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Alcune ipotesi sulla fase

'L''antagonismo per svilupparsi concretamente non può non tener conto di come si muove e di come è intrinsecamente l''avversario. [Infoaut]'

Alcune ipotesi sulla fase
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1 Luglio 2016 - 05.13


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da Infoaut

L”articolo propone alcune ipotesi di ragionamenti discusse e approfondite nei tavoli di discussione della 2 giorni, promossa da Infoaut, [url”À rebours – Per un movimento autonomo contro la guerra della crisi permanente”]http://www.infoaut.org/index.php/blog/target/item/17197-%C3%A0-rebours-per-un-movimento-autonomo-contro-la-guerra-della-crisi-permanente[/url], tenutasi in Val di Susa il 18 e 19 giugno scorsi.

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In questi anni si sono fatti sforzi importanti per costruire delle risposte concrete capaci di contrastare l”iniziativa capitalistica che mira continuamente a ridefinirsi globalmente e localmente. La crisi generale degli stessi processi di accumulazione che nei decenni scorsi si sono dati in accelerate forme di finanziarizzazione è stata governata con lo scopo di mantenere, anzi rafforzare, il dominio su miliardi di persone sempre più proletarizzate in processi di espropriazione e distruzione di risorse, di capacità, di possibilità. Si è trattato di una messa in atto di processi generalizzati che hanno avuto ricadute molto differenziati localmente e settorialmente, ma che convergevano sostanzialmente verso un unico è chiaro fine: rafforzare la dimensione capitalistica del dominio.

Ciò che si è dato, che si è cercato di costruire, che si è messo in campo come contrapposizione per una attivazione e ricomposizione di classe è importante, ma non sufficiente a modificare i rapporti di forza. L”iniziativa politica continua a rimanere saldamente in mano ai nostri avversari. Specie nel nostro paese sono mancate effettive contrapposizione sociali massificate. In altri invece stanno emergendo dei processi sociali di resistenza differenti che sembrano mobilitare, ora strati sociali differenti per aspettative e comportamenti, vedi i percorsi di lotta anche ricompositivi che si stanno dando in questi mesi in Francia, per la brexit inglese, o con molte più ambiguità in altri paesi dell’Unione [1]. In genere ma in particolare da noi sono mancate anche soggettività politiche capaci di misurarsi con questi problemi. Un gatto che si morde la coda avvitandosi sempre più su se stesso. Siamo di fronte a un dato di fatto che andrebbe analizzato, capito, compreso e poi affrontato in modo differente, con la consapevolezza che certe debolezze permarranno ancora per molto tempo, che le soluzioni non sono facili né immediatamente a portata di mano, ma che bisogna spingere per cambiare verso e ripartire sempre dalla necessità di produrre e ampliare i conflitti, di ricomporre e attivare una reale contrapposizione massificata. Il rompicapo è come si autodefinisce, si valorizza, si potenzia, si accumula una soggettività nella classe adeguata alle necessità di scontro e come, e in che rapporto la soggettività politica si muove, si colloca in questa dimensione allargata. Dobbiamo discutere di percorsi, di progettualità collettiva e dell”inadeguatezza di quanto c’è o siamo riusciti a costruire fino ad ora. Si diceva che non basta più una collocazione settoriale e locale, che non è sufficiente guardare soffermarsi e insistere solo sul “noi” e sull’immediato. Ci serve sempre anche uno sguardo capace di cogliere prospettive ampie e quindi pensare a progetti allargati anche e soprattutto di medio periodo. Ma allargamento ed estensione richiedono al contempo chiarezza, decisione, determinazione capacità di accumulare intelligenza e forza collettiva, uso strategico di questa. Passaggio dalla forma del coordinamento di situazioni alla forma dell’organizzazione di parte.

