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Per una società diversamente ordinata

Una concezione adattativa della storia. [Pierluigi Fagan]

Per una società diversamente ordinata
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4 Marzo 2017 - 07.59


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di Pierluigi Fagan

Con questo ultimo articolo di taglio storico-filosofico[1], si chiude una ideale trilogia di cui abbiamo già pubblicato una [url”prima”]http://pierluigifagan.wordpress.com/2017/01/31/dalla-globalizzazione-alla-geopolitica-come-le-nazioni-dominanti-si-adattano-allera-complessa/[/url] ed una [url”seconda parte”]http://pierluigifagan.wordpress.com/2017/02/13/geopolitica-delleuropa/[/url]. La tesi generale che abbiamo più ampiamente trattato nel nostro “Verso un mondo multipolare” (Fazi editore, 2017) è che siamo entrati in una nuova era, l’era complessa. La geopolitica ovvero la dinamica politica del tavolo-mondo giocata dai vari soggetti prevalentemente statali, diviene il gioco principale, quello che condiziona ogni altro. Per giocare a questo gioco, gli europei dovrebbero riflettere sulla propria consistenza e strategia adattiva, creando soggetti dotati di intenzionalità politica in grado di agire a livello dei giocatori più forti e potenti. Infine, in quest’ultimo scritto, si sostiene che tali soggetti, dovrebbero progressivamente sottomettere l’economico al politico e quest’ultimo al principio di una democrazia diffusa, un deciso cambio di paradigma senza il quale, l’adattamento ai tempi nuovi è fortemente a rischio.

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In un poemetto del 1025, Adalberone di Leon, poeta e vescovo francese, dava la prima e più nitida descrizione di quello che poi verrà conosciuto come l’ordine trifunzionale della società medioevale. Lasciamogli direttamente la parola:

“In questa valle di lacrime alcuni pregano, altri combattono, altri ancora lavorano; le tre categorie stanno insieme e non sopportano d’esser disgiunte, di modo che sulla funzione dell’una restano le opere delle altre due, tutte e tre a loro volta assicurando aiuto a ciascuna”[2].

Jacques Le Goff, compagno di medievalistica di George Duby e Marc Bloch in quel della Scuola degli Annales di L. Febvre e F.Braudel, ce la spiega così:

“coloro che pregano (oratores), ovvero i chierici, che rappresentano la funzione del sacro, coloro che combattono (bellatores); ossia i guerrieri, espressione della forza fisica; e coloro che lavorano (laboratores), ovvero i contadini e, più tardi, gli artigiani, che incarnano la funzione economica”.[3]

George Dumézil, storico delle religioni, linguista e filologo francese, ne aveva tratto una teoria di lunga durata, nel senso che ravvide tale tripartizione, proiettarsi indietro nel tempo storico sino alle società di coloro che parlavano la lingua ancestrale, gli indoeuropei[4].

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I tre ordini medioevali del religioso, dell’economico e del militare, concludevano del tutto la descrizione della società? Le società più antiche erano in genere più piccole di quelle moderne e -mano a mano che saliamo la scala storica- vediamo come le società aumentino di numero, aumentano il proprio volume interno, distinguano funzioni prima accorpate. Il faraone egiziano o il re dell’impero accadico erano -al contempo- figure di intermediazione tra terra e cielo quindi religiose ma anche militari e politiche, come l’imperatore cinese. Così, società in cui è molto forte o dominante la presenza del religioso (ad esempio il nostro Medioevo o la civiltà islamica), tendono a sovrapporsi due funzioni altrove distinte e cioè quella religiosa e quella culturale ma nel moderno, il religioso ed il culturale si dividono distinguendosi reciprocamente. Il cittadino ateniese era spesso un produttore ma anche un oplita quindi un militare e partecipando alla gestione politica democratica, svolgeva anche funzioni politiche. Nel Medioevo abbiamo ordini religiosi combattenti o altri che producono (nella grande famiglia dei benedettini), nei vichinghi abbiamo militari -a volte- commercianti e poi più in generale nei corsari anglosassoni. Storicamente, la funzione politica è stata svolta da sacerdoti o militari o altri dotati di qualche presunta “nobiltà”, oggi anche da imprenditori o magnati. Dalla nascita del parlamento inglese moderno però (1688-89), il politico tende a darsi un ordine più chiaramente a sé stante. Distinguendo così il religioso dal culturale e dando rilievo proprio al politico, arriviamo quindi ad ampliare la descrizione degli ordini non più a tre ma a cinque: politico, economico, militare, religioso, culturale. Questi sono i cinque ordini funzionali che infrastrutturano ogni tipo di società, sebbene più indietro si va nel tempo o più piccola è la società in esame (le due cose tendono a coincidere), più gli ordini tendono a sovrapporsi.

