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Mani in alto, questa è una rapina (legalizzata)

'Verificare chi come quando e perché speculerà sui crediti deteriorati delle banche ''salvate''? Impossibile. Il segreto tutela la distruzione del risparmio italiano.
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Mani in alto, questa è una rapina (legalizzata)
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8 Dicembre 2015 - 23.26


ATF

di
Simone Santini
.

Nel marzo scorso, il governatore della BCE Mario Draghi dichiarò: «l”Italia ha 750
banche […] Ogni CdA costa una certa cifra e tutto questo sistema è molto
costoso […] Capite che l”argomento per un consolidamento del sistema bancario
italiano è forte». Insomma, ci sono troppe banche nel nostro paese. Bisogna
semplificare con acquisizioni e fusioni. In parole povere: i pesci grandi devono mangiare i pesci piccoli.

Alcuni giorni fa il Presidente del
Consiglio Matteo Renzi ha detto che
bisogna: «Tornare a smuovere quella enorme massa di denaro che c”è, il denaro
del risparmio privato». L’Italia ha un altissimo debito pubblico ma anche un
altissimo risparmio privato. Ora basta
fare le formiche
anche se di doman
non c’è certezza
.

Con queste due coordinate va letto e
compreso nel profondo il decreto emanato dal Governo lo scorso 22 novembre,
cosiddetto “salva-banche”, che ha
sancito una piccola rivoluzione. Per la prima volta in Italia, e prima dell’entrata
in vigore della normativa europea conosciuta come bail-in dal 1° gennaio 2016, al
salvataggio di banche in crisi non concorre lo Stato
con soldi pubblici ma il sistema bancario e i risparmiatori in possesso di titoli
delle banche in oggetto, nello specifico azioni e obbligazioni subordinate.

Così, quattro piccole o medio-piccole
banche italiane territoriali, Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara
e CariChieti,
da tempo in crisi e commissariate da Banca
d’Italia
, hanno visto trasformare il proprio destino in un quarto d’ora
(tanto è durato il Consiglio dei Ministri) di una domenica pomeriggio.

Questi quattro istituti non esistono più. Al loro posto sono
nate quattro nuove banche, nuove di zecca, ricapitalizzate con soldi freschi
grazie ad un prestito arrivato dai tre maggiori gruppi italiani, Intesa Sanpaolo, Unicredit e UBI, e soprattutto ripulite delle cosiddette
“sofferenze”, ovvero i crediti 
difficilmente esigibili frutto di anni di mala gestione e su cui, in
diversi casi, le procure stanno indagando per storie di mazzette e ruberie
assortite. Ma dove sono finiti questi
crediti sofferenti?
Tutti in una bad bank, una banca cattiva separata
da quella buona, che avrà il compito di gestirli e soprattutto venderli a
società specializzate in recupero crediti.

Tutto bene, quindi, verrebbe da pensare. Ed
infatti i media, in coro, avevano
osannato
a caldo questa operazione del Governo: Banche salve! Correntisti tutelati! Nessun esborso per i contribuenti!

Ma vediamo più da vicino chi ci ha guadagnato (guadagnerà) e chi ci ha perso.

I grandi gruppi bancari precedentemente citati, che hanno sponsorizzato
l’operazione, avranno diverse facilitazioni. Sborsano nell’immediato una cifra
consistente ma avranno in cambio forti sconti
fiscali
e quando le quattro banche verranno quanto prima vendute al
migliore offerente (è questo lo scopo principale – se non esclusivo –
dell’attuale presidente unico per tutti e quattro i nuovi soggetti, Roberto Nicastro,
già direttore generale di Unicredit)
rientreranno anche del loro prestito. Faranno
un ghiotto affare anche gli acquirenti
(e chissà che non siano le stesse
banche “prestatrici” a fare una offerta) perché potranno comprare in saldo banche ripulite e che hanno
nei loro territori un insediamento storico. Unico ipotetico inghippo a questo
piano perfetto, una azione dei risparmiatori che prelevando massicciamente i
propri fondi da queste quattro banche, dimostrasse che l’affare approntato dal
sistema bancario non sarebbe poi così lucrativo. In fondo, la ricchezza di una banca è determinata dalla sua clientela. Se
loro se ne vanno, la banca smette di essere attraente per un nuovo compratore.

Capitolo bad bank. Qui la manovra è stata ancora più sporca. Le quattro banche in crisi avevano 8,5 miliardi di euro in crediti deteriorati. Mutui milionari azzardati
specialmente verso il settore edilizio che, complice anche la crisi attuale,
non tornano indietro. Tali crediti sono stati immessi nella bad bank per un valore di 1,5 miliardi. Una svalutazione eccezionale di oltre l’80% con accantonamenti ultra
prudenziali. Si calcola che il complesso del sistema bancario italiano abbia in
pancia 200 miliardi di crediti
deteriorati
. Se un tale coefficiente di svalutazione fosse applicato a
tutti, vedremmo una sequela ininterrotta di fallimenti bancari. Ben pochi si salverebbero. Forse nessuno.