L”antagonismo per svilupparsi concretamente non può non tener conto di come si muove e di come è intrinsecamente l”avversario. Si osserva a ragion veduta che si è chiuso un lungo ciclo in cui il conflitto trovava le forme per autoriprodursi in contrapposizione, ma anche stimolato in una relazione con la soggettivazione capitalistica che portava entrambe le parti a contrapporsi e a combattere per modificare i rapporti di forza, ma ad aver necessità di questo conflitto, la contrapposizione vincolava ambedue diventava necessaria per procedere e costituirsi. Oggi sembra che questa dialettica si è rotta e che la soggettivazione capitalistica riesca e tenda a riprodursi più praticando contrapposizioni interne tra sue soggettività e tra macro aree economico territoriali (ridefinizione di nuovi neoimperialismi?). Eppure per contro è altrettanto vero che questi processi producono, oltre a grandi distruzioni e impoverimenti, un macro-proletariato globale che viene sottoposto a forme di espropriazione sempre più omogenee e generalizzate: in altri termini si definiscono condizioni oggettive da cui potrebbero scaturire inedite forme di contrapposizione.

Prevenzione e controllo: come si è affinata la regia istituzionale

Dobbiamo affrontare il problema di come la controparte interviene per prevenire, contenere o rendere inefficaci le forme del conflitto che nascono e si sviluppano nei territori e nel paese costruite da soggettività antagoniste e movimenti sociali. Si tratta di un nodo cruciale che condiziona fortemente la fase attuale nella quale le lotte, quando si danno, sono deboli o settoriali, limitate a dimensioni troppo soggettive o ristrette e non aprono e determinano quasi mai movimenti partecipati di massa, ne esprimono gli adeguati aspetti di contrapposizione e antagonismo che sarebbero necessari per modificare e ribaltare i rapporti di forza che permettono il dominio esercitato da istituzioni e sistema capitalistico. Il controllo politico e sociale riesce e può dispiegarsi con relativa facilità proprio per l”assenza di conflitti sostanziali e perché quando la contrapposizione si esprime non ha la possibilità di diffondersi, rimane troppo limitata, isolata è con queste peculiarità è facilmente prevedibile e quindi viene contenuta e governata. Si tratta di una debolezza che perdura e accresce da un lungo periodo: tempo in cui si sono accentuati processi di scomposizione, tempo in cui è in atto e subiamo una continua ridefinizione dei rapporti di forza tra le classi, ma anche tra inadeguate visioni e intenti progettuali.

La controparte oggi, proprio per via dei rapporti di forza esistenti a lei favorevoli, può permettersi di affrontare il problema del conflitto sociale soprattutto con interventi di prevenzione. Prevenzione che assume forme sia di contrasto che di contenimento. Gli organi istituzionali preposti a questo compito attuano due percorsi, apparentemente contraddittori, ma che garantiscono proprio perché usati con flessibilità risultati per loro sicuri. Sono agite consapevolmente e contemporaneamente: forme di contrasto e di attacco alle soggettività, ai movimenti e alle lotte là dove questi esprimono reali momenti e intenti di contrapposizione e di incompatibilità; proposte di mediazione, coinvolgimento e cooptazione là dove prevale la debolezza progettuale o emergono situazioni e volontà compromissorie. Lo scopo di questo agire istituzionale è evidente: costruire deliberatamente divisioni e diversità di trattamento per isolare i reali momenti di conflitto rendendoli estemporanei, impedendo così il loro riprodursi ed allargarsi. Depotenziare le soggettività, separarle, in qualche modo contrapporle facendo apparire irriproducibili e perdenti i percorsi di reale conflittualità e più forieri di risultati le pratiche di mediazione e contrattazione, fossero anche solo riconoscimenti formali o la sopravvivenza immediata. Ma lo scopo politico di queste risposte e fin troppo chiaro: governare le situazioni e impedire che si diano effettivi percorsi di radicamento, inserimento l”allargamento in ambiti sociali.

