‘ di Nanni Salio.
«Avrei voluto fare resistenza nonviolenta gandhiana, ma mi chiedo: Gandhi cosa avrebbe fatto davanti ai lacrimogeni CS? Si sarebbe alzato e sarebbe scappato o sarebbe rimasto a soffocare come i topi?» Con questo interrogativo, Davide Bono, consigliere regionale per la lista 5 stelle in Piemonte, conclude una breve intervista riportata nel Manifesto (5 luglio 2011, contenuto anche in una sua testimonianza più ampia). Anche altri e altre chiamano in causa il buon Gandhi e più in generale la nonviolenza. E allora non resta che chiedere direttamente a lui: caro Gandhi che cosa risponderesti? Ascoltiamo cosa, presumibilmente, ci potrebbe dire.
La prima cosa che vi direi, carissimi amici e amiche, è che bisogna distinguere un “evento” da un “processo”: porre una domanda relativa a un singolo evento senza dire cosa è successo prima non è di grande aiuto. Quali forme di lotta nonviolenta avete organizzato e quali si sono dimostrate più efficaci? Quali erano gli obiettivi? Quale l”organizzazione? Quale la vostra preparazione?
La tragica esperienza della manifestazione di Genova del 20 luglio 2001 contro il G8, di cui ho sentito parlare, avrebbe dovuto insegnarvi che un “assedio”, e a maggior ragione un “assalto”, sono operazioni rischiose e possono facilmente sfociare in reazioni violente da entrambe le parti, a meno di essere preparati, addestrati anche a sostenere le più brutali violenze da parte della polizia ed essere organizzati per impedire infiltrazioni, provocazioni, azioni violente da parte di singoli o di gruppi che non condividono pienamente l”approccio nonviolento.
A questo proposito, voglio ricordarvi un episodio che è stato reso particolarmente famoso dal film che Richard Attenborough ha realizzato su di me: l”assalto ai depositi di sale noto come Dharasana Satyagraha (per approfondire, vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Dharasana_Satyagraha) e che Yogesh Chadha ha ampiamente ricostruito in un suo libro.
Il 4 maggio 1930, qualche mese dopo la famosa “marcia del sale”, venni arrestato e
«. la guida del movimento passò alla poetessa Sarojini Naidu, che alla testa di 2500 membri del Congress si diresse verso le saline di Dharasana, duecentoquaranta chilometri a nord di Bombay; Sarojini ammonì i volontari: ”Non dovete alzare neppure una mano per proteggervi dai colpi”. Con Manilal, secondogenito del Mahatma, in prima linea, i satyagrahi si avvicinarono ai bacini saliferi circondati da un fossato e difesi da quattrocento poliziotti indiani, al comando di sei ufficiali britannici. Una colonna scelta di dimostranti si fece avanti, guadò il canale e si appressò allo steccato avvolto dal filo spinato: gli ufficiali di polizia ordinarono loro di disperdersi, ma essi ignorarono in silenzio quell”avvertimento, e continuarono a procedere lentamente. Il noto corrispondente della United Press, Webb Miller, che era riuscito a essere presente alla scena, così descrisse gli eventi:
All”improvviso, a un cenno di comando, frotte di agenti indiani si gettarono sui manifestanti che ancora avanzavano, e li coprirono di bastonate con i loro lathi dalla punta d”acciaio. Non uno di loro sollevò sia pure un braccio per schivare i colpi. Cadevano come birilli… La folla dei dimostranti aspettava, gemendo e trattenendo il respiro sotto l”impressione di ogni percossa. Quelli colpiti cadevano rovinosamente, svenuti o torcendosi per le lesioni alla testa o alle spalle.
http://www.youtube.com/watch?v=-XarpddX1BI
Dopo un certo tempo si cambiò tattica: venticinque uomini avanzavano e si mettevano a sedere, mentre la polizia continuava a picchiarli alla cieca con i lathi .” (Yogesh Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, Mondadori, Milano 1988, p. 294. La descrizione continua con episodi che hanno dell”incredibile per l”entità della violenza e il coraggio e la determinazione dei satyagrahi.)Per completare queste riflessioni vi ricordo un altro episodio avvenuto anni prima, sempre attraverso le parole di chi ha ricostruito quegli eventi.
«Nel marzo del 1919 prese il via a Delhi la prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevedeva il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte, per protestare contro le misure restrittive che gli inglesi imponevano sulla libertà personale degli indiani e che intendevano mantenere anche dopo la guerra.
Gandhi oppose un movimento di disobbedienza civile che iniziò il 6 aprile, con uno spettacolare sciopero generale della nazione con astensione di massa dal lavoro, accompagnato da preghiera e digiuno.