In questo caso, però, tale svalutazione ha avuto due scopi precisi. Da un lato, azzerare il capitale delle banche per
consentire di far scattare il programma
di risoluzione
(ovvero il “salvataggio”) da parte di Banca d’Italia; dall’altro offrire su un piatto d’argento un
succulento cosciotto
da addentare. Chi acquisterà, speculando, i crediti
deteriorati e riscuotendoli riuscisse a spuntare anche soltanto un terzo del
loro valore nominale, farà un profitto di
oltre un miliardo
.

Visto che siamo in Italia, e in questi
mondi finanziari, affaristici, politici, esiste un intreccio inestricabile tra
controllori, controllati, amici e amici degli amici, sarebbe interessante poter verificare con assoluta trasparenza chi come quando e perché speculerà sui
crediti deteriorati delle banche “salvate”.

Ma non
potremo farlo
.

Tutta la procedura di risoluzione bancaria
è coperta dal segreto d’ufficio come
previsto, con una norma senza precedenti,
dall’art. 5 del recente decreto 180 che recepisce in Italia la normativa
europea del settore. A partire da Banca
d’Italia
e suoi dipendenti e giù giù scendendo al Ministero
dell’Economia, ad organismi come la Consob,
qualsivoglia pubblica amministrazione, commissari speciali, potenziali
acquirenti con i loro organi e collaboratori, insomma chiunque venisse a
conoscenza di notizie, informazioni, dati relativi ad una risoluzione bancaria,
è strettamente tenuto al segreto d’ufficio. Nessuno deve sapere nulla. È segreto. Tombale. 

E arriviamo al lato opposto del campo di
battaglia. Chi ci perde? In questo
caso è facile fare i conti. Le azioni
e le obbligazioni subordinate delle
vecchie quattro banche, che dopo il salvataggio vengono messe in liquidazione
coatta amministrativa, sono azzerate.
Non valgono più nulla, carta straccia.
Una perdita di risparmio tra
fondazioni e privati di svariate centinaia
di milioni di euro in un territorio abbastanza circoscritto
del
Centro-Italia, più di centomila persone
coinvolte.

Il Governo ha tentato di giustificarsi,
oltre che con il consueto ritornello «ce lo chiede l’Europa», sottolineando che
azionisti e obbligazionisti avevano assunto un «rischio d’impresa» e che tale rischio va pagato, facendo passare i risparmiatori per
investitori speculativi
. Peccato che l’acquisto
di azioni
fosse, spesso, un corollario
necessitato
per avere fidi e mutui,
peccato che su 780 milioni di subordinate azzerate meno di 200 erano di
tipologia Upper Tier2 con rendimenti
relativamente elevati e destinate a clientela istituzionale e il grosso fosse
invece di tipologia Lower Tier2,
destinato alla clientela retail
(piccoli investitori privati), ovvero a basso rischio e con rendimenti che in molti casi arrivavano a
mala pena all’1% lordo
. Alla faccia della speculazione!

Chi
conosce questi territori, chi conosce gli occhi delle persone che hanno visto
azzerare questi soldi, sa bene da dove arrivavano.
Sono
risparmi creati in più generazioni,
da passare dai nonni ai figli e fino ai nipoti. Sono i risparmi creati col lavoro della generazione del
dopoguerra, quella che ha costruito l’Italia così com’è, faticando a testa
bassa. Le province profonde di Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Toscana,
Umbria, terre laboriose, frugali, con un tessuto sociale che ancora resiste,
nonostante le sollecitazioni. Sono i risparmi di pensionati, artigiani, piccoli
imprenditori. Gente che ha sempre dato tutto chiedendo in cambio nulla. Con
dignità e generosità.  

E si torna così alle due coordinate da cui
siamo partiti. È cominciata una vera e
propria guerra
che ha una posta in
gioco
altissima: la risistemazione
dell’assetto bancario e la grande ricchezza del risparmio privato italiano
.
Non si faranno prigionieri e andrà sempre peggio. Questo è stato solo un primo colpo d’assaggio dopo la
legge di riordino delle popolari e la promessa di dedicarsi a breve al credito
cooperativo.

In
questa guerra la politica non guarderà nemmeno in faccia al proprio elettorato
di riferimento
, a testimonianza di quanto siano forti i
poteri che dirigono le danze, e se si scatenerà un po’ di panico sui mercati
bancari e obbligazionari, poco male. I risparmiatori saranno caldamente spinti
ad indirizzare gli investimenti verso i grandi
fondi finanziari internazionali
. I Masters of the Universe sentitamente
ringraziano.

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