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Gli Stati e le multinazionali fanno incetta di pianure fertili, fonti, pascoli, boschi. Li sottraggono ai paesi troppo poveri. La terra resta lì, ma i suoi frutti vanno altrove, nei forzieri dei paesi che hanno fatto cassa con l”inquinamentoÂ
di Antonio Cianciullo – repubblica.it.
PIANURE fertili, fonti, pascoli, boschi: sono questi i beni di cui gli Stati e le multinazionali cominciano a fare incetta nell”era della scarsità di risorse. Le potenze nascenti non conquistano più le terre con gli eserciti, le comprano sottraendole ai disperati troppo poveri per opporsi al potere della finanza.
La nuova corsa all”oro si chiama land grabbing e in 10 anni ha virtualmente delocalizzato un territorio grande più di sette volte l”Italia: 227 milioni di ettari hanno cambiato padrone.
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La terra è sempre lì, ma i suoi frutti vanno altrove, finiscono in buona parte nei forzieri dei paesi che hanno fatto cassa con l”inquinamento e ora si attrezzano per sopravvivere in un pianeta esausto.
I numeri sono contenuti nel rapporto Land and Power curato da Oxfam 2, l”associazione che in questi giorni sta lanciando vuna raccolta di fondi, via sms, per il Corno d”Africa 3. Non tutti i 227 milioni di ettari sono sicuramente classificabili come land grabbing, ma dietro le acquisizioni di terreni, caratterizzate quasi sempre da una scarsa trasparenza, si cela spesso questo fenomeno.
Oxfam ha analizzato circa 1.100 accordi relativi all”acquisizione di 67 milioni di ettari: il 50% delle compravendite sono avvenute in Africa e coprono un”area quasi pari alla superficie della Germania. La ricerca è stata condotta sul campo, visitando i luoghi e raccogliendo testimonianze e racconti. Racconti come quello di Christine Longoli, una degli oltre 20 mila ugandesi che hanno denunciato di essere stati costretti ad abbandonare le loro case per far posto alle piantagioni estensive: “Ricordo la mia terra, tre acri di caffè, tanti alberi, mangrovie e avogado. Avevo le mucche, le api. Mi avevano dato anche un premio come agricoltore modello. Ora non ho più nulla, sono la più povera tra i poveri”.
O come quella di Lokuda Losil, 60 anni e 30 acri, sempre in Uganda: “Gli uomini della New Forest Company sono venuti e hanno cominciato distruggere i raccolti e a demolire le case ordinando di andarcene. Picchiavano la gente che non riusciva a scappare”. La New Forests Company, una società britannica che ha ottenuto ampi riconoscimenti da parte del governo ugandese e dichiara di seguire rigorosi codici di comportamento, smentisce le accuse, ma il rapporto riferisce di migliaia di testimonianze sulle violenze subite da parte dei contadini, sull”arresto dei leader delle comunità locali, sulla distruzione di scuole e strutture sociali.
E l”Uganda non è un caso isolato: con quasi 3 miliardi di persone che vivono in aree in cui non c”è acqua a sufficienza, chi può accaparra frammenti di natura. In Honduras, la Bajo Aguan Valley, una delle regioni più fertili, a meta degli anni Settanta era stata affidata a 54 cooperative. Negli ultimi dieci anni un”escalation di violenze mirata a concentrare le proprietà terriere nelle mani di pochi latifondisti è culminata, nell”ottobre del 2010, con l”assassinio di 36 contadini e la militarizzazione dell”area.
In Guatemala, dove il 78 per cento dei terreni è di proprietà dell”8 per cento degli agricoltori, la spinta a moltiplicare la produzione di biocarburanti ha portato a triplicare l”area destinata alla palma da olio espellendo i contadini che lavoravano la terra per coltivare cibo per la propria sopravvivenza. Nel marzo 2011, 800 famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro comunità nella Polochic Valley. Si calcola che entro il 2050 la produzione di olio da palma raddoppierà a livello globale portando a un”estensione delle coltivazioni su un territorio grande 6 volte l”Olanda.
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