Se prendiamo questa descrizione degli ordini componenti le società umane e la intersechiamo con la regola millenaria che vuole le società complesse sempre ordinate dal principio di gerarchia che vede pitagoricamente una società-triangolo con punta sottile, sezione media e base larga ovvero la tripartizione gerarchico-politica già in Erodoto (Storie) poi in Platone (Repubblica) ed ancora in Aristotele (Politica) dell’ Uno, dei Pochi e dei Molti, possiamo individuare la classe dominante di ogni ordine. Infatti, la funzione sarà pure militare ma un generale o ammiraglio non sono solo un soldato o marinaio, oppure la funzione è religiosa ma il papa o un vescovo non sono solo dei preti, oppure la funziona è culturale ma un rettore o professore universitario o un premio Nobel non sono al livello di un giovane ricercatore o insegnante, così un grosso capitalista non è il commerciante sotto casa e Trump o Putin non sono la giovane sindaca di un paesino nella funzione politica. Le società più piccole, mostrano o assenza di gerarchia[5] o gerarchie variabili ed ad hoc tanto quanto una certa sovrapposizione funzionale degli ordini. Quelle oltre una certa dimensione invece, oltre a mostrare separazione e distinzione funzionale sembrano ordinarsi sempre secondo l’analogia morfologica della celebre copertina del Levitano di Hobbes: una testa intenzionale, una serie di funzioni vitali collegate, il tutto che ordina un corpo ben più vasto e passivo. La società che è un sistema inintenzionale, viene ridotta in analogia ad un individuo in cui Uno o più spesso Pochi mediano l’intenzionalità facendola diventare propria dell’intero sistema. Così è stato per gli assiro babilonesi come per i cinesi antichi, per gli egiziani come per i macedoni, i romani, in varie forme nel Medioevo, nell’assolutismo monarchico come nei califfati e prima nelle civiltà pre-colombiane. Nel moderno occidentale, la testa diventa un condominio di politico ed economico.

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La appena accennata descrizione della società a cinque ordini si può chiamare “Teoria sociale degli ordinatori” e dice che le società umana di tipo complesso quale si ha da circa sei-ottomila anni fa, hanno sviluppato cinque ordini: politico, militare, economico, culturale e religioso. Ognuno di essi è regolato da un principio che varia nel tempo, il principio di ogni ordine è molto simile a quello che T. Khun nella sua teoria sulla struttura delle rivoluzioni scientifiche chiamava “paradigma”[6]. Ogni società geo-storicamente localizzata, ha trovato il suo integrale ordine funzionale nel porre un ordine a governo degli altri. Il principio di gerarchia all’interno di una singola società, si applica quindi non solo nella composizione sociale e funzionale dentro ogni ordine ma anche nel regolare i rapporti funzionali tra gli stessi cinque ordini. Questo ordine che dà ordine e dà gli ordini (le disposizioni di ruolo, funzionamento e regolamento del gioco) a tutti gli altri, lo chiamiamo “ordinatore”. Ogni società umana, vede l’espressione di un ordinatore a governo di tutti gli altri e per questo la teoria non si chiama “degli ordini” ma “degli ordinatori”. Questo primato, può trovare forme di condivisione o condominio forzoso anche di due ordini ad esempio nella conflittuale diarchia medioevale di religioso e politico-militare o come nel moderno con la diarchia stato (politico) e mercato (economico). Ma queste coppie, spesso conflittuali e sinergiche al contempo, se analizzate più finemente, mostrano sempre una seppur minima prevalenza di uno dei due ordini su l’altro ed -assieme- su tutti gli altri. La Teoria degli ordinatori ha per oggetto le società umane e dice che la società è un sistema adattivo che si compone di cinque ordini di cui uno, funge da ordinatore. A sua volta, ogni ordine ha la sua gerarchia funzionale e quella dell’ordine che funge da ordinatore, esprime il gruppo umano dominante della sua epoca in quella data società. Il gruppo umano dominante, sempre maschile, è stato via via composto da una famiglia, da una etnia, da uomini di casta (nobili, aristocratici, figli di un dio, eredi di un fondatore), da sacerdoti seguiti dal loro clero, da generali o condottieri seguiti dai loro ufficiali, da possessori di ricchezze, proprietà o capitali liquidi, seguiti dalle classi sociali affluenti.

