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La lotta NoTav diventa più aspra, mentre il manganello picchia duro

La lotta NoTav diventa più aspra, mentre il manganello picchia duro
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18 Febbraio 2010 - 06.59


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notavdifesadi Davide Pelanda – Megachip.

 

Si è partiti con un vetro rotto, ma poi abbiamo visto i feriti gravi. Una discussione si era accesa in Rete dopo che un manifestante NoTav aveva spaccato il vetro di un”ambulanza. I NoTav devono essere sempre pacifici, nonviolenti, operare in puro stile gandhiano oppure devono reagire alle tante provocazioni, soprattutto di questi ultimi tempi?

 

 

Vetri rotti e Gandhi

L”episodio del vetro rotto – a conti fatti lieve – è stato intanto condannato dal Movimento NoTav, che ha raccolto fondi per la Croce Rossa-gruppo di Susa per riparare il danno, Ne è nato anche un dibattito su nonviolenza, pacifismo e dintorni.

Serve fare chiarezza, ora che qualcuno dipinge questi valligiani, queste decine di migliaia di cittadini comuni, come terroristi e delinquenti. Ricordiamo che all”interno c”è di tutto: dalla casalinga, al ragazzino, al nonno contadino, al cittadino, fino all”anarchico ed al professore universitario. Un movimento davvero trasversale che da parecchi anni difende con le mani e con i denti l”ambiente assediato della bella Valsusa.

Certo, all”interno di questo variegato Movimento, c”è chi plaude alle tecniche nonviolente gandhiane. Uno dei partecipanti alla discussione in Rete, Luciano, obietta che «con la non violenza, si può vincere, ma solo in certi momenti storici, con circostanze favorevoli e se l”avversario pone dei limiti seri alla propria violenza». E aggiunge riferimenti storici al suo ragionamento: «Provate un po” a chiedere ai vostri padri o nonni perché non si sono messi semplicemente “per traverso” davanti ai carri armati tedeschi e pensate che cosa sarebbe successo se si fossero limitati a fare questo, e senza l”intervento degli americani.

Lo stesso metodo non valeva per l”invasione dell”Ungheria del 1956 o della Cecoslovacchia nel 1968 (è evidente, gli sarebbero passati semplicemente sopra, senza tanti scrupoli)».

E qui arriva anche il riferimento a Gandhi che «ha potuto “vincere” – sottolinea Luciano – perché si è trovato in un periodo storico in cui le circostanze gli erano favorevoli: cioè in ogni caso gli inglesi non erano più in grado di controllare e dominare un territorio così grande come il subcontinente indiano».

Allora la nonviolenza gandhiana vale nel caso NoTav? Il movimento invita a «essere realisti e non enfatizzarla oltre un certo limite; oggi come ieri possiamo ottenere dei grandi risultati sfruttando questa “arma” ma non è detto che in altre circostanze sia altrettanto efficace; quindi è meglio non farci troppe illusioni, visto che sono tutti d”accordo, se proprio vorranno realizzare questa linea, passeranno comunque sulle nostre teste».

La tesi di fondo di Riccardo, però, è che «chiunque manifesti sotto la bandiera NoTav ad un Presidio NoTav, ad una assemblea NoTav, lo deve fare con le mani ben libere, vuote e lo faccia assai bene in vista. Nessuna temperatura autorizza l”uso di passamontagna, nessuno potrà avere in mano altro che la volontà di nonviolenza».

Viene invece ricordato che, ad un corso di resistenza passiva tenutosi nel 2006 al Presidio di Venaus, venne detto di non alzare le mani perché «possono essere male interpretate sia da chi è presente ma non è troppo attento a quel che accade, sia nelle foto (e questa cosa si è tristemente dimostrata vera in alcune foto di Condove. Fate vedere le mani, fate veder che sono vuote ma non alzatele soprattutto vicino ai poliziotti» suggerisce una NoTav che si firma Lady Licaone.

«Ha ragione Lady – sostiene Stefano – le mani alzate, il guardare fisso negli occhi, fare gesti bruschi, possono essere interpretati come gesti di minaccia.».

Certo, le domande di fondo però rimangono. E sono tante: ad esempio chiede ancora Stefano, «se non battiamo sui guardrail con i bastoni con cosa battiamo? Se non si deve tirare giù una rete di recinzione di un cantiere che noi siamo lì per contrastare cosa fare? Ma se non si possono fare le cose dette sopra – se no la gente non viene più con noi e diventa SiTav, e metti caso che le forze del disordine se ne vanno lasciando lì la trivella a lavorare sola e soletta-  cosa facciamo? Non ci avviciniamo perché è recintata? O ci limitiamo a chiudergli il rubinetto del gasolio?»

