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Venezia, storia di un suicidio

Il Mose? È come se a uno con rischio di infarto non consigliassero diete né movimento, per scommettere tutto su una costosa e complicata operazione di angioplastica.

Venezia, storia di un suicidio
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10 Giugno 2014 - 00.01


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di Tomaso Montanari.


Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza.
Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero
lentissimi. 

Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella
vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.

Per
mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato
equilibrio della Laguna, che è la particolarissima “campagna” che
circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o
vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna
si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia.

I
veneziani capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva
dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il
mare. Non mancarono le discussioni: celeberrima quella cinquecentesca
tra Alvise Cornaro, che avrebbe voluto bonificare la Laguna, e Cristoforo Sabbadino,
che ne difese vittoriosamente la manutenzione continua. Così la storia
di Venezia – ha scritto Piero Bevilacqua – è stata “la storia di un
successo nel governo dell’ambiente”.

Una
storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è
definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno
veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche,
industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali
d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la
secolare manutenzione .

Il risultato è stato
un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria
alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di
fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere
l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.

Fu allora che emerse la terza via:
il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo.
L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola
che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo
rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad
alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto
su una costosissima e complicata operazione di angioplastica. Non
verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti : ma anche che
hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici
finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?

Follemente,
la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi.
Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata
affidata a un consorzio di imprese private (il Consorzio Venezia Nuova)
interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del
danno , il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente: anche
il controllo del Magistrato delle Acque, che si è trovato a ratificare
(invece che a sorvegliare) scelte operate in base all’interesse privato.

Sarebbe
difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si
distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla
morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti
continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del
1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano
inarrestabili, c’è ancora chi resiste, tra mille difficoltà. Esemplare
il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più
ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa
aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose: ebbene, la soprintendente architettonica veneziana Renata Codello
ha querelato l’associazione, che le rimproverava pubblicamente la
difesa delle Grandi Navi, e l’autorizzazione allo scempio (futuro) del
Fondaco dei Tedeschi e al raddoppio (in corso) dell’Hotel Santa Chiara
sul Canal Grande (quello dove, secondo i pm, la segretaria di Giancarlo Galan avrebbe ricevuto le mazzette!).
E che avvocato ha scelto la Codello? Ma quello del Consorzio Nuova
Venezia, che controlla il Mose. Pulire la Laguna, insomma, sarà
un’impresa lunga.



Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/05/venezia-storia-di-un-suicidio/1014897/.







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