Cosa muove la rotazione degli ordini tra loro e soprattutto come si afferma un ordinatore su tutti gli altri? A condizioni iniziali, sono esistite molti tipi di società con differenti sviluppi degli ordini funzionali e con la più varia gerarchia desunta dalla scelta di questo o quell’ordinatore. E’ per molti versi casuale questo tipo di varietà di assetto, è una relativamente libera esplorazione del campo delle possibilità, non c’è da indulgere in alcun determinismo a riguardo visto che la contingenza geo-storica gioca un ruolo primario. Quello che premia e fissa l’ordine generale (il sistema degli ordini tra loro con uno specifico ordinatore) è la capacità adattiva. Le società che hanno trovato il miglior assetto tra gli ordini e quindi l’ordinatore adatto a quel tempo e luogo nonché alle forme interne (dimensioni demografiche, caratteristiche climatiche e naturali del territorio e caratteristiche dell’agone competitivo coi vicini), hanno avuto migliori condizioni di possibilità ed in base a queste si sono espanse e viepiù ordinate e strutturate, riconfermando e potenziando ricorsivamente la propria specifica struttura ordinativa. Il presunto ciclo organico (nascita-espansione e maturità-morte) letto come storia di molte società ed addirittura civiltà[7], altro non è che il ciclo di esistenza di ogni cosa che è, non solo nel biologico, anche nel minerale e fianco nel mentale. Questo ciclo propone delle forme alcune delle quali si affermano più a lungo di altre resistendo all’entropia naturale perché idonee ed adatte al loro contesto. Queste forme crescono e si complessificano diventando dominanti. Ciò però avviene in contesti che sono sempre in lento sebbene costante cambiamento, le ragioni che hanno permesso l’affermazione di qualche società ordinata in un modo o nell’altro, cambiano, decadono, si rarefanno ed infine vengono sostituite da nuove. Poiché però il sistema nato assieme a gli altri ma affermatosi prima e più intensivamente ed estensivamente degli altri, ha una certa inerzia nel riprodurre se stesso replicando la ricetta che l’ha fatto crescere ed affermare, esso va progressivamente fuori sincronia col contesto, continua ad applicare modi che diventano “vecchi” rispetto a contesti nuovi. Così il sistema ed il contesto vanno in dissonanza e si registra il fallimento adattivo, sistemi che hanno a lungo vissuto producendo adattamento, lentamente o improvvisamente si disintegrano e scompaiono dalla storia, sostituiti da nuovi. Le civiltà e le società “muoiono” perché non cambiano ordinatore ed ordine funzionale. I greci si ostinano nel particolarismo delle città-Stato mentre vengono fagocitati uno dopo l’altro dalla forma imperiale macedone. I romani si ostinano a farsi ordinare dai generali quando il confine dell’impero doveva esser gestito e non ampliato, semmai ridotto, importando crescente disordine. La società medioevale arriva a bruciare la gente in piazza invece di accettare il fatto che l’ordinatore religioso doveva rinunciare ad una funzione che non svolgeva più alcun adattamento. La monarchia francese si ostina a non vedere che quella britannica, lasciando l’intenzionalità alla diarchia politico-economico, ha prodotto un nuovo sistema adattivo più adatto alla socio-demografia del moderno.

