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'Una legge internazionale per l''autocostruzione'

Come riprendere una capacità di produrre cultura autonoma.

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3 Marzo 2013 - 19.28


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Come riprendere una capacità di produrre cultura autonoma

di Ettore MacchieraldoMegachip

L’impiego di robots, ormai inarrestabile, sta escludendo gran parte del lavoro umano dalle fabbriche, dagli uffici e dai servizi, da quello meno qualificato a quello più qualificato. La disoccupazione è in continua crescita e si cerca di attenuare questa tendenza irreversibile con diversi accorgimenti. Con il promuovere attività sostanzialmente improduttive nell’ambito dell’Amministrazione pubblica oppure in quello della “creatività” commerciale, e, anche, consentendo lo sviluppo di attività illegali e di quelle inerenti al loro controllo.

Così scriveva già più di dieci anni fa Enzo Mari in un suo libro (E. Mari, Progetto e passione, Bollati Boringhieri, Torino, 2001). Ancora non si parlava molto di decrescita, ne felice né infelice, c’era una consapevolezza di una necessità di cambiamento (era l’anno del G8 di Genova), forse c’era più di adesso, in forma più libera.

Quando lessi quel libro lo trovai molto aderente alle cose che stavo facendo.


Vi sembrerà strano ma faccio il falegname. Promuovere autocostruzione non dovrebbe essere tra le mie principali attività. Un po’ come quando nei cartoni animati ci si sega il tavolato di legno da sotto i piedi e si precipita nel vuoto.

Non penso ci possa essere futuro per i mestieri, per i saperi artigianali, senza che vi sia questo cambio di paradigma culturale:

Ovvero una produzione su misura ma necessariamente attentissima ai costi favorirebbe un’essenzialità (e qualità) della forma paragonabile a quella dei contadini autocostruttori. Gli oggetti sarebbero più cari ma più duraturi, riparabili e riutilizzabili: sparirebbe l’assurdo spreco del nostro “usa e getta”.

Già perché era proprio della cultura contadina, nei momenti di scarso lavoro nei campi, dedicarsi alla produzione degli oggetti (soprattutto attrezzi da lavoro) di cui si aveva necessità..

Certo c’era anche la bottega artigiana, ma a livello contadino, i saperi erano più condivisi.

Questo è un metro su cui si misura i limiti del progresso. Ovvero l’innovazione tecnologica e dei sistemi produttivi ha di fatto limitato la capacità degli uomini, direi tutti, oppressi e oppressori, di controllare il processo. Cioè di sapere come si fa, di poter intervenire nelle scelte.

Non è un’invettiva contro la tecnica, anzi la tecnologia attuale consentirebbe una possibilità di liberazione. Ma la tecnica è un mezzo, mentre adesso viene trattato come un fine.

Questo ragionamento aprirebbe anche un capitolo piuttosto ampio su cosa sia la cultura. In generale si intende per cultura il grado di acculturazione di una persona o di un gruppo di persone, ovvero la scolarità e l’indice di analfabetismo. Questi sono alcuni aspetti che misurano il livello culturale. Ritengo, però, che siano cultura tutte le forme di espressione artistica, sociale, politica che mostrano la consapevolezza che una persona, una classe o un gruppo ha di sé.
Perciò, specie nel mondo occidentale degli scorsi secoli, è esistita una cultura popolare che si esprimeva prevalentemente in forma orale, o con la produzione di oggetti quotidiani, o nella capacità di costruire forme di organizzazione sociale e politiche autonome.

La modernità ha tritato tutto questo in un bel frullatore, permettendoci di mangiare tutti la stessa pappa.

E’ una perdita, specialmente ora che le crisi ci costringeranno a uscire dalla comodità dell’usa e getta e a cercare la bellezza dell’imparare e fare con gli altri.
Insomma dalla “liberta personale che finisce dove comincia la libertà di un altro” alla: “libertà che comincia esattamente e soltanto dove comincia la libertà di un altro”.

Vorrei però condividere con voi la proposta che Mari fece in quel libro del 2001. Proposta di Legge, che sembrava allora solo utopica, ma oggi è molto concreta.

Dunque, quali forme di lavoro meno alienanti ma utili si possono immaginare? Immaginiamo che tra qualche anno le Nazioni Unite accettino di votare una legge della quale si anticipa qui qualche articolo grossolanamente approssimativo:
1) tutti gli oggetti oggi prodotti industrialmente, ma producibili artigianalmente potranno essere realizzati solo in botteghe autonome gestite da non più di tre persone e un apprendista. I loro ruoli di produzione e commercializzazione dovranno essere intercambiabili; sarà proibito realizzare con procedure industriali i prodotti artigianali dei quali sarà redatto un elenco completo; sarà proibita la proprietà di più botteghe compresa quella della loro concentrazione commerciale;
2) continuerà a essere prodotto industrialmente solo ciò che richiede una potenzialità di organizzazione e di investimenti per la realizzazione di componenti altamente standardizzate o tecnologicamente molto complesse
3) un organismo centrale, dotato di pieni poteri (è ancora utopia!), controlla che questa legge sia pienamente rispettata in ogni paese […]
Si può obiettare che i costi saranno eccessivi per gli oggetti di tipo non élitario. E’ però prevedibile il loro contenimento, sia per la produzione sia per la vendita, basato su due condizioni. La prima corrisponderà alle tecniche del nuovo modo di produrre e al suo mercato. Si ridurranno i costi di trasporto e di imballaggio perché gli oggetti saranno prodotti e distribuiti solo localmente, per le stesse ragioni si ridurranno i costi di amministrazione e di pubblicità; semilavorati industriali prodotti appositamente saranno disponibili a basso costo, così anche piccole e sofisticate macchine utensili che potranno semplificare e potenziare le produzioni. La seconda condizione corrisponderà a facilitazioni di diverso tipo alle botteghe artigiane concesse dalle Amministrazioni pubbliche, finanziate dal risparmio di stipendi di disoccupazione altrimenti necessari.

Io la sottoscrivo, e voi?

 

 

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