Il problema cruciale è come ci si sottrae e a questa forbice, cosa bisogna fare per impedirne che le forme di attacco istituzionale sottraggano le soggettività, impediscono loro di agire e di riprodursi nel conflitto sociale radicando proposte e percorsi di contrapposizione che sono gli unici in grado di raggiungere risultati effettivi, anche per le lotte che si pongono nella concretezza per ottenere miglioramenti temporanei delle condizioni di esistenza. Il nodo è come si tutelano realmente e si rendono riproducibili e vincenti gli aggregati e gli strati che scelgono la lotta come terreno di soggettivazione. Appare sempre più chiaro che non siamo di fronte a un problema ideologico o di principio ma a un nodo sostanziale che va affrontato con intelligenza e progettualità perché se si perpetuano inadeguatezze su questo il risultato che si ottiene diventa il contrario di quello che si dichiara e che si vuol perseguire [2]. L”isolamento, o la messa in condizione di non nuocere per le soggettività antagoniste è l”obiettivo primo perseguito attualmente dall’apparato istituzionale. E proprio per ottenere questo sradicamento che là dove il movimento e le soggettività sono più deboli e incerte la politica istituzionale mette in atto le trappole della mediazione e della cooptazione. Queste tendono nell”immediato a fomentare l”illusione di poter ottenere risultati rinunciando all”estensione e alla continuità della lotta mentre al contempo condizionano e trasformano le soggettività, convincendole a esaltare dimensioni di compromesso e di affermazione individuale o di piccolo gruppo.

Ci dobbiamo porre la questione che una soggettività antagonista collettiva deve essere in grado di estendere la propria presenza e diventare punto di riferimento anche per differenti percorsi di antagonismo e deve saper articolare una progettazione politica capace di stare e incidere su più piani. Abbiamo da estendere le nostre collocazioni in realtà sociali locali e qualificare rafforzando maggiormente le nostre attuali presenze in queste.

I percorsi di riaggregazione e di ricomposizione per la lotta devono mirare a essere intrinsecamente anti-istituzionali instaurando rapporti di forza specifici, perché qui il rapporto contro le istituzioni e il potere locale può essere vincente proprio accumulando determinazione e producendo forme organizzative di base e di massa che possono diventare continuative e sanno utilizzare, quando diventano possibili, percorsi di rottura sostanziale.

C”è poi un piano generale, che richiede di essere presenti nella dimensione nazionale, come momenti di proposta e di aggregazione per avere la capacità di diffondere e portare a compimento momenti di conflitto specifici. Sono processi e aggregazioni che quando si danno, avvengono per polarizzazioni, ricompongono e propongono comportamenti e ricomposizioni di strati di classe minoritari quantitativamente ma maggioritari qualitativamente.

Si tratta di percorsi che devono misurarsi con il problema di produrre il conflitto nelle metropoli e avere queste come poli trainanti. È la peculiarità del sistema capitalistico che ci impone come soggettività collettive antagoniste di misurarci per questi progetti, pur sapendo che sono percorsi che difficilmente possono dare risultati soddisfacenti nell”immediato. Al contempo si pone la necessità di costituire una forza politica che raccolga le potenzialità prodottesi da queste due dimensioni e le indirizzi in mobilizzazioni e campagne mirate a costituire forme di conflitto anti-istituzionali, capaci, pur con dimensioni minoritarie, di rappresentare momenti di accumulo di forza tali da rendere possibili rotture qualitative capaci di criticare e contrapporsi alla politica partitica e istituzionale. C”è poi un piano più alto, quello europeo occupato oggi da istituzioni tecnocratiche sovranazionali che ormai determina e condiziona le scelte istituzionali, sia locali che nazionali. È un terreno difficile da aggredire ma è un problema che va posto con intelligenza politica, sapendo indicare interessi e debolezze che si vanno sempre più definendo.

L”ultimo livello, più potente e decisivo, è quello delle soggettività capitalistiche che si sono assunte il compito del governo strategico globale. Si tratta di ambiti che determinano le scelte effettive poi attuati dalle forme istituzionali e imprenditoriali sottostanti nei diversi livelli prima descritti. Se appare chiaro che oggi questo è abbastanza irraggiungibile per le forme antagoniste, è altrettanto chiaro che gli si può sottrarre forza solo aggredendo e mettendo in crisi gli ambiti sottostanti. Il lavoro della contrapposizione non può quindi che rafforzare una ricomposizione a partire dai livelli inferiori della gerarchizzazione sistemica attuale. Ma non si tratta di proporre un nuovo gradualismo bensì pratiche di radicamento e militanza che mirano sempre a costruire intelligenza e forme organizzative collettive. Se quanto qui affermiamo è la dichiarazione di un fine e di un risultato da raggiungere, di tutt’altra problematicità sono i modi, i metodi e gli atteggiamenti che vanno messi in campo per tendere a questo: la linearità non potrà mai definire l’efficacia della progettualità politica che per essere adeguata deve necessariamente confrontarsi e convivere con molteplici problematicità che inevitabilmente scaturiscono da più ambiti, più livelli di realtà. L’adeguatezza dei passaggi non può che scaturire in una ridefinizione continua del procedere, capace di verificare anche ipotesi e pratiche diverse che si sappiano confrontarsi e misurarsi tra loro.