Questi diversi assetti strutturali tra gli ordini e la preminenza di questo o di quell’ordinatore, vede anche la modifica dei principi che li ordinano singolarmente, quello che altrimenti possiamo chiamare “paradigma”. Popolazioni sparse nel territorio e non centralizzate politicamente -nell’ordine religioso- sono in genere politeiste mentre il monoteismo è stato sia causa che effetto proprio dell’accorpamento e della centralizzazione militare e politica[8]. L’ordine culturale greco era laico ed era subentrato al mitologico-religioso; nel periodo medioevale era dominato dal religioso mentre dalla prima modernità è tornato laico. Popolazioni poco interconnesse al loro esterno e moderatamente stratificate al loro interno si sono spesso accontentate di una economia agricola mentre lo sviluppo di interrelazioni interne ed esterne è stato sia causa che effetto del dominio di un paradigma commerciale. La scalata del benessere materiale ha favorito l’espressione di più industrie ma quando questo ha rallentato il suo sviluppo come è avvenuto negli anni ’70 in occidente, la crescita ritenuta necessaria per garantire la consueta dinamica alla società ordinata dall’ordinatore economico, è stata demandata ad un ipertrofico e inusuale sviluppo del finanziario. L’ordine militare è stato talvolta ordinato dall’esercito di terra (Sparta, Unione sovietica), dalla marina (Atene, Impero britannico, Stati Uniti d’America), da grandi eserciti o dalla guerriglia, da armamenti analogici o digitali, chimici (prima guerra mondiale) o fisici (bombe atomiche). Quindi non solo cambiano gli ordinatori, non solo cambiano i sistemi di assetto delle interrelazioni funzionali tra gli ordini, cambiano anche i principi -o paradigmi- a governo degli ordini stessi. Quando tutto funziona si ha adattamento, sviluppo e crescita ma solo fino a quando le condizioni esterne a cui ci è adattati non cambiano significativamente, lì c’è la crisi che in termini di civiltà e società, è stata spesso ontologica, cioè letale.

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Lo spazio di un articolo non ci permette di indugiare sull’ampia casistica storica che ci mostra sia sovrapposizione e distinzione tra gli ordini, sia l’alternanza dei principi che li hanno regolati, sia l’alternanza di uno di loro a svolgere la funzione di ordinatore e la conseguente affermazione di una classe o casta o élite dominante. Limitandoci quindi alla nostra parte di mondo, l’Occidente ed al periodo storico che parte un migliaio di anni fa, vediamo di fare una breve descrizione seguendo appunto al Teoria degli ordinatori.

La diarchia militar/aristocratica – religiosa che reggeva il Medioevo di nulla era responsabile rispetto all’incremento demografico registrato spontaneamente per miglioramento delle condizioni climatiche intono al X-XI secolo. Ciò che infrastrutturava primariamente questa crescita nelle società del tempo, fu più che altro l’ordine economico che già nel XIII secolo, vedeva una rigogliosa esplosione funzionale di commercianti, artigiani, banco-finanzieri con qualche prima ricaduta anche nella razionalizzazione produttiva agricola e qualche prima avvisaglia di creatività tecnica con i mulini e le navi mediterranee e del Mare del Nord[9]. Tutto ciò anche e seguito dell’addensamento urbano che modificava la distribuzione territoriale premiando la rinascita delle città rispetto alle campagne e la parziale subordinazione di queste a quelle. Il disordine bellico ed il sequestro dell’impegno umano nel lavoro militare nonché l’imprevedibilità del futuro data da uno stato di conflitto diffuso erano nemici del nuovo ordine commercial-artigiano-urbano, delle sue forme, della sua filosofia, della classe sociale che lo promuoveva. Così la repulsa per il denaro e la strenua resistenza contro l’affermarsi delle pulsioni materialistiche che erano portate dall’affiorare di nuovi ricchi la cui nascente potenza non era controllata dall’impero mentale della religione. Gli ordinatori aristocratico/militar e quello religioso erano già in potenziale conflitto con l’esuberanza dell’ordine economico, già nel XIII secolo. Quando la Peste nera della metà del Trecento, decimò in poco tempo la popolazione europea, l’impero mentale della religione cominciò a sgretolarsi perché non aveva fornito adattamento alcuno ed aveva subito passivamente la clamorosa decimazione. Ma anche le guerre che continuarono indefesse anche nel panorama demograficamente devastato dalla Peste, dimostrarono palesemente che l’ordine feudale non aveva più alcuna capacità adattiva visto che continuava a macinare vite umane in un contesto in cui la vita umana si era drammaticamente rarefatta. Questi traumi portati dal principio di realtà a gli ordini sociali sono simili alle falsificazioni più clamorose di cui sono oggetto i paradigmi culturali, solo che nel sociale-reale c’è meno agio di far finta di niente.

