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Islam e complessità

Introduzione ad un piccolo studio sull’Islam. [Pierluigi Fagan]

Islam e complessità
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27 Gennaio 2015 - 11.56


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di Pierluigi Fagan

Come sa chi segue questo [url”blog”]https://pierluigifagan.wordpress.com/[/url], qui ci occupiamo di complessità. Riteniamo la complessità la sostanza propria dei tempi che ci è capitato in sorte di vivere. Questa complessità, creatasi già dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è andata a svilupparsi con la mondializzazione economico-finanziaria e giunge oggi a manifestarsi con più di sette miliardi di individui allacciati in numerose reti di interrelazione. Poiché questo dato non è transitorio e semmai dovrebbe aumentare la sua natura complessa nei tempi futuri, questo ci fa pensare di essere solo all’inizio di vera e propria nuova era, l’Era della Complessità.

Una dozzina di anni fa lessi avidamente un libro che s’intitolava “Lo scontro delle civiltà” di S. P. Huntington. Ricordo che lo trovai molto interessante, non tanto per la tesi ma per il problema che poneva, un problema nuovo, difficile, complesso:[i] l’interrelazione organica e continuata tra zolle di civiltà e culture nate e cresciute ognuna per conto proprio[/i]. Quella interrelazione sarebbe stata un incontro o uno scontro o qualche grado intermedio tra i due poli?

Quel problema è oggi “il” problema dell’attuale fase geopolitica e più in generale, del futuro complesso del pianeta. Siamo soliti leggerlo con l’occhiale economico, finanziario e valutario, o con quello dell’imperialismo o della crisi sistemica e siamo soliti leggerlo come Occidente vs Resto del Mondo. Con L’Islam però, quegli occhiali funzionano poco. L’Islam non è una definizione economica, finanziaria o valutaria sebbene al suo interno esistano certo questi aspetti. E’ stato a lungo colonia e di per sé non è imperialistico sebbene abbia una certa tendenza ad essere espansionistico. E’ certo un sistema ma diverso strutturalmente parlando sia da quello occidentale, sia da quello orientale. Si noti come questi due usino riferimenti geografici mentre l’Islam usa un riferimento religioso.

Quanto alla crisi, il discorso si fa complicato, per certo versi si potrebbe definirlo in tale condizione, per altri no. Dall’Africa occidentale a quella centro-orientale, dallo Yemen alla Siria, dalla Turchia al Kurdistan (iracheno, siriano, turco, iraniano), dall’Iraq all’Afghanistan, l’Islam è in conflitto armato e quindi una qualche crisi c’è.

Dalle Primavere arabe, allo Stato islamico, passando per l’agitazione che percorre il Pakistan a quel fuoco indomabile dell’instabilità perenne che è il quartetto Hamas, autorità Palestinese, Hezbollah, Israele, fino alle perduranti tensioni egiziane, la storia recentissima e contemporanea del sistema mostra senz’altro dinamiche critiche. Quelle che attraversano il concetto stesso di stato-nazione che non è un concetto coerente con la tradizione islamica, quelle che oppongono “popolo” (un popolo anagraficamente molto giovane e quindi “turbolento”) ad una classe dirigente spesso impresentabile e non all’altezza dei tempi (problema, quest’ultimo, che abbiamo anche noi), quelle che oppongono strutture tribali a strutture nazionali, quelle che sono state create dalle sistemazioni artificiali dei confini operate dai geografi coloniali al servizio di interessi geopolitici compulsivi, quelle infine della problematica modernizzazione che, pur essendo originaria dell’Occidente, oggi è acquisizione universale (vedi Cina o India), nonché esser parte della più ampia crisi del capitalismo planetario che mostra sinistri scricchiolii.

L’Occidente poi, impicciandosi sistematicamente dei loro eventi locali, disordina e turba le dinamiche che non possono così seguire il loro corso storico naturale.

Per altri versi però, gli islamici hanno un demografia sostenuta, mantengono una certa centralità nelle fonti energetiche e soprattutto crescono a vista d’occhio quanto a conquista di nuovi popoli e nella formazione di identità di quelli appena conquistati. La struttura stessa dell’Islam quanto a sua definizione propria che è quella religiosa, si può dire esser un sistema in stato critico ma non propriamente in crisi.

Per la parte nostra si può dire che della guerra in Siria, i più si sono accorti tardi e male. Qualche fremito distratto dal ferragosto-mondo-mio-non-ti-conosco, per il massacro di Gaza. Poi c’è stato un po’ di folklore intorno allo Stato Islamico. Infine, più di una dozzina di morti a Parigi, lo shock del terrorismo in casa, la minaccia ai fondamenti della civiltà, siamo in guerra!

