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di Antonino Bonan*
Si dà qui conto sommariamente di una vicenda veneta, complessa e da molto tempo all”ordine del giorno. Una di quelle che mostrano però soprattutto come sia urgente opporsi alla devastazione ambientale dei nostri territori, favorendo la costruzione di alternative organiche e partecipate di economia locale. Verso nuovi paradigmi di sostenibilità che afferiscano anche alla scala ampia.
Io e un”amica di Alternativa, qualche giorno fa siamo stati tra il pubblico di un infuocato Consiglio Comunale, a Monselice (PD). Una piccola esperienza di formazione politica, discretamente istruttiva.
Il contesto
Nel contesto di una delle zone con aria più inquinata del mondo (la Valpadana), la bassa Padovana è da decenni rovinata da cementerie, cave, inceneritori, mega allevamenti, centrali a biomasse, zone industriali senza soluzioni di continuità …. Poi magari arriva un”alluvione, come nel 2010, e ci si accorge della precarietà di un ormai compromesso sistema di canalizzazione fluviale. Insomma, si concentrano svariate criticità ambientali.
Tra Monselice ed Este, da molto tempo si fabbrica il cemento. Un”attività che inquina parecchio e si è concentrata in quella zona per la presenza di molte cave tra i colli Berici e soprattutto Euganei.
Una piccola buona politica in passato mise una pezza, inventandosi un Parco regionale sui Colli Euganei per frenare la devastazione delle cave (che non servono solo le cementerie).
Ora il Parco Colli è lasciato degradare nella scarsità di fondi, nelle clientele, nella demotivazione o nel collateralismo rispetto agli Enti locali di cui è emanazione. Tant”è che esso ha perfino approvato, anche per i prossimi decenni, la compatibilità ambientale delle cementerie al suo interno. Per far fronte alla crisi (-30% per la filiera), i cementieri han cercato di assicurarsi almeno di restare in zona con ristrutturazioni/riammodernamenti della produzione attraverso il cosiddetto revamping, meglio se riciclando rifiuti speciali come ceneri e gessi chimici, in sostituzione alle materie prime come calcare e argilla. Un bell”esempio di rilocalizzazione e riciclo, insomma, ma nel senso peggiore, soprattutto per chi ci abita.
L”impatto paesaggistico è evidente, ma non ha ormai più alcuna presa su una popolazione ormai abituata all”esagerata densità residenziale, commerciale e industriale del Veneto.
L”impatto sulla qualità dell”aria è appariscente, visto il sensibile fumar dei camini. Gli studi sulle ricadute sanitarie proliferano, anche se di solito parlano di altre zone del mondo, d”Italia, del Veneto. Ecco perchè la lotta contro i cementifici a Monselice parte dalla difesa della salute a fronte delle emissioni degli impianti in atmosfera.
La lotta non è molto supportata dal controllo ambientale dell”ente pubblico, sia per diversità d”intenti (l”ente ha da monitorare l”intera pianura veneta a campione, prima che le moltissime sorgenti d”emissioni inquinanti “puntuali”; mettiamoci l”aggravante di fondi che scarseggiano…), sia perché la tecnologia in realtà non permette tutto questo monitoraggio di precisione. Resta il fatto che ci si lamenta un po” ovunque degli inceneritori, ma dove c”è un cementificio capita di avere anche emissioni peggiori. Immaginiamoci poi cosa succederebbe facendo il cemento con circa 1/3 di quei rifiuti speciali….. Basterà , semprechè esista, un camino capace di catturare molta parte dei fumi rilevabili come “polveri sottili”?
Un cenno di cronaca
A questo punto inizia il teatrino della politica locale, di cui qui espongo solo qualche dettaglio recente, necessario per inquadrare la situazione del Consiglio Comunale al quale ho assistito.
Il sindaco di centrodestra di Monselice fa di tutto per agevolare i cementieri (tentando d”influenzare una prossima sentenza del Consiglio di Stato sul revamping), parte dell”opposizione si oppone trovando ogni volta appigli un po” diversi. Altri sindaci della zona (Este e Baone) firmano ricorsi e denunce coi comitati anti-cemento.
Una delle aziende (il colosso Italcementi) annuncia il congelamento dei progetti, con ridimensionamento dell”attività produttiva e licenziamenti. Una risposta agli ostacoli frapposti al progetto, o una scelta dettata dalla crisi? Di tutto un po”, comunque da non prendersi semplicemente come un “punto a favore degli ambientalisti”, come tendono a fare le tifoserie più ignoranti e i giornalisti più cialtroni. Tra cui in prima linea quelli dei giornali del gruppo Caltagirone.