Gli aderenti a questa campagna furono invitati a firmare una formale dichiarazione redatta dallo stesso Gandhi, in cui si impegnavano a disobbedire nel caso in cui queste leggi venissero applicate. Poiché Gandhi proclamò il satyagraha un processo di auto purificazione sacra si decise di sospendere il lavoro in tutta l”India per un giorno dedicando tale giornata al digiuno e alla preghiera.
Tale processo però non ottenne i risultati che ci si aspettava, anzi ebbe l”effetto contrario.
Iniziò la repressione degli indiani da parte degli inglesi. Gandhi fu arrestato per aver venduto copie di pubblicazioni sediziose. Scoppiarono disordini in tutta l”India. Particolarmente feroce fu la repressione ad Amritsar (30 marzo) da parte del generale Edward H. Dyer, che aprì il fuoco su una folla radunata per un comizio uccidendo trecento persone e ferendone circa un migliaio.
Gandhi fece autocritica, sospendendo subito la campagna satyagraha, e ammettendo di aver commesso un errore di proporzioni himalayane avendo voluto spingere gli indiani alla disobbedienza civile, senza un”adeguata educazione alla nonviolenza, al senso del dovere e del rispetto della legalità .» (http://www.parlandosparlando.com/view.php/id_592/lingua_0/whoisit_1)
Allora caro Gandhi, se abbiamo ben capito ci dici che la resistenza popolare nonviolenta, che tu chiamavi satyagraha, richiede coraggio, determinazione, addestramento, disciplina, scelta oculata degli obiettivi intermedi. Tutte condizioni che occorre preparare e coltivare con cura. Certo, anche tu sai bene che oggi vengono lanciati centinaia di lacrimogeni, ma forse ritieni che non siano più micidiali dei colpi che ricevevate con i lathi, o dei colpi di fucile con cui gli inglesi hanno represso le manifestazioni dei centomila resistenti nonviolenti pathan guidati da Badshah Khan, noto come il Gandhi della frontiera, che si era affiancato alla tua lotta.
Care amiche e amici valsusini, ci direbbe ancora Gandhi, non pensate che sia mia intenzione darvi una “lezione” dall”alto, dall”aldilà . Conosco bene le difficoltà di ogni sorta che avete affrontato in questi oltre vent”anni di lotta. Ma oggi siete giunti a un punto cruciale, che richiede da parte di tutti, anche coloro che sono solidali, ma meno direttamente coinvolti, un impegno maggiore.
Forse non sarete capaci nell”immediato di comportarvi come i satyagrahi, ma alcune cose potete farle lo stesso. Per esempio, con le sue azioni “estemporanee” il vostro caro amico Turi Vaccaro si muove da tempo lungo gli impervi sentieri della nonviolenza attiva tanto che i media, pur con le loro pesanti distorsioni, gli hanno dedicato ampio spazio. Che cosa succederebbe se ci fossero “dieci, cento, mille Turi”?
Voglio aggiungere che anche io ho conosciuto momenti di debolezza, di sconforto, addirittura di depressione. In quei frangenti ho scoperto che il digiuno può essere uno strumento formidabile di auto purificazione, di riflessione interiore, di analisi dei nostri errori per valutare attentamente quali scelte compiere.
Allora vi suggerisco di lanciare un digiuno che coinvolga man mano decine, centinaia, migliaia di persone che si riuniscano in un luogo pubblico significativo e importante, con l”adesione delle principali personalità solidali con il vostro movimento.
E poi vi consiglio di continuare a moltiplicare le azioni e le manifestazioni condotte in modo rigorosamente nonviolento, in luoghi diversi, per costringere i politici che non intendono vedere e dialogare ad accettare un confronto serio e non generico sulle ragioni che da tempo andate esponendo, aiutati da autorevoli personalità del mondo della scienza, dell”economia, della tecnica.