Per restare sull’ultimo evento, si è sollevato un turbine di opinioni emotive, pre-giudizi (nel senso di giudizi a priori, per lo più infondati), posizioni sconnesse, tormentoni retorici, frasi fatte pronte all’uso, sdegno a buon mercato, ignoranza urlante e sentenziosità poggiata sul nulla più assoluto. Il fatto è che, In Italia, spesso e più che altrove, si nota una certa difficoltà a trovare qualcuno che minimamente sappia qualcosa di ciò di cui sta parlando. Questo qualcosa è l’Islam.

L’Islam e i musulmani ci possono piacere o anche no o anche risultare emotivamente indifferenti. Sta di fatto che sono 1.600.000.000 e crescono. Una buona rappresentanza del loro mondo, il cuore del loro sistema, lo abbiamo dirimpetto alla Grecia, appena un po’ diagonale rispetto all’Italia. Non proprio il cuore ma la sua prima corona esterna la abbiamo dirimpetta in Libia e Tunisia, poco ai lati Algeria ed Egitto, poco dietro, l’Africa. Abbiamo molti islamici nei Balcani e nel 2007, in Europa, erano 50 milioni. Oggi è probabile siano 60 di cui 20 nell’UE e 1,5 milioni in Italia, forse di più. Prima di discutere se incontrarci o scontrarci, sarebbe il caso di conoscersi. Il nostro “piccolo studio” parte con questa intenzione. Per dialogare, discutere o litigare occorre sapere prima su cosa e con chi lo si fa. In questa introduzione esporremo solo una tesi centrale, un inquadramento complessivo che fotografa lo stato dell’arte del rapporto tra Islam e complessità.

L’Islam è lo sviluppo storico di un sistema sociale, giuridico, politico ed etico-culturale ordinato da un credo religioso. Ordinato significa sia che dà l’ordine dei significati, sia che informa i significati stessi. Questo credo è centrato su un lungo discorso che Dio ha trasmesso al profeta Muhammad che lo ha trasmesso ai suoi seguaci e che, in seguito, è stato trascritto in un libro, il Corano.

L’insieme (parola di Dio – Profeta che l’ha trasmessa – Libro che la contiene) è un sistema chiuso dall’interno. Se si agisce criticamente sul Libro allora qualsiasi sua parte rischia di diventare opinabile, se si agisce criticamente sul Profeta crolla la credibilità sia di quanto riportato nel Libro, sia la presunta esistenza di Dio che a lui si è rivolto, se si agisce criticamente su Dio si mina direttamente il fondamento primo di tutto l’Islam. In ogni caso, si mina la struttura triangolare di tutto il sistema e con questa, vien giù tutto l’Islam: Libro, Profeta, Dio. Cioè la civiltà che su quella struttura si sostiene.

Ne consegue, una certa rigidità nella relazione con la struttura portante verso la quale nessuno, essendo parola diretta di Dio, può avere l’autorità di operare modifiche sostanziali. Gli occidentali fanno un po’ fatica a capire che il Corano non contiene profeti, apostoli, discorsi riferiti, esso è la trascrizione di un discorso fatto a gli uomini da Dio in persona.

Dentro questa rigidità, c’è comunque un certo margine di oscillazione, di possibile interpretazione anche se condizionata. “Condizionata” significa che l’interpretazione ha dei margini ma anche dei limiti ben precisi. Tali margini ristretti sono più possibili verso il Libro, molto meno sul Profeta, inesistenti su Dio. La stessa storia dell’Islam e la sua stessa plurale composizione attuale, testimonia di questo liberarsi di una certa molteplicità dentro questa unità fondativa. Ciò comporta che è sempre possibile operare interpretazioni del Libro, pur nei limiti imposti dalla sua struttura, anche “relativamente” eccentriche come quelle fondamentaliste, sebbene per ragioni sistemiche, la massa critica degli interpretanti l’Islam, i musulmani, tendano sempre verso un centro ideale, ciò che nell’Antichità tanto occidentale, quanto orientale, si diceva “giusto mezzo”. È la traiettoria di questa massa critica centrale a determinare lo stato espressivo culturale, sociale e politico dell’Islam storico.

Come però ben s’immagina, questa massa centrale che è il punto d’equilibrio dei vari modi di relazionarsi alla struttura triangolare ma soprattutto alla Scrittura, si muove molto lentamente, quando si muove. Non a caso, la vivacità della pluralizzazione islamica è inversamente proporzionale allo scorrere del tempo storico che, a sua volta, è inversamente proporzionale all’omogeneità e numero dei credenti.