Fatto sta che opposizione e comitati sono accerchiati: in prima linea contro si ritrovano lavoratori e sindacati tutti. L”assedio si manifesta in varie situazioni che a volte, per ora fortunatamente solo a livello mediatico, suonano come vere e proprie minacce paramafiose. I sindacati convocano i lavoratori e le loro famiglie al consiglio comunale, per sostenere il revamping e contribuire al linciaggio morale di chi s”oppone al progetto. Gli oppositori lanciano un appello virale di risposta, con l”obbiettivo di una presenza numerosa in appoggio alla propria fazione in consiglio comunale.
Si arriva così al Consiglio Comunale a cui abbiamo assistito. Prima della seduta e durante di essa, le due fazioni del pubblico arrivano quasi allo scontro fisico. E la seduta in sè pare un talk show. Sindaco e maggioranza quasi silente contribuiscono ad una difesa truccata da assalto e linciaggio. Rispondono dall”altra parte tre consiglieri abbastanza agguerriti, che sparano a raffica buone mozioni sempre bocciate, “a prescindere” dalle argomentazioni.
Emblematico dal punto di vista “storico”, un anziano ex sindaco, ora consigliere d”opposizione. Costui difende orgogliosamente il suo passato, per essersi opposto come sindaco ad un inceneritore. Ma alle cementerie, tutti (lui compreso) han detto di sì per decenni e decenni in nome del lavoro… proprio come i sindacati confederali, oggi scagliati contro di lui assieme alla giunta di centrodestra.
Possibili prospettive di lotta
La lotta contro l”impero del cemento sta entrando, con la crisi, in una fase cruciale. Per avere sbocchi reali (e non violenti, ovvio), non possono più bastare iniziative limitate come un sit-in o un ricorso al TAR da parte di piccoli comitati locali d”una zona. C”è da sperare perciò nello sviluppo di una rete di mobilitazioni, che coinvolga ad esempio altri siti italiani interessati dai piani di rinnovo delle cementerie.
Pare naturale il raccordo anche con altre vertenze ambientali, culturali e di legalità , riguardanti vari cascami lungo la filiera del cemento. Penso agli ettari di terreno che diventano inutilizzabili per sempre, all”inumanità delle città diffuse, alla natura che diventa un ricordo, al riciclaggio monetario nel mercato immobiliare, alle grandi opere che anche dal punto di vista finanziario ingoiano il futuro di più generazioni… Tutte cose che si toccano con mano nel “mitico Nordest”, come pure in troppe altre parti del nostro Paese e dell”intero pianeta.
Ognuna di queste non può essere solo una delle tante forme di visibilità per una formazione politica, che si vanti di “puntare più in alto”. È proprio la nostra difesa in quanto cittadini, proprio laddove possiamo sperimentare forme di democrazia e nuove configurazioni dell”economia!
Verso una sostenibilità locale, partecipata e realistica
A Taranto come nella bassa Padovana e in molti altri luoghi, cresce il bisogno di costruire un”economia locale sostenibile. C”è da lavorare per trasformare il bisogno in consapevolezza e volontà diffuse, similmente o diversamente (chissà … dipende da come si sviluppano le iniziative) rispetto a quanto accade già in Val Susa.
In questa direzione vorrebbero muoversi i comitati ambientalisti di Monselice e dintorni: con l”intento di raccogliere le idee di chi vuole costruire un altro modo di sostentare la società locale, anche al di là delle illuminazioni dai consueti circoli ambientalisti o d”estrema sinistra. Perchè non si può vivere di solo cemento, specie in un territorio dove le risorse sono anche ben altre. Si è miopi, se tutto si riduce sempre al contrasto tra “ambiente” e “lavoro”.
E lo si è altrettanto, se ci si riduce alle consunte retoriche di “sviluppo sostenibile”.
Infatti c”è da difendersi, non da attaccare. Terre come il Veneto non sono più lande da domare come un selvaggio West, molte altre risorse (oltre al suolo) non saranno più facilmente accessibili come nel recente passato. Salvo limitate eccezioni, l”inventiva locale non potrà mai più sperare di realizzare profitti paragonabili alle ricchezze insostenibili (socialmente e ambientalmente) del capitalismo globale oggi dominante. Più ampia è la scala, più la crescita verde è solo il miraggio di chi sia disposto a genuflettersi, dinanzi ai Grandi Investitori della Green Economy.
Anche se non ci sarà crescita, per un territorio devastato s”è fatto comunque decisamente urgente ripensare i fondamenti della propria economia. Sarà la sua gente a dover costruire o recuperare attività produttive che siano più sostenibili rispetto alla filiera del cemento. Prima che, a furia di ricatti occupazionali e altre mancanze contingenti di alternative, si perda ogni residua speranza.
* Responsabile Alternativa Veneto.
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