L’attenzione e il relazionarsi al processo è sempre l’aspetto fondamentale per definire l’adeguatezza della progettualità politica. Quello che deve essere chiaro è che questa progettualità non può essere perseguita come astrattezza, ma deve misurarsi nella realizzazione e nella proposizione di specifiche forme organizzative. Ragionare su quali di queste forme sono le più adeguate e necessarie, mettendo anche a confronto e a verifica esperienze e concezioni differenti, è fondamentale. Anche perché siamo e partiamo da uno stato di sicura insufficienza e inadeguatezza, che non può essere superato con la proposizione di sistemi predefiniti o agitando mere convinzioni ideologiche, forse rassicuranti per far sopravvivere l’esistente ma sempre più separate e inefficaci per affrontare le necessità che impone la realtà odierna.

Formarsi a nuove forme comunicative

Per il sistema attuale, sia nella sua specificità capitalistica che nella sua peculiarità istituzionale la comunicazione assume sempre un ruolo fondamentale: la valorizzazione, ma anche il controllo e alcune forme di dominio sono per molti aspetti affidati a processi comunicativi che alimentano reti organizzative strutturate come imprese e reti di imprese. La comunicazione è molto più elemento sostanziale nella valorizzazione e nell”accumulazione sistemica di quanto solitamente si è portati ad immaginare. Media mainstream, Internet, Facebook, Twitter sono solo una parte delle imprese che accrescono e valorizzano il capitale con la comunicazione, definendone processi di cui noi siamo sempre più diventati contemporaneamente attuatori e consumatori. Anche altri ambiti, soprattutto quelli organizzativi, definiscono processi comunicativi di fondamentale importanza per la riproduzione e la gerarchizzazione dell”attuale sistema. La comunicazione, le comunicazioni, definiscono flussi, ma ancor più processi necessari alle attuali forme di accumulazione e di definizione di rapporti di dominio. Constatata questa importanza diventa necessario pensare a come ci si rapporta a questa forza e potere dei processi comunicativi sistemici. Sempre nell”ottica della contrapposizione, vanno pensati e praticati dei contro-usi. Si può ipotizzare che alcuni di questi già avvengano spontaneamente da parte soprattutto di individualità che appartengono e anche si riconoscono nelle nuove condizioni di moderno proletariato. Ci sono inoltre già attivi degli strumenti comunicativi che utilizzano le reti per veicolare contenuti e punti di vista alternativi. Tutto il movimento degli hacker ha saputo occupare spazi, frequentare ambiti e costruire comunità. Si tratta in parte di aspetti contigui o frequentati dagli stessi movimenti e le soggettività antagoniste.

In specifico, sappiamo che oggi le possibilità di comunicazione sono sostanzialmente o prevalentemente in mano alla dimensione capitalistica, intesa come reti controllate e possedute da imprese capitalistiche che intervengono per favorire e definire le forme di comunicazione come forme di rappresentazione di dominio effettivo, anche se definito magari come flessibile, permissivo, aperto sia alle differenze sia alle preferenze dei consumatori/usufruitori. Queste imprese sono quelle che più si stanno confrontando e si inseriscono con i loro mezzi e i loro flussi all”interno della dimensione sociale, condizionando e trasformando comportamenti e abitudini di grandi masse di persone che sono anche messe a loro insaputa a valorizzare e attivare processi di accumulazione.

Altri aspetti che vanno considerati e compresi sono i rapporti che si instaurano tra lotte e mezzi di comunicazione capitalistici. Perché le prime non possono sottrarsi oggi più che mai all”influenza e alla distorsione che i mezzi di comunicazione impongono con la loro potenza e le intrinseche dimensioni manipolative, altrettanto vero che spesso proprio i mezzi di comunicazione mainstream sono gli unici che effettivamente diffondono informazioni sui conflitti che raggiungono persone e ambiti coinvolgibili, generando possibili contro-usi di queste. Le istituzioni sono consce di queste possibilità tanto che definiscono sempre più, per certi aspetti, forme e modi per prevenire o attenuare questi contro-processi.