Vi faccio notare che nel corso dei miei molteplici “esperimenti con la verità ” mi sono trovato anch”io di fronte a un bivio:
«Fino al 1906 mi sono affidato esclusivamente alla ragione. Ero un riformatore molto attivo e un ottimo redattore di petizioni, in quanto avevo sempre una chiara visione dei fatti, che mi proveniva da una rigorosa osservanza della verità . Tuttavia, quando giunse il momento critico, nel Sudafrica, dovetti scoprire che la ragione non era sufficiente. La mia gente era eccitata, e si cominciava a parlare di vendette. Mi trovai di fronte all”alternativa tra aderire anch”io alla violenza o trovare un altro metodo per risolvere la crisi e far cessare l”ingiustizia, e allora mi venne in mente di rifiutare di obbedire alle leggi discriminatorie, affrontando per questo anche la prigione. Nacque così l”equivalente morale della guerra. Da allora mi sono andato sempre più convincendo che la ragione non è sufficiente ad assicurare cose di fondamentale importanza per gli uomini, che devono essere conquistate attraverso la sofferenza. La sofferenza è la legge dell”umanità , così come la guerra è la legge della giungla. Ma la sofferenza è infinitamente più potente della legge della giungla, ed è in grado di convertire l”avversario e di aprire le sue orecchie, altrimenti chiuse, alla voce della ragione». (M.K.Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1973 e 1996, p. 5.) Quella di cui sto parlando è la sofferenza che accettiamo su noi stessi, ma che non infliggiamo agli altri, come hanno fatto nel corso di tutta la storia umana i “giusti” durante la shoah, i bodhisattva, i satyagrahi, Gesù Cristo, la cui immagine sulla croce mi ha colpito e ispirato moltissimo.
Allora, carissimi, organizzate manifestazioni più impegnative, ma con uno specifico e chiaro obiettivo, per quanto circoscritto, con gruppi che si alternano nella resistenza, qualora si venga attaccati dalla polizia, disposti a farsi arrestare in massa.
Mi avete detto, e lo avete gridato a tutti quanti, che la polizia userà i lacrimogeni, illegali (sostenendo che questo è ciò che hanno in dotazione e scaricando la responsabilità su altri). Ma il rispetto dei diritti umani vale per tutti, manifestanti e forze di polizia, nessuno escluso, e la responsabilità , come insegna da tempo il diritto internazionale, è individuale: ribellarsi e disobbedire è giusto. L”obiezione di coscienza vale anche per i poliziotti e i carabinieri. E” dunque doveroso che dialoghiate con loro, senza incutere paura, per evitarne la disumanizzazione e favorirne la maturazione e la presa di coscienza che li aiuti a superare comportamenti di cieca obbedienza.
Sin dagli anni in cui organizzavo la lotta nonviolenta in India, avevo proposto la costituzione delle Shanti Sena, corpi civili di pace per intervenire e interporsi tra fazioni in guerra. Ora vedo con piacere che, in Italia e altrove, siete andati molto avanti su questa strada ed esiste da tempo una “Rete dei Corpi Civili di Pace” (www.reteccp.org) che interviene, pur con modeste forze, in situazioni di conflitto armato in varie parti del mondo (dalla Colombia alla Palestina dal Kosovo al Guatemala, ecc.) per facilitare la prevenzione e la riconciliazione e interporsi tra le parti in lotta. Ho saputo che intervengono anche all”interno del vostro paese per affrontare le varie forme di illegalità diffusa che chiamate con il termine onnicomprensivo di “mafie”, una realtà purtroppo diffusa anche nella mia amata India.
Allora vi suggerisco di chiedere ai “corpi civili di pace” (ben diversi dai semplici “servizi d”ordine”) di monitorare le manifestazioni e di rendersi disponibili per “interporsi” tra forze dell”ordine ed eventuali gruppi che non rispettino le tecniche e i metodi della nonviolenza come è avvenuto, mi è stato detto, nei casi più felici, per esempio durante la “Mostra navale bellica” a Genova nel 1989.
Tutto questo è alla vostra portata. Chi di voi non sia pienamente persuaso di quanto vi ho suggerito, accetti almeno di seguire la nonviolenza in termini pragmatici (la nonviolenza negativa, intesa solo come astensione dalla violenza, di cui parlano sia Johan Galtung, che ha ampiamente studiato il mio pensiero, sia Gene Sharp).
So inoltre che la posta in gioco non è solo quella del TAV in Val di Susa, ma una più generale lotta per il cambiamento strutturale di un modello di sviluppo e di un sistema economico che stanno distruggendo gran parte degli ecosistemi e impoverendo masse crescenti di persone, come avevo scritto, ormai un secolo fa, nel mio modesto libriccino Hind Swaraj. Vi ricordo quello che dissi allora: «la Terra possiede risorse sufficienti per soddisfare i bisogni fondamentali di ciascuno, ma non l”avidità di pochi».
Anche per questo, caro Gandhi, ti ringraziamo e dopo questi tuoi suggerimenti speriamo di essere all”altezza del compito che ci aspetta, insieme a quella moltitudine di altri movimenti che stanno lottando per i “beni comuni” e hanno saputo organizzare una straordinaria campagna referendaria su acqua e nucleare, coronata da successo.
Fonte: http://serenoregis.org/2011/07/caro-gandhi-no-tav-e-adesso-cosa-dobbiamo-fare-nanni-salio.
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