Ne conseguì la successiva affermazione di ordini politici più ampi di quelli feudali e quindi la nascita dei primi Stati-nazione da una parte e la progressiva relativizzazione dell’impero mentale della religione dall’altra (Umanesimo, poi Rinascimento ma anche macchinismo,intraprendenza esploratrice ed infine speciazione della scienza e ripresa della filosofia laica razionalista scaturita da una fase di diffuso scetticismo). All’interno di questa sovversione degli ordini, ed al conclamato fallimento ordinativo del religioso-aristocratico/militare, si apriva lo spazio per l’affermazione del nuovo ordinatore della successiva modernità: l’economico. La lunga marcia dell’ordine economico, si può far partire già nel XIII secolo ma sarà solo quattro secoli dopo che diventerà ordinatore. Questo nuovo ruolo dell’economico (da semplice ordine ad ordinatore) ha già prima espressione in contesti piccoli come Genova, Venezia, la Hansa balto-scandinava, le Province Unite olandesi ma con la Gloriosa rivoluzione inglese (1688-89) prende definitivamente potere di un grande Stato e s’impone come modello a cui si adegueranno progressivamente, tutti gli stati occidentali. Lì si salda per la prima volta la conflittuale diarchia di Stato e mercato in cui l’ordinatore è il mercato (economico) e lo Stato (politico) ne è il protettore (militare e giuridico[10]) ma anche ciò che ne crea le condizioni di possibilità (militare e culturale).

L’economico, nel suo affermarsi gradatamente come ordinatore, spinse l’affermazione di una nuova interpretazione religiosa consona alla propria natura (protestanti vs cattolici), premiò le società “nuove” del Nord al posto di quelle antiche e tradizionaliste del Sud, riformulò l’etica e la morale in senso utilitario, frantumò il comunitario nell’individuale, subordinò il militare non al capriccio della volontà di potenza dell’individuo-re o principe o signore ma a quella del sistema Stato-nazionale che dava condizioni di possibilità allo sviluppo dell’economico stesso (grandi navigazioni, colonialismo, poi imperialismo) aprì la cultura al principio del piacere (libertini antesignani dei liberali) e ne democratizzò la funzione (cultura popolare, lingua volgare, stampa tipografica, intellettuali non più chierici e successivamente scolarità diffusa, società civile), produsse infine una forma di politico (il parlamentare inglese) al servizio dell’interesse economico stesso. Oggi si occupa di diritti individuali e civili perché la sua forma ordina che nel sociale ci debbano esser solo doveri (produrre e consumare). Questa è la nostra società, la società moderna, la società ordinata dall’economico che Marx, nella “concezione materialistica della storia”, pensò essere una “costante della storia” quando invece è solo l’ordinatore della nostra specifica forma storica. Caratteristica di questa forma storica è l’aver dato all’economico un solo principio, il capitalismo, esattamente come nell’Islam e nel Medioevo, quando il religioso divenne ordinatore, lo fece nella forma monoteistica particolarmente sensibile ad ogni forma di deviazione eretica. Il delirio di onnipotenza che prende ogni potere, il sentirsi l’Uno-Unico-Totale, porta l’ordine che diventa ordinatore a sentirsi appunto onnipotente, il suo principio a darsi la forma dell’ortodossia stretta, la sua classe o casta o élite dominante a sentirsi investita di funzioni “superiori”, quasi mistiche. Da ciò è derivata la nostra attuale divisione e funzionalizzazione degli ordini e della classi sociali con una interpretazione attualizzata dell’antico principio di gerarchia che impone il potere dei Pochi: le oligarchie, le élite, la classe dominante, le nazioni dominanti, le imprese dominanti, i grandi possessori di capitali dominanti, individuali (l’1%) ed istituzionali (holding, banche, fondi, assicurazioni on-shore o più spesso off-shore).

