelle prime fasi l’elaborazione del lutto non
può prescindere da una dose massiccia di sofferenza, di rabbia e di
desiderio di riavere con noi chi se ne è andato. Cosa ti senti di
dire a chi attraversa questa esperienza di perdita e non riesce, per
indole o per cultura, a ritenere plausibile il messaggio tradizionale
che la Chiesa per secoli ha dato in merito alla Resurrezione?

Forse
occorre un poco rinfrescare il messaggio tradizionale. La
risurrezione non è alla fine dei tempi. Se quando muore una persona
cara per consolarci ci dicono che risusciterà, questo non solo non
ci è di conforto ma ci getta nella profonda disperazione. È ora che
ci manca la persona cara, che ci interessa riaverla alla fine dei
tempi quando anche noi a nostra volta saremo morti e risorti! Per
questo Gesù afferma che Dio non è dei morti ma dei vivi. Non un Dio
che risuscita i morti ma un Dio che ai vivi comunica la sua stessa
vita, e quando la vita procede da Dio, essa è indistruttibile. Per
questo la morte non è una nemica che ci strappa da questa vita, ma
come aveva intuito Francesco d’Assisi, “Sorella morte”, l’amica
che ci introduce nella dimensione piena e definitiva dell’esistenza.
Non si muore mai, si nasce due volte e la seconda è per sempre.

5)
Il monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh ritiene, in piena coerenza
con il messaggio originario del Buddha, che ciascun essere sia
immerso nella corrente della Vita e, dunque, sia soggetto ad una
metamorfosi continua. Una madre, un padre, un partner che non ci sono
più, in realtà hanno solo cambiato forma, perché in fondo nulla
nasce e nulla muore, bensì tutto diviene e si trasforma. I nostri
cari possiamo ritrovarli e accarezzarli nel vento, in un fiore, in un
raggio di sole, insomma nelle loro nuove manifestazioni. Come senti
queste parole alla luce della tua fede in Cristo risorto?

Vento,
fiori, raggi, tutto mi parla certamente di Dio che è in tutte le
cose, e chi ha occhi per vedere si accorge di essere inserito in un
oceano d’amore dove tutto è un riflesso dell’amore di Dio. Ma
noi con la morte non veniamo assorbiti in Dio, perché è Dio che è
venuto ad abitare in noi. Non torniamo “alla casa del Padre”,
perché il Padre è venuto ad abitare in noi, non andiamo in “cielo”
perché il cielo è dentro di noi e ha reso eterna, cioè
indistruttibile, la nostra vita.
L’amore,
con il quale il Padre ama i suoi figli, non ha limiti né scadenze e
la morte non lo interrompe, ma lo rende ancora più potente, perché
cadono le barriere che nell’uomo ostacolavano la ricezione di
questo amore. L’amore di Dio è eterno, come la vita che trasmette
agli uomini.
Pertanto,
no, non diventeremo raggi, vento o fiori, ma continueremo a essere
quel che siamo, quel che abbiamo vissuto e amato e collaboreremo
all’azione creatrice del Padre comunicando vita e amore.

6)
Questa è la parte più difficile da intendere, almeno per quanto mi
riguarda. Puoi aiutarmi a comprendere cosa intendi con “continueremo
a essere quel che siamo”? In che modo chi è morto sul piano
biologico continua a partecipare, come tu dici, all’azione
creatrice del Padre? Sai bene che questo punto solleva delicate
questioni sul piano intellettuale. Soprattutto: che forma avremo
assunto per agire insieme a Dio comunicando vita e amore?

La
vita dell”essere umano è una continua trasformazione, si muore
continuamente a quel che si è e si diviene nuovi, ci si trasforma
pur rimanendo gli stessi. Possiamo comprendere questo attraverso una
foto che ci ritrae da bambini. Certamente ci riconosciamo, siamo gli
stessi, ma di quel bambino che è stato fotografato in noi non c”è
più nulla… tutto si è mutato e trasformato, i capelli, la pelle,
le ossa, tutto… eppure siamo lo stesso essere di allora.

Con
la morte cӏ la trasformazione finale della propria esistenza, e al
deperimento del corpo si contrappone la crescita rigogliosa dello
spirito, come scrive Paolo ai Corinti: “Per questo non ci
scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo,
il nostro
[uomo] interiore si rinnova di giorno in
giorno”

Gli
autori del Nuovo Testamento hanno potuto esprimere questa verità
solo rifacendosi a immagini della natura, della semina, della
crescita e della trasformazione, come Giovanni che nel suo vangelo
parla del chicco che incontrando la terra sviluppa tutte le sue
energie, o Paolo che nella Prima Lettera ai Corinzi, trattando della
risurrezione scrive:

“Ciò
che tu semini non prende vita se prima non muore;

e
quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco
di grano o di altro genere: Dio gli darà un corpo come vuole, a
ciascun seme il proprio corpo.

Così anche la
risurrezione dei morti:

si
semina nella corruzione, si risorge nell” incorruttibilità;

si
semina nello squallore, si risorge nello splendore;

si
semina nell” infermità, si risorge nella potenza;

si
semina un corpo naturale , risorge un corpo spirituale
”

______________________________________________

Alberto
Maggi
, frate dell”Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle
Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e
all”École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme.
Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci»
(www.studibiblici.it) a
Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture
interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.
Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio; Versetti pericolosi; Chi non muore si rivede.
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