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ITALIA – EUROPA – MONDO

Si potrebbe pensare che il pensiero profondo dell’élite geopolitica americana cominci a puntare alla disgregazione dell’Europa e conseguente eutanasia dell’euro.

ITALIA – EUROPA – MONDO
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27 Settembre 2016 - 17.44


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di Pierluigi Fagan

Jakub J. Grygiel insegna alla P.H. Nitze School della Johns Hopkins University,
ritenuta il vertice dell’insegnamento per le Relazioni Internazionali
(in compagnia di F. Fukuyama e Z. Brzezinki), consulente OECD e World
Bank, pubblica su American Interest e Foreign Affairs. Proprio sul
numero di Settembre della rivista americana  che dà voce a gli studiosi
degli scenari internazionali e della geopolitica dal punto di vista
americano, Grygiel lancia la visione (qui)
di una Europa in cui ritornano di centralità gli Stati-nazione. Ma non
lo fa come lo farebbe un giornalista decerebrato dal tormentone retorico
del terrore per il ritorno dei nazionalismi e dei populismi, lo fa da
sano realista, intuendone la necessità e poi cogliendone le opportunità.
Grygiel definisce l’UE “sconnessa,
inefficace ed impopolare” e più avanti “in chiaro deficit democratico”.
Crisi dei migranti, asimmetrie non più sostenibili all’interno della
zona euro, paralisi geopolitica nei confronti della Russia, del Medio
Oriente, del Nord Africa, senza più il fidato (per gli americani)
sergente britannico, scollamento ormai palese tra progetto ed opinioni
pubbliche. Forze destabilizzanti che, in assenza di risposte e
soluzioni, portano sempre più leader politici nazionali ad un ritorno
alle leve di sovranità interna. L’utopia europea sembra aver perso la
scommessa contro la sovranità nazionale.

Un ritorno allo Stato-nazione che,
secondo lo studioso, non porta di necessità ad un traumatico
scioglimento dell’UE ma ad una richiesta di minori vincoli unionisti e
maggior libertà nella gestione delle essenziali leve del potere
stato-nazionale, sul modello della linea del Gruppo di Visegrad –
Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. A Grygiel  non è
sfuggito il recente meeting di Atene per una – secondo lui giusta –
rivendicazione di un interesse comune degli stati mediterranei a lungo
ignorati da Bruxelles (si scrive Bruxelles ma si legge Berlino).  Questo
ritorno all’interesse nazionale non porta necessariamente allo spettro
del nazionalismo ma ad un sano “patriottismo” (!). La sovranità non
porta di
necessità l’ostilità tra le nazioni e queste potranno ben mantenere in
comune il loro mercato come la Gran Bretagna vorrebbe fosse nel dopo
Brexit. Del resto, sulle contraddizioni tra Unione e Nazione, secondo
l’americano, soffia da tempo la Russia fiancheggiatrice dei molti gruppi
populisti e nazionalisti attivamente supportati e finanziati e se si
lascerà loro il monopolio della pulsione al ripiegamento nazionale,
allora sì che gli spettri più inquietanti usciranno dai sepolcri.

Ecco allora il sano realismo tipico della
maggior scuola di IR americana: “Una rinazionalizzazione dell’Europa
potrebbe essere la migliore speranza del continente per la sua
sicurezza”. Gli USA hanno sponsorizzato il progetto Europa ma dal
momento che gli europei non sono stati in grado di portarlo ad efficace
compimento, continuare a supportarlo significherebbe porsi sul versante
sbagliato, lasciando sole (cioè ai russi) le forze oggettive che
reagiscono a questo fallimento. Ed ancora: “Washington non deve temere
lo scioglimento della UE” (si scrive -non deve temere-, si legge -deve
favorire-). Ed a proposito dell’inazione e la passività dell’UE sul caso
ucraino, meglio allora fiancheggiare direttamente come gli USA  gli stati
di contatto confinario con la Russia: “Le persone sono molto più
disposte a combattere per il loro paese, per la loro storia, il loro
territorio, la loro comune identità religiosa, piuttosto che per un
organismo regionale astratto, creato per decreto”. Dunque si prevede
che qualcuno dovrà “combattere”, come ha ben intuito la Germania che ha
varato -di recente- le sue allarmanti guideline per una “protezione
civile” che tenga conto dei rischi di guerra chimica e nucleare e quel
qualcuno dovrà esser aiutato generosamente da chi non vede l’ora di
soccorrerlo.