Il “capitalismo” come modo economico mosso dall’incremento di capitale ed accumulazione di profitto, è esistito per certi versi da quando esiste la monetizzazione (circa 700 a.C.) ma anche senza monetizzazione sin dal tempo dei grandi imperi con altre forme di accumulo e tesaurizzazione del “valore”. Nella modernità esso ha subìto alcune trasformazioni diventando prima il principio economico prevalente, poi l’unico (come notò K. Polanyi[11]) ma il punto decisivo è stato quando ha assunto la funzione di ordinatore. E’ solo a quel punto che l’economico ha preteso che tutti gli altri ordini ne fossero funzione, è da lì che raggiunge la sua forma monoteistica, espande in più modi ed a più riprese la sua sistemica funzionale passando dal commerciale all’industriale, dall’imprenditore alla società di capitali, dall’industriale ai servizi, dal produttivo al finanziario, dall’inter-nazionale al globale, degenerando infine nel delirio dell’Uno-Mondo-mercato-fine della Storia. Questa descrizione non è la descrizione di una presunta natura intrinseca del “capitalismo” ma della sua recente storia in quanto ordinatore, ordinatore della civiltà occidentale ed all’interno di questo sistema della sua élite dominante che è un condominio di stati nazionali anglosassoni (USA-UK) ed élite nazionali europee.

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Questo tipo di forma storica, la società occidentale moderna ordinata dall’economico a sua volta ordinato dal principio unico del capitalismo, sembra oggi giunta al limite delle sua facoltà adattive. Ha mostrato l’inizio del suo declino già a partire dagli anni ’70, quando si è andato affermando un cambio del suo principio. Il suo principio storico era certo il “capitalismo” ma mentre storicamente questo si era espresso sempre attraverso attività che transitavano per l’universo materiale (terra, commercio di cose, industria financo servizi che hanno una componente materiale almeno per la parte occupazionale), da allora prende uno sviluppo immateriale sia nel digitale informatico ma più ancora nel dominio del finanziario, funzione interna al sistema storicamente dedicata a supportare la produzione, non a sostituirla. Ma considerando anche la sua forma materiale, essendo una forma dell’illimitatezza necessitante un vastissimo fuori di sé per alimentare l’ordine interno di un ben più piccolo dentro di sé, oggi va in urto con due limiti esterni. Quello della finitezza delle risorse e del sempre maggior disequilibrio ambientale da una parte, quello offerto dal proliferare di sistemi geopoliticamente concorrenti dall’altra. Ci sono poi anche limiti interni dovuti alla degenerazione gerarchica portata dall’affermazione del finanziario sul produttivo che possiamo definire una forma di capitalismo meta-fisico, tra l’altro estremamente instabile non essendo più ancorato a l’universo materiale (Nixon ’71 – finanziarizzazione), che ha portato i Pochi alla esasperante contabilità del famoso 1%[12] ma anche alla avvenuta certificazione della saturazione dei suoi compiti adattivi. I “bisogni” primari e secondari mortificati nel Medioevo, si sono espressi e sono stati ampiamente soddisfatti, cos’altro pensa di dover soddisfare questo ordinatore? Quello che manca da soddisfare, i bisogni di libertà, autonomia ed emancipazione umana e sociale, progresso psico-socio-culturale, pace nella diversità, maggior uguaglianza delle differenze, equilibrata relazione uomo e natura, questo ordinatore non li può intrinsecamente soddisfare come la religione non poteva soddisfare la fame e la salute, come l’esercito romano non poteva più garantire pace, tranquillità e sicurezza. Nell’ostinarsi a replicare fuori contesto la sua funzione ordinativa, l’economico non solo non può soddisfare i bisogni insoddisfatti ma ne aumenta l’urgenza.

