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E in Europa pensano che la Russia stia per collassare

Ma è in Europa che le cose vanno male. Bruxelles non sa identificare i pericoli né riconoscere le sue cattive frequentazioni sulla scacchiera mondiale. [G. Petrosillo]

E in Europa pensano che la Russia stia per collassare
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5 Maggio 2016 - 20.35


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di Gianni Petrosillo.

La Commissione Europea prevede che la recessione in Russia si
aggraverà. E’ sempre facile fare i conti nelle tasche altrui,
soprattutto quando si vuole sviare l’attenzione dalle proprie.

Secondo gli analisti di mezzo mondo l’economia di Mosca aveva i giorni
contati, a fortiori con l’introduzione delle sanzioni di Usa ed Ue in
seguito all’annessione della Crimea contestata dalla Comunità
Internazionale. I bassi prezzi del petrolio imposti dal cartello saudita
avrebbero fatto il resto, colpendo un sistema che ha nell’eccessiva
dipendenza dalle esportazioni di materie prime il suo tallone d’Achille.
Sono passati mesi ed anni ma lo sfracello non si è visto. E quando mai
gli economisti ci hanno azzeccato? Non mancano le difficoltà sotto il
Cremlino ma di questi tempi chi non ne ha?

Semmai, è in Europa che le cose vanno davvero male. Oltre ai ben noti
problemi economici ci sono quelli politici. Anzi, i primi sono
accresciuti dall’assenza di una visione strategica di Bruxelles che
sbaglia ad identificare i pericoli ed ancor più a riconoscere le sue
cattive frequentazioni sulla scacchiera mondiale.

In ogni caso, difficoltà finanziarie e incomprensioni identitarie,
sembrano senza soluzione e possono effettivamente aprire le porte alla
dissoluzione dell’edifico unitario. Ma anche come cadavere che cammina
c’è chi ha interesse a che l’Unione sopravviva. Sappiamo di chi si
tratta. 

Alcuni membri minacciano di uscirne ma non sono sinceri,
infatti, (ab)usano (del)l’abbandono possibile per spostare i rapporti di
forza e cavalcano subdolamente le campagne di fuoriuscita per farle
fallire. Questo è il Brexit.

 Dietro altre simulazioni defezionatorie
agiscono le diatribe tra potenze nostrane che rivendicano la leadership e
si fanno i dispetti per interposte zone d’influenza all’interno dello
spazio comunitario (ma anche fuori), senza però mettere mai in
discussione il vincolo esterno che ci stringe a Washington. Questo è il
Grexit.

Anche queste sono pertanto reciproche intimidazioni a vuoto che
non cambiano lo scenario fondamentale di sottomissione dell’area al polo
americano. Tali circostanze certificano l’inesistenza di una politica
estera dell’Ue, elemento determinante di una fase storica in cui vanno
ridisegnandosi gli equilibri geopolitici del pianeta. Ognuno fa di testa
sua ma nessuno ragiona col proprio cervello. 

Si tratta di rompere certi
schematismi che ci legano anacronisticamente al campo occidentale di
cui gli States sono ancora il centro attrattore ma in condizioni diverse
dal passato. Occorre trovare una concreta unità d’intenti sulle
tematiche dirimenti dell’epoca in essere e sulla direzione da
intraprendere per reinventarsi protagonisti del presente e del futuro.
Tuttavia, nessuno si accolla la responsabilità di una rottura con gli
Stati Uniti che fanno ancora molta paura. 

Senza una consonanza con Mosca
questa opzione diventa effettivamente poco praticabile per chiunque,
anche per la potenza tedesca che al momento pare quella meglio
attrezzata e perciò vituperata dai filo-atlantici di ogni ambito.
Berlino ci mette del suo e non fa molto per migliorare la sua immagine
al cospetto dei popoli europei, bombardati dalla cattiva informazione
sull’austerity e la prepotenza fiscale da essi presuntamente esercitata.

La Merkel non è all’altezza del compito, ci vorrebbe ben altro per
esprimere una egemonia positiva per le sorti europee, anche se, tra i
suoi omologhi, la Cancelliera è quella che coltiva una prospettiva
politica meno ristretta e supina al volere d’oltreoceano.

L’Europa dovrebbe proporre una diversa architettura delle relazioni
eurasiatiche, anche a livello teorico, per costruirsi un’alternativa nel
palcoscenico multipolare in ebollizione. Non c’è iniziativa di
rinnovamento che, almeno inizialmente, non sembri cozzare con la dura
realtà. Ma lasciando le cose così come sono non ci sarà via di scampo
per noi. L’Europa sarà eletta a terreno di scontro tra forze
soverchianti, attraversata da dinamiche conflittuali sulle quali non
avrà incidenza e che la scuoteranno paurosamente. Le tensioni che si
svilupperanno lungo le linee di faglie multipolari e policentriche, per
la predominanza mondiale, la colpiranno da ogni lato, lasciandola
tramortita e priva di volontà. (All’Italia, in quest’ottica, andrà pure
peggio essendo da secoli lo stivale di molti piedi stranieri). Le si
appresta, insomma, un tragico destino, quello dell’arena in cui si
scaricano le energie e le contraddizioni del caos di fronte alle quali
resterà disarmata e devastata. 

Altro che collasso della Russia. 