E poiché al realismo si può sempre unire
il perseguimento di fini utilitari strategici, ecco -rispetto al nuovo
spezzatino degli insignificanti staterelli europei tornati “sovrani”-,
domandarsi “come altro potrebbero difendersi dalle minacce alla propria
sicurezza?” sia tra quelle presenti, sia tra quelle dell’immediato
futuro che gli americani  saranno
sempre più pronti a spandere a piene mani ai quattro angoli del globo?
Ma rinforzando il vincolo NATO, è ovvio! E non solo, si parla di paesi
“sopraffatti dalle migrazioni di massa”? Ecco allora il discorso di
Obama alla Nazioni Unite che annuncia un coordinamento americano di 50
paesi pronti ad accogliere rifugiati. Qui non s’improvvisa nulla, gli
americani creano i problemi e poi piazzano anche le soluzioni, del resto
il marketing -più o meno- l’intelligence del nostro modo economico, di
norma fa proprio questo. E poiché anche il “soft” del “power” ha le sue
esigenze, ecco che Kant sarà pur stato tedesco ma visto che i tedeschi
non sono capaci di gestirne l’eredità,  ora l’imperativo categorico lo
verniciamo a stelle e strisce (qui), perché la leadership ha da essere anche etica.

Si va quindi a chiudere  con uno
squillante: “ l’Europa sarà in grado di affrontare le sfide per la
sicurezza più urgenti solo se abbandona la fantasia di unità
continentale e abbraccia il suo pluralismo geopolitico”. “E pluribus
unum” è il motto americano dal 1776, noi “pluribus” siamo e “pluribus” è
meglio che si torni ad essere.

Tecnicamente parlando, questo è lo
scontato ed eterno revival del “divide et impera”. La locuzione latina è
sovraesposta e pochi ne colgono il ruolo essenziale nella dottrina
imperiale di ogni tempo e luogo. Il “divide et impera” coglie e rinforza
anche l’altro dispositivo storico di relazione tra entità politiche
sovrane diverse, il “nemico del mio nemico è mio amico” (ve ne sono poi
varie versioni a seconda di come assortite i tre termini che come il
famoso “problema dei tre corpi” di H. Poincarè, è alla base delle
situazioni complesse). Questi concetti, percepiti come motti di semplice
saggezza popolare storica, sono appunto storicamente saggi perché veri,
utili, provati e riprovati. Oggi veniamo tutti educati al “nuovo”, ma in
queste faccende concrete e non ideali l’empirico dà molte più garanzie e soddisfazioni.

Gestire “from behind” i territori che
intermediano tra un impero (USA) ed il nemico (Russia), nel nostro caso
l’Europa, è lo standard di una gestione geopolitica sistemica. Si
possono così ottenere una serie di situazioni estremamente vantaggiose:
 1) la possibilità dello “sherry picking” ovvero scegliersi  i partner
utili a questo o quello, volta per volta, mettendo anche gli uni contro
gli altri in una gara alla fedeltà imperiale che ne abbassi le pretese e
ne rimuova le resistenze; 2) sabotare l’emersione di un nuovo polo
europeo pronto a giocarsi la partita nel mondo nuovo che oramai s’è
capito sarà multipolare (vedi ambizioni della Germania);  3) sobillare
le paranoie dei singoli stati più propensi alla frizione con la Russia e
poi con la Cina facendo impantanare questi ultimi che debbono dare
approdo alla loro Via della Seta, nella pari complessa gestione del
vociante pollaio europeo con cui -soprattutto i cinesi- non hanno alcuna
dimestichezza.