Si dà allora, proprio per questa peculiare importanza, la necessità di incrementare la forza e la dimensione qualitativa della nostra comunicazione, oltre che a inventarsi e sperimentare altri usi e possibilità. Sono processi importanti per favorire forme di ricomposizione della contrapposizione sociale e le possibilità di sedimentazione di forme di conflitto e antagonismo.

Soggettività individuali e gruppi di soggetti devono porsi nella possibilità di sperimentare un contro-utilizzo delle reti sistemiche di comunicazione per veicolare punti di vista e posizioni proprie, per avviare processi di formazione e di costruzione di percorsi di alterità. Si tratta di sperimentare anche percorsi diversificati e con diverse valenze, capaci di confrontarsi e incidere su più aspetti della dimensione sociale; di misurarsi e incidere sulle realtà che vedono un uso di massa dei processi comunicativi e un uso di specifici gruppi e soggettività collettive.

Si tratta di dare forza a una dimensione progettuale capace di affrontare i molti aspetti del problema comunicativo. Pensiamo a migliorare gli strumenti che abbiamo nel tempo costruito. Lo sviluppo di Infoaut ha una grossa importanza, in futuro dobbiamo incrementare le forme di partecipazione, estendendo le collaborazioni alle soggettività individuali e collettive che danno vita a molteplici forme di contrapposizione e conflitto. Bisogna puntare anche su un incremento della qualità informativa, essere capaci di proporre maggiori approfondimenti di analisi e di riproposizione di lavoro politico.

Contemporaneamente, è necessario misurarsi sulla necessità di proporre un progetto comunicativo più ampio e diversificato, qualificato, capace di proporre un coinvolgimento e un uso della comunicazione come mezzo e strumento che tende a costruire differenze e alterità e, a partire da queste, aggregare e potenziare le possibilità di delegittimazione del sistema comunicativo delle istituzioni e del sistema dominante. Bisogna sempre più pensare a sistemi di comunicazione che sappiano trarre dalle realtà sociali le possibilità di usare e trasformare quanto da lì può emergere e raccoglierli in una prospettiva di aggregazione di possibilità e forza da contrapporre alla realtà sistemica.

C”è uno stretto rapporto tra forme comunicative e forme organizzative le une potenziano le altre e viceversa si tratta allora anche qui di pensare a più aspetti perché occorre dare vita a processi che sappiano potenziare le dimensioni formative e comunicative per la soggettività politica, per le soggettività che scaturiscono dalle lotte, per riaggregare singoli soggetti diffusi che proprio incontrando ed essendo attratti da nuove dimensioni comunicative possono maturare forme di interesse e di partecipazione allargata rendendo possibili diffusioni dei punti di vista, di idee, di comportamenti che oggi non siamo ancora in grado di raggiungere e consolidare.

Note

[1] Una riflessione andrebbe aperta su come risultano abbastanza difficili in questa fase i percorsi di ricomposizione di classe mentre al contempo le forme di resistenza che si intravvedono attingono risorse, motivazioni, radici più in alcune peculiarità caratteristiche di dimensioni nazionali che persistono anche contrastando o cercando di rallentare i processi di globalizzazione e di cedimento di sovranità e ruolo decisionale degli stati.

[2] In particolare va capito che è sempre perdente, considerando anche i rapporti di forza dati, proporre come soluzione all’insufficienza o all’inadeguatezza del conflitto sociale la mera contrapposizione tra soggettività antagonista e forze dell’ordine o apparato repressivo. Si tratta di una soluzione miope che si indirizza in un vicolo cieco, ma ancor più separa e annulla la possibilità di radicare le soggettività in contesti sociali ampi e così costruire una progettualità capace di estendere e rafforzare la contrapposizione. É il rapporto capitalistico che definisce e sceglie la forma di controllo istituzionale e la forma-stato e non viceversa.

(17 giugno 2016)

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