Quello che l’ordinatore e la sua configurazione sociale stanno facendo e continueranno a fare con molte probabilità, sarà replicare ossessivamente la loro forma sistemica ovvero continuare ad essere così come son sempre stati, così come hanno avuto -sin qui- “successo”. Poiché però questo “modo inadatto” produrrà ritorni decrescenti e varie forme di disadattamento, tenderà a muovere disordinatamente e compulsivamente tutte le variabili accessorie (dalla distruzione della democrazia al ritorno del militare, dal recupero dell’etnico e del religioso ad una sempre più pronunciata desertificazione culturale, all’aperto conflitto geopolitico)[13] pur di mantenere intatto il suo principio e la sua funzione ordinatrice. Dopo aver promosso il servo a salariato, sarà pur disponibile a riportarlo a servo, se necessario, le società “aperte” diverranno chiuse, la ragione che soverchiò la fede diverrà a sua volta soverchiata dalla nuova fede nell’assunto per il quale “non c’è alcuna alternativa ragionevolmente possibile”, la vantata pragmatica tornerà alla dogmatica, il “non ci sono più le ideologie” è già divenuta l’ideologia unica. Più lo farà, più aumenteranno i ritorni decrescenti, le reazioni inconsulte, l’attrito sociale e geopolitico e con esse il fallimento adattivo, il disordine. E con l’aumento del disordine, nelle società umane, si sa come va a finire: si chiederà sempre più acriticamente ed imperativamente: ordine! Subito, a qualunque costo. Le società sono veicoli adattivi e la fornitura di ordine e prevedibilità è una loro caratteristica funzionale essenziale, una qualche forma di ordine è il segnale dell’avvenuto adattamento, segnali incrementali di disordine reclamano soluzioni anche brutali.

Quello che le genti soggette a queste forma storica potrebbero (dovrebbero) invece cominciar a fare è pensare come pluralizzare il principio dell’economico ricorrendo ad altre forme di espressione della sua funzione ma soprattutto, attrezzarsi per un cambio di ordinatore sottomettendo l’economico al politico ed il politico al democratico -in prospettiva- più articolato che non il solo rappresentativo. Nessun programma, potrà effettivamente produrre adattamento all’era complessa per gli occidentali moderni se non si comincerà ad affrontare seriamente la relativizzazione del principio di gerarchia[14]. La forma gerarchica delle società umane è una costante ma non una legge, è -in un certo senso- l’ordine più semplice che abbiamo trovato, quello idoneo al segmento iniziale della storia delle società complesse, una storia che se guardiamo indietro ci sembra molto lunga ma se guardiamo avanti ci sembrerà più correttamente nulla più di un prologo alla storia effettiva. Pluralizzare l’economico e subordinarlo all’ordine politico è solo metà del cambiamento necessario, passare dal principio dell’Uno o dei Pochi a quello dei Molti nel politico è la seconda, essenziale, metà del processo. Il salto adattivo che intravediamo nella nuova epoca, per le genti occidentali che hanno prosperato nei secoli recenti dominando natura e mondo (cioè altre genti), sembra proprio esser quello di imparare a convivere, con la natura e col mondo degli altri, introiettare i limiti. Salto adattivo significa che non stiamo parlando di cose che si fanno e risultati che si ottengono domattina, stiamo parlando di strategie di lunga durata, la stessa lunga durata dei fatti e dei fenomeni di cui siamo il risultato storico. Questa arte della convivenza con limiti esterni, per società grandi e complesse, non può che scaturire da una introiezione, da una auto-coscienza delle istanze individuali, sociali, politiche, ecologiche, culturali di modo da decidere tutti, continuamente, cosa fare per gestire il viepiù problematico adattamento delle nostre forme di vivere associato. La volontà generale presuppone una coscienza generale. L’unica forma di autocoscienza delle società umane a quel punto in grado di deliberare una volontà generale di tipo adattativo, possibile per quanto difficile da raggiungere, è solo nella società ordinata politicamente da una democrazia diffusa. Non ci salverà un dio o la forza o il mercato o un grande uomo o il circolo dei migliori ma solo il pensiamo, discutiamo e decidiamo, quindi siamo.

(1 marzo 2017)

Note

[1] La concezione del funzionamento storico che qui si tratteggia, si differenzia dalla due impostazioni internaliste del XIX secolo. Marx, nella celebre Prefazione de “Per la critica dell’economia politica” (1859) ci illustra sinteticamente la sua posizione inversa (dialettica) a quella di Hegel “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Entrambi però, tanto Hegel che Marx, cercano una filosofia della storia come motore interno alle società. Quella qui tratteggiata è invece una impostazione relativa all’adattamento tra forme esterne e le società stesse, dove tanto la coscienza che le forme dell’essere sociale trovano diversi tipi di assetto a seconda dei contesti. La società è un veicolo adattivo e risponde alle condizioni adattive del contesto in cui si colloca, il motore interno alle forme sociali non è indipendente ma dipendente dalla relazione coi fattori esterni. La geometria sociale è purtroppo costante ovvero di tipo gerarchico, in ogni tempo e luogo della storia delle società complesse, cambiano solo gli interpreti. Questa concezione adattativa della storia, supera la divisione tra idealisti e materialisti (così per gli enti struttura e sovrastruttura), già figlia di quella all’origine del moderno nel mente-corpo di Descartes, anche perché non si vede possibile dividere l’umano ed il sociale a cui l’umano dà vita, in questa presunta dicotomia che è -per noi- inesistente in quanto dicotomia.