L’Islam culturalmente più vivace fu quello dei primi tre-quattro secoli, quando il numero complessivo dei credenti era minore. Al crescere della complessità storica, sociale, politica, culturale, interna ed esterna, l’Islam tende a diventare più conservatore perché la maggior parte delle sue componenti tendono a riferirsi automaticamente alla tradizione (quindi al passato) che è l’unica interpretazione sicura in mancanza di un clero o di una strutturale apertura alla storicità.

Fuori della tradizione c’è solo la struttura triangolare che però, più passa il tempo, più denuncia la sua origine ben determinata, quella di un manipolo di tribù da poco sedentarizzate nelle oasi del deserto arabico di millequattrocento anni fa. Uscendo quindi dalla tradizione, non troviamo altro che una struttura piuttosto rigida, per certi versi universalistica ma per altri versi anacronistica, che può indurire ulteriormente il conservatorismo.

In questa dinamica principale, s’inserisce una dinamica secondaria che è il fondamentalismo. Il conservatorismo non è il fondamentalismo, sono due dinamiche diverse sebbene se non esistesse un conservatorismo non potrebbe esistere un fondamentalismo.

Il fondamentalismo è una interpretazione radicale, per certi versi rivoluzionaria in quanto sceglie un preciso taglio e vi si attiene senza distinguo. Come poi vedremo, il fondamentalismo si aggrappa ad alcune sure (capitoli) o forse solo ayat (versetti) del Libro che, non solo sono pochi nel totale complessivo della scrittura ma che potrebbero anche esser relativizzati da una ermeneutica appena sofisticata se non addirittura da una semplice critica testuale o anche sul piano di una pura logica realistica ammesso che essa possa qualcosa contro la parola di Dio in persona.

La stessa tradizione (si dice “tradizione” ciò che è stato fatto e detto dopo la morte del Profeta ed è più importante quanto più è vicina al 632, data della sua morte) che è certo più plurale ed ampia, offre solo piccoli appigli ed anche contradditori a chi sostiene la linea interpretativa fondamentalista.

C’è però un pericolo. La dinamica generale per la quale la media via tende a ricentrarsi sempre su se stessa e la propria tradizione, tradizione di un migliaio di anni fa, fa temere che l’Islam, a fronte della rapida dinamica di incremento della complessità – interna ed esterna – si condensi in forme sempre più conservatrici sino a bordeggiare gli stessi territori dei fondamentalisti.

I fondamentalisti di qualunque natura (quelli religiosi, come quelli economici, come quelli politici) sono i frutti indesiderati degli incrementi di complessità poiché offrono l’antidoto peggiore in sé ma apparentemente più logico: la semplificazione.

Più il mondo diventa complesso, più gli uomini sono smarriti ed ansiosi, più il fondamentalista ha successo come spacciatore di certezze che fungono da ansiolitico. Il conservatorismo occidentale si manifesta con l’incrollabile convinzione dell’eternità del nostro modo di stare al mondo, centrato su attività di produzione e scambio, favorite da un certo nostro dominio sul mondo. Il nostro fondamentalismo (neo-liberismo) giunge proprio quando questa certezza vacilla, dicendo che il sistema ha ora bisogno del nostro più intenso ed acritico sacrificio – attenersi ai fondamentali – o sarà l’inferno: il caos.

I fondamentalisti dell’Islam sono molto ma molto pochi mentre la media via che tende al conservatorismo ospita quei milioni di persone che poi fanno la sostanza del potere politico e della espressione culturale del sistema islamico. Se le pratiche e le idee dei pochi fondamentalisti dovessero arrivare a fondersi (magari perdendo appena un po’ di rigidità) con i grandi numeri del centro mediano, l’intero Islam diventerebbe la più rigida ed antitetica delle risposte all’incremento costante di complessità a cui saremo tutti, sempre più sottoposti. Questo potrebbe diventare un grosso problema.

Il nostro problema specifico non è il fondamentalismo che è un aspetto che ha origini giuridico – politiche e solo dopo, dottrinarie. Il nostro problema è analizzare la composizione e la logica di quel “giusto mezzo” che è l’Islam propriamente detto, inteso come massa critica. Quello è l’Islam propriamente detto e di quello ci interessa capire quali siano i rapporti che intrattiene la struttura del suo fondamento e della sua credenza con il concetto di complessità, vedere come ed in che modo si presenta sulla scena planetaria segnata dalla forma complessa. Come perviene a quel contatto ravvicinato con la civiltà occidentale e con quella orientale che ci pone il problema dell’incontro, dello scontro, della relazione reciproca. L’indagine intorno a questi temi, costituirà il nostro piccolo studio islamico, la cui pubblicazione a puntate potrà essere seguita sul [url”nostro sito”]https://pierluigifagan.wordpress.com/[/url].

(26 gennaio 2015) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]

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