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Il pane e i popoli: idee di più Europe

Un fronte democratico latino-mediterraneo, con interessi economici e geopolitici di medio periodo, attento allo spirito di incontro che caratterizza da sempre il Mare Nostrum [Paolo Bartolini]

Il pane e i popoli: idee di più Europe

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4 Ottobre 2017 - 08.24


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di Paolo Bartolini.

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L’articolo recentemente scritto da Pierluigi Fagan e ripreso da Megachip mi pare ci offra un’analisi completa del quadro geopolitico attuale e la sua domanda finale – quella che invita a chiederci cosa fare politicamente e culturalmente nei prossimi trenta anni invece di rimanere stritolati dalla tenaglia delle false alternative (UE liberal-globalista vs nazionalismi populisti) – apre sicuramente il campo a un benefico esercizio della facoltà umana di “immaginare altrimenti”.

L’essere umano è animale culturale, capace di ri-creare continuamente il suo contesto storico in un processo di accoppiamento strutturale tra umani e non-umani. La sovranità è un concetto, come già rilevano da anni studiosi del calibro di Bruno Latour e Isabelle Stengers, che ai tempi del cosiddetto Antropocene non può più essere declinato secondo le coordinate classiche della modernità.

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A fronte dell’intrusione di Gaia nelle nostre vite (parliamo qui dei cambiamenti climatici e degli altri aspetti sistemici della crisi ecologica) sarebbe assurdo pensare a una politica costituita da attori nazionali privi di influenze reali nello scacchiere geopolitico internazionale e inermi dinnanzi alla penetrazione delle logiche capitalistiche e spettacolari nel loro spazio territoriale.

Altrettanto assurda mi sembra l’idea di liquidare la forma statale in sé, registrando passivamente la collocazione periferica a cui sono destinati gli Stati, da almeno quarant’anni, per mano dei nuovi agenti della finanza e del commercio internazionale (fondi di investimento, multinazionali, istituzioni globali come il FMI, WTO e Banca Mondiale). Fagan descrive in modo convincente il passaggio d’epoca che stiamo vivendo: la globalizzazione economica conosciuta fino ad ora lascerà spazio gradualmente a una serie di conflitti e rinegoziazioni che, senza ledere l’interconnessione mondiale degli investimenti e delle criticità ambientali, andrà comunque a ridefinire confini e contorni della convivenza sul pianeta.

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Per contare qualcosa e poter dire la propria in un mondo ormai multipolare (sebbene gli USA fatichino ad accettare il declino dell’egemonia a lungo esercitata), è necessaria l’esistenza di attori politici di taglia medio-grande. L’Unione Europea avrebbe potuto e dovuto rivestire un ruolo finalizzato a promuovere la sostenibilità ambientale, economica e antropologica, frenando le pulsioni distruttive dei gruppi di interesse e degli Stati che ancora coltivano un’idea predatoria dell’economia e della politica. Questo è stato ed è oggi impossibile per problemi strutturali che fanno dell’UE un’astrazione priva di centro, attraversata solo dai flussi del capitale, dalle politiche di austerità e dai pregiudizi neoliberisti.

L’aria che si respira negli ultimi anni, con l’emergere di rivendicazioni identitarie, indipendentiste e nazionaliste, rappresenta un sintomo gigantesco del tutto complementare alla follia di questa Europa senza popoli.

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Immaginare, come propone Fagan, di costituire nel tempo uno Stato federale latino-mediterraneo mi pare uno spunto prezioso, provocatorio e ragionevole al tempo stesso. Tale orizzonte, per quanto mi riguarda e come ho già detto in passato, lo intendo nella prospettiva di un ripensamento e di una rifondazione concreta dello spirito europeo.

“Ma come? Per difendere l’idea di Europa bisogna farla a pezzi, fossero anche tre?”. Ci tengo subito a chiarirlo: non sono un fautore dell’uscita dall’euro come soluzione a tutti i mali, non credo affatto che una disgregazione rapida e incontrollata dell’UE possa condurre ad altro che a nuovi fascismi 2.0, non professo alcun culto dello Stato-nazione, anzi penso che la democrazia reale necessiti di differenti livelli di partecipazione e coordinamento (che includono ovviamente lo Stato, ma senza idealizzarlo).

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Tuttavia ritengo che il sogno europeo, da tempo precipitato nel novero degli incubi, non possa mantenere alcuna promessa rimanendo vincolato alle leggi inflessibili dell’odierno assetto a guida tedesca. Uscire dalle alternative infernali vuol dire, oggi, pensare a una soggettività democratica che, contemporaneamente, sviluppi le sue pratiche liberatorie nel singolo, nelle relazioni interpersonali, nella comunità, nelle istituzioni di prossimità, nella dimensione regionale, in quella nazionale e in quella transnazionale. Pochi anni fa ho letto in un libro del filosofo Roberto Mancini un’immagine molto bella a proposito del potere: per far sì che il potere non degeneri in dominio (esito purtroppo frequente e quasi scontato) è necessario spezzarlo come il pane e distribuirlo tra le persone, con particolare attenzione ai più deboli, a coloro che sono stati estromessi dalle decisioni rilevanti sulla propria vita.

Spezzare l’Europa come il pane, per nutrirne i popoli, sancendo differenze che non sono opposizioni, ma occasioni di confronto tra realtà sovrane consapevoli delle sfide sistemiche che riguardano l’intera umanità: questo è l’unico processo che, passando per una progressiva disarticolazione del progetto europeo attuale, può schiudere l’orizzonte culturale e politico di una ricomposizione dell’Europa ancora tutta da immaginare.

Ebbene, la mia impressione è che i prossimi trent’anni ci debbano vedere protagonisti di una tessitura di alleanze, di buone prassi, di iniziative concertate, di studi e ricerche, che consentano sul piano transnazionale di dar forma a un fronte democratico latino-mediterraneo, consapevole dei suoi interessi di medio periodo sul piano economico e geopolitico, ma sempre attento – nello spirito di incontro che caratterizza da sempre il Mediterraneo – alla necessità di cucire le differenze, di mettere in dialogo, di gettare ponti e non di abbatterli, di sviluppare politiche concertate di accoglienza per i migranti (interagendo realisticamente con i protagonisti che si affacciano sul mare da sud e da est).

Gli interrogativi che dobbiamo porci oggi, a mio avviso, non riguardano l’impossibile riforma dall’interno dell’Unione, e tantomeno l’utilità di fuoriuscite azzardate di singole nazioni dagli accordi europei in vista di una fantomatica autosufficienza (impossibile ai tempi del capitalismo finanziario e neoliberista), quanto piuttosto la natura e la forma delle lotte transnazionali da avviare e coltivare, con particolare riferimento alla Francia, al Portogallo, alla Spagna, all’Italia e alla Grecia, creando dibattito e reti di scambio nei settori culturale, della ricerca e dell’innovazione, economico, dell’energie alternative.

Altrettanto importante è la creazione di una classe politica che, nei paesi latini e mediterranei da federare, possa maturare assumendosi la responsabilità di sfide comuni che superano il perimetro degli egoismi nazionali. Tutto questo per amore di un’Europa solidale che non è mai nata e che potrà nascere solo tenendo conto dei limiti geostorici e politici del nostro tempo.

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