[2] F. Cardini, M. Montesano, Storia medioevale, Le Monnier Università, Firenze, 2006, p. 200.

[3] Jacques Le Goff, Il Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1996-2008.

[4] G. Dumézil, L’ideologia tripartita degli indoeuropei, Il Cerchio, Rimini, 1988-2003.

[5] Nella lettura socio-economica di Marx, questo è il -comunismo primitivo- ma non si trattava solo di uguaglianza economica bensì sociale, politica e culturale. E’ proprio delle società più piccole essere relativamente indifferenziate ed assi poco gerarchiche. L’ordine gerarchico è un portato della complessità sociale, almeno in quella fase primitiva della storia umana al cui interno siamo tuttora e sebbene ci sembri di essere molto “evoluti”. Il motore delle società è primariamente demografico-ambientale, forme sociali e politiche, ordini ed ordinatori si muovono in conseguenza dei prodotti di quel motore primario che è una relazione tra sistemi.

[6] Ma come poi vedremo, gli si può affiancare ad integrazione, anche la teoria di Imre Lakatos.

[7] O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Guanda, Milano, 2002.

[8] I monoteismi hanno sempre manifestato un pronunciata valenza politica. Il primo comandamento pare sia stato invero l’ultimo ad esser codificato dalla casta sacerdotale ebraica nella cattività babilonese ed in qualche modo è questa che ha favorito l’identità di un popolo che non aveva più la propria terra. Quello cristiano, è un monoteismo che ha preso sostanza quando è diventato credo centrale dell’Impero romano. Anche la predicazione di Muhammad aveva la funzione di dare un’unica identità politico-militare ai popoli arabi schiacciati tra bizantini e sasanidi.

[9] Sintetizza felicemente M.Bloch nella sua analisi della società addirittura dell’alto Medioevo “La società di quel tempo non ignorava certamente né la compera, né la vendita. Ma non viveva come la nostra di compera e di vendita”. Marc Bloch, La società feudale, Einaudi, Torino, 1999 p. 84.

[10] Il “giuridico” è una sezione del politico condizionato dal culturale.

[11] K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 2000.

[12] Problema spesso oggetto di censura etico-morale ma che mostra fallacia prioritariamente funzionale in quanto è dato storico quello per il quale adattamento massimo di un strettissima minoranza a scapito di un adattamento minimo della grande maggioranza, porta a varie forme di rottura sociale.

[13] I. Lakatos, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, Il Saggiatore, Milano, 2000. Questa teoria prevede che più che con una sola specifica teoria, noi si abbia a che fare con un sistema di teorie che condividono un territorio centrale detto “nucleo”. Poiché tali sistemi non sono mai immuni da contraddizioni e periferiche falsificazioni, si difendono ad oltranza ponendo una serie di ipotesi ausiliari a difesa e protezione del nucleo. Talvolta, questi sub sistemi protettivi sono positivi e permettono un progresso del sistema che rimane sostanzialmente immune dalle falsificazioni minori. Altre volte, invece, questa costruzioni sono ostinatamente conservatrici e degenerano progressivamente rifiutando di fare i conti con le falsificazioni più decisive.

[14] Il “fallimento” del socialismo reale dice che non è cambiando il modo economico che cambia il mondo poiché qualsiasi nuovo modo finisce sempre e comunque e riprodurre la regola gerarchica. Le élite dei vari partiti comunisti al potere, è stata solo morfologicamente diversa da quella delle società capitalistiche o teocratiche o militari, rimane pur sempre una versione dei Pochi. L’unico modo che cambia la regola è l’affermazione nell’ordinatore politico del modo democratico, l’auto-governo.

[url”Link articolo”]http://pierluigifagan.wordpress.com/2017/03/01/per-una-societa-diversamente-ordinata-una-concezione-adattativa-della-storia/[/url] © Pierluigi Fagan.

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