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di Diego Finelli.
“Per chi volesse approfondire, l”appuntamento è nei teatri del suo tour, a partire dal 5 ottobre: trentatré euro il biglietto d”ingresso. Che dire? La rivoluzione costa, compagni.”
Queste parole di Claudio Fava hanno fatto infuriare diversi lettori de Il Fatto: molti insulti, molta polemica, molto biasimo.
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Non mi interessa difendere Claudio Fava, anche se mi è simpatico (non foss”altro perché porta lo stesso cognome di mia madre, il che spiega perché tutti quegli insulti che ironizzano sul nome mi abbiano dato particolarmente fastidio – ma non siamo parenti). Non mi interessa difenderlo, dicevo, perché sicuramente è in grado di farlo meglio da solo e poi perché, in effetti, nelle tre righe e mezza che dedica all”argomento fornisce una lettura volutamente parziale di un fenomeno sicuramente molto più complesso e interessante: dicesi provocazione. Credo che fosse perfettamente consapevole del fiume di critiche che gli sarebbe piovuto addosso.
C”è qualcosa però, in questa faccenda, che non mi torna e provo a rifletterci.
In sostanza, cos”è che fa tanto arrabbiare i sostenitori e gli attivisti del Movimento 5 Stelle? Cos”è che li porta a scagliarsi con tanto livore contro chi li critica. Di preciso non lo so: alla prima occasione ne parlerò di persona con gli amici del gruppo regionale piemontese.
Nel frattempo provo a farmi (e a farvi) qualche domanda.
Cos”è che non si può dire?
Non si può dire che Grillo è persona molto ricca e che questo stride un po” con l”aura da guru che lo circonda, con i proclami rivoluzionari, con la devozione che molti sembrano portargli?
Non si può dire che lo stile, la modalità , il linguaggio con cui Grillo attacca la casta è troppo aggressivo, violento?
Non si può dire “questo stile, questo linguaggio non mi piacciono”?
Non si può dire che inneggiare al vaffanculo a ripetizione si presta a fastidiosi paralleli con una certa prosopopea leghista?
E quindi non si può dire che Grillo, e quegli esponenti/seguaci del Movimento 5 Stelle che sono particolarmente influenzati dal suo “stile”, usano metodi dialettici violenti e scarsamente rispettosi dell”interlocutore?
Non si può dire, senza esprimere giudizi – né negativi, né positivi – in proposito che Grillo trae sicuramente anche un ampio profitto economico dal successo del Movimento 5 Stelle?
Cos”è che disturba così tanto nella messa in discussione di Grillo? Cos”è che provoca queste reazioni così rancorose?
Un po” è la frustrazione che subiamo da decenni (da secoli?) di gattopardeschi trasformismi ad opera dei partiti, la sindrome da scatole piene che ci porta a reagire in modo scomposto a chi si permette di mettere in discussione anche solo un aspetto di un processo, di un movimento, di un percorso che, va detto, ha veramente una sua unicità , una sua indipendenza, una sua autentica provenienza dal basso.
Un po” è nello stile stesso, nel linguaggio di cui sopra: questa modalità così diretta e aggressiva di portare avanti le denunce e le proposte, non può non accompagnarsi con una modalità diretta e aggressiva di difenderle.
Un po” è il timore (legittimo) che attaccando il leader c”è chi vuole delegittimare tutto il movimento.
E quindi mi chiedo: il Movimento 5 Stelle ha ancora bisogno di Grillo? Probabilmente sì. Ne ha bisogno tanto quanto ne aveva prima di nascere? Probabilmente no, e ne avrà – mi auguro – sempre meno bisogno. Difenderlo a spada tratta su tutto serve? Non credo. La risposta più intelligente a chi critica il M5S definendolo Grillo-dipendente e autoreferenziale, accusandolo di distruggere solamente e mai di costruire, addebitandogli il peso della responsabilità delle vittorie del centrodestra, sarebbe una progressiva e seria maturazione del movimento, che forse in realtà già sta avvenendo: se molte reazioni alle critiche e alle provocazioni sono volgari e cariche di stizza, infatti, molte altre argomentano sui contenuti e sulle peculiarità di cui spesso chi critica il M5S finge di non accorgersi.
Una maturazione che passa sì attraverso l”operato serio, entusiasta, disinteressato dei tanti consiglieri comunali/provinciali/regionali in giro per l”Italia, ma che credo anche non possa prescindere da una evoluzione del linguaggio, della disponibilità al dialogo, della capacità di mettere in discussione anche se stesso, a partire dalla persona che lo ha tenuto a battesimo.
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Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/29/da-fava-al-vaffa-e-viceversa/65761/.
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