Eppure i
nostri centri studi continuano a produrre spazzatura che proietta sul
capo altrui i macigni che ci stanno piovendo addosso. 

Per esempio, uno
di questi ha recentemente profetizzato la fine del regime di Putin. Si
tratta di un documento dell’European Council on Foreign Relations nel
quale si scrive che oramai la Russia è uno Stato che si regge sulle armi
più che sul consenso. 

Davvero strano se si guardano ai sondaggi che
accordano all’establishment guidato da Putin il 90% del favore popolare. 

Inoltre, la Nato spinge sull’acceleratore degli armamenti almeno quanto
Mosca e soprattutto sulla periferia europea. 

Da questo presupposto
falsificato dai fatti si evince che la classe dirigente russa starebbe
per crollare. Addirittura nel giro di un anno. 

La combinazione di varie
minacce – dalla crisi economica ai tagli sociali, dal terrorismo esterno
(proveniente dalla Siria) a quello interno (il Caucaso), sino al
conflitto in Ucraina – farà esplodere la Russia. 

A guardarle bene sono
le stesse minacce che mordono i polpacci all’Occidente ma,
evidentemente, per i nostri esperti, le risposte europee saranno
migliori di quelle russe. 

Sul tema del terrorismo lo si è visto negli
attentati di Parigi e di Bruxelles. 

Su quello finanziario non ne
parliamo. 

Il libero mercato termina sulla soglia di una grande banca da
salvare. 

Superiamo la crisi negando l’evidenza e ricorrendo ad
abbondanti iniezioni di fiducia. Fiducia che neghiamo continuamente a
chi è schierato al nostro opposto. Quanto a decurtazione della spesa
pubblica e dei servizi sociali non siamo secondi a nessuno. La maniera
in cui (non) stiamo reggendo alle sanzioni contro Mosca, che ci rovinano
più di quanto ci avvantaggino, è proverbiale. I conflitti territoriali,
come quelli che si annunciano nell’area balcanica, saranno presto
paragonabili a quello ucraino. Ma a chi vogliamo dare lezioni?

Un altro dato, che emerge dalla disamina dell’European Council on
Foreign Relations, ci lascia ugualmente perplessi. Putin si starebbe
isolando al potere per timore dei colpi di mano, sostituendo gli uomini
più preparati del suo entourage con adulatori e servi. 

La paranoia dello
zar però non è niente in confronto a quella delle burocrazie europee
che sono sature di imbecilli e camerieri alle dipendenze delle
consorterie politiche e finanziarie d’ispirazione americana. 

Almeno in
Russia non prendono ordini da fuori benché, ovviamente, anche lì
esistano trame di ogni genere per accaparrarsi il potere. Tuttavia, i
russi non firmano alla cieca accordi di libero-scambio dai quali
otterranno maggiore sottomissione. 

Per di più, Bruxelles vuole essere
faro di democrazia ma non tiene in gran conto le consultazioni tra i
suoi cittadini. Vorremmo ricordare che in Aprile l’Olanda ha votato
contro l’adesione dell’Ucraina all’Europa ma già il giorno appresso la
Commissione procedeva sulla strada della liberalizzazione dei visti per i
cittadini dell’Ucraina con l’intento di accelerare l’integrazione di
Kiev nell’Ue. Bella coerenza.

Il problema demografico. In Russia la popolazione continua ad
invecchiare ad una velocità pericolosa ma Putin e la sua cerchia non ne
hanno colto i rischi. In Europa, invece, abbiamo capito tutto e abbiamo
risolto il dilemma con un colpo di genio, aprendo le frontiere a
chiunque, esponendoci ai flussi migratori incontrollati che ci causano
difficoltà sociali ben più perniciose.

La rigidità del sistema. Un sistema politico fortemente centralizzato,
che si basa su un leader carismatico, è incapace di rigenerarsi se il
capo viene a mancare, se viene screditato o se improvvisamente muore
ecc. ecc. Basta un urto per sconvolgere tutto l’apparato. 

Ammesso e non
concesso che questa sia la descrizione del sistema russo, vogliamo
parlare della leadership europea che non è carismatica, non è forte, non
è unitaria e sopperisce a tutte queste mancanze nascondendo ai
cittadini i suoi piani (vedi ancora gli accordi segreti sul TTIP) o,
persino, evitando di coinvolgerli sugli argomenti dove teme di uscire
sconfitta o contraddetta?

 

Noi scommettiamo che tra un anno la Russia sarà ancora al suo posto,
con o senza Putin, perché quest’ultimo, sebbene figura magnetica e
simbolo della rinascita russa, non esaurisce nella sua individualità un
progetto collettivo esitato da un nucleo dirigente di non risibili
proporzioni che saprà esprimere altri presidenti e altri collaboratori. 

 Scommettiamo che nel lungo periodo essa sarà ancora il principale
antagonista degli Usa, così come alcuni segnali epocali lasciano
intendere. 

Chissà se potremo dire lo stesso dell’Europa Unita, questo
cadavere politico che cammina come un gambero, con gli occhi rivolti ad
uno scenario geopolitico quasi estinto. 

La Vecchia Europa è ormai
soltanto un’Europa Vecchia con la badante americana che la tiranneggia e
la schiaffeggia non appena alza la testa. 

Non diciamo in un anno ma in
qualche lustro, se non cambia carattere e si ravviva, il defunto sarà
seppellito.

 

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