Forse che una operazione in linea gandhiana è stata quella dell”incatenamento durata un paio d”ore di un gruppo NoTav alla stazione di Porta Nuova a Torino nei pressi della biglietteria del Freccia Rossa e che ha visto migliaia di passeggeri e addetti alle ferrovie solidarizzare pacificamente con i NoTav i quali hanno potuto spiegare le ragioni della loro protesta con megafoni e volantinaggio? È stato certamente un primo passo che non ha registrato, per fortuna, neanche una manganellata da parte dei plotoni di poliziotti in tenuta antisommossa.

Perché «l”obiettivo del “NO alle trivelle” lo raggiungiamo sia a Torino e cintura che nelle Valli se useremo queste trivellazioni per informare, per coinvolgere e attivizzare nella lotta gli abitanti delle zone interessate, senza essere ossessionati dal volerle fermare ad ogni costo. e poi si vedrà volta per volta».

 

Poi arrivano i feriti

Mentre l”opzione nonviolenta sembra fortunatamente prevalere nel movimento, dall”altra parte del manganello purtroppo non ci si cura del clima pesante che viene alimentato con alcune azioni decisamente violente. Il bilancio più recente parla di tre NoTav feriti, uno grave, e di cariche e blocchi.

Partiamo da martedì 16 febbraio, intorno alla mezzanotte. La trivella collocata a Coldimosso di Susa, sotto il cavalcavia che oltrepassa l”autostrada, viene intercettata dai NoTav, in allerta da ore. Si sprecano i colpi di maganello per disperdere i primi arrivati. Segue un assedio durato ore. Le forze dell”ordine e i trivellatori sono bersagliati da palle di neve e gavettoni d”acqua gelida, intanto che il tubo per l”acqua viene riposizionato a più riprese. Sul sito de “La Stampa” le palle di neve diventano sassi, l”acqua orina.

Il giorno dopo, alle 17, i No Tav si radunano all”autoporto di Susa e vanno a piedi fino alla trivella. A Torino una cinquantina di loro presidia la stazione di Porta Susa per informare chi passa per di lì. La stazione è blindata.

I fatti dell”autoporto sono descritti dagli stessi protagonisti: una volta arrivati alla trivella parte qualche palla di neve «e la polizia carica più volte. Cariche feroci. Chi cade viene massacrato. Un ragazzo, Simone, viene più volte colpito, cade. I poliziotti infieriscono su di lui mentre è a terra. Vomita sangue, non riesce più a muovere le gambe. Ad una donna spaccano la faccia infierendo ripetutamente sul volto, una ragazza riporta numerose ferite al capo. Molti altri guadagnano lividi ed escoriazioni.»

L”ospedale di Susa accoglie i tre feriti. «La donna viene operata subito, la ragazza ricucita, ma purtroppo la situazione del ragazzo ferito alla testa è più grave. Ha un”emorragia cerebrale, non sente le gambe, vomita. Viene deciso il trasferimento alle Molinette a Torino.» Inizia il viaggio di Simone. Il giovane è redattore di Radio Blackout. Ma poco fa il sistema dell”informazione per raccontare quanto accade a lui e agli altri.

E” il tam tam dei NoTav a diffondere la notizia dei gravi pestaggi. Vengono bloccate la statale 24, la statale 25 e l”autostrada. Fortissima tensione e lacrimogeni. I blocchi vengono levati mezzora dopo la mezzanotte.

Il ragazzo arriva alle Molinette ma neanche lì ha tregua. La Digos fa il suo ingresso nella sala degenze del pronto soccorso. Compagni ed amici di Simone li mandano via e si rivolgono all”avvocato. La Tac segnala condizioni gravi ma stabili. Simone va finalmente in reparto.

Alcuni NoTav bloccano l”uscita degli automezzi che trasportano le copie della prima edizione de “La Stampa”, fresche di tipografia. Un”ora dopo la celere scioglie anche questo presidio.

I precedenti di violenze poliziesche c”erano. A Condove, in gennaio fu rotto il braccio di un No Tav che contestava la trivella. E manganellate erano volate la scorsa settimana, sull”autostrada. Ma è a Coldimosso che la polizia ha intensificato l”azione. La tensione viene pericolosamente alimentata, e le azioni dimostrative si moltiplicano, fin dentro Torino. Giovedì 18 febbraio alle 11, ad esempio, davanti alla RAI in via Verdi. Mercoledì 24 febbraio alle 17 in via Roma, davanti alla sede de “La Stampa”.

Non è un movimento che ripiegherà. È un conflitto fra obiettivi politici non facilmente conciliabili. La soluzione poliziesca si dimostra di giorno in giorno più pericolosa.

 

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