Del  resto i britannici questo hanno
preso a fare con l’idea di trattati commerciali one-to-one ora che non
sono più legati ai vincoli unionisti e tra l’altro, ora che non ci sono
più loro, ecco che tedeschi e francesi si fanno strani disegni in testa
come la nuova forza armata europea o l’affossamento del Ttip. L’euro,
così com’è, non solo non serve a niente visto che la Germania non si
allinea alle allegre politiche espansive stile Fed o BoJ e con
l’ossessione austera deprime la domanda inceppando l’intero meccanismo
globale a proprio esclusivo vantaggio e chissà se qualche quota delle
riserve mondiali che andranno necessariamente perse per far posto allo
yuan, non potranno esser recuperate dal dollaro, togliendolo di mezzo
definitivamente. La Via della Seta, infine, bussa ai confini dell’Iran
ed Erdogan di conseguenza ha cominciato a prepararsi come tappa
successiva, manca poco che le infrastrutture arrivino a destinazione,
cioè proprio in Europa. Meglio frammentare il territorio per rendere la
vita difficile ai cinesi, altrimenti l’Europa è persa e con essa la
guerra intera poiché, come ogni studente al primo anno di IR sa,
l’atlantismo è il paradigma indiscutibile del Sistema Occidentale
guidato dagli Stati Uniti. Persa l’Europa, ecco l’Eurasia, l’incubo
geopolitico madre di tutta la geopolitica anglosassone.

E poiché si stava parlando di atlantismo
eccoci alla cronaca recente. L’Atlantic Council, il think tank nato nel
1961 per sovraintendere allo sviluppo e gestione dei legami che fanno il
Sistema Occidentale, tramite le mani di John Kerry, ha attribuito il
Premio Cittadino Globale
2016 a Matteo Renzi. Dal vertice di Atene con i paesi mediterranei,
Renzi ha intrapreso una manovra di distinzione dal precario “direttorio”
messo in piedi in maniera improvvisata da Merkel ed Hollande dopo
Brexit. Della divergenza, si è vista palese evidenza al recente vertice
di Bratislava ma anche nella firma italiana di un documento assieme ad
altri 11 paesi europei che vogliono continuare le trattative sul Ttip (qui)
ed infine, nel non invito al vertice di Berlino del 28 Settembre tra
Merkel, Hollande e Juncker che per altro ha fatto sapere a Renzi che di
“flessibilità” ne ha avuto anche troppa, il che significa guai. Nel
mezzo, appunto il premio americano che Kerry ha conferito dicendo che
“l’Italia è sulla buona strada”, “buona strada” per andare dove?

Dopo Ventotene e gli annunci di impegno
comune per la difesa europea, si sono incontrati il ministro francese
con quello tedesco ma non con quello italiano. La difesa italiana quanto
ad industria, è legata a doppio filo prima con quella britannica e poi
con quella americana e poiché il senso del nuovo programma della nuova
difesa europea è legato proprio alla sviluppo di una ricerca ed un
produzione competitiva per questa industria, ecco che, tornati
dall’isola sul continente i tre leader, le strade si sono subito divise.
O stai di qua o stai di là.

Quella italiana rimane la strada di una
fedeltà atlantica senza alternative, la “buona strada” per la quale
Renzi è stato premiato non solo all’Atlantic Council ma anche con il
principale servizio di Vogue America (qui) con tanto di foto di Annie Leibovitz nel quale Renzi è presentato come il riformatore che ha liberato il suo partito liberal
da ideologie retrodatate, il riformatore dell’Italia ma anche il
prossimo riformatore dell’Europa (?).  Premiato infine, con l’invito ad
una inedita “cena personale” alla Casa Bianca, il prossimo 18 Ottobre
con la famiglia Obama. Atlantismo di ferro, sempre più attivo in casa
nostra vista la possibile, prossima nomina anticipata dall’Espresso, del
Presidente RAI -Monica Maggioni- a responsabile della sezione italiana
della Commissione Trilaterale (qui). Allineamento già rimarcato in Afghanistan, Iraq e Libia.

Arrivando alla somma che fa il totale, si
potrebbe pensare che il pensiero profondo dell’élite geopolitica
americana cominci a puntare alla disgregazione dell’Europa e conseguente
eutanasia dell’euro e chissà se Joseph Stiglitz, “annusando l’aria”
ovvero questo nuovo consensus che vien formandosi a Washington, abbia
anche da ciò tratto motivazione a riproporre la vecchia idea della
separazione degli euro a cui ha dato gran pubblicità proprio qui da noi
con un inedito tour estivo. L’Italia sembra assurgere a paletto di
frassino da conficcare nel cuore germanico che gli americani sanno che
-da sempre- non batte certo per loro, da cui multe ad Apple e ritorsioni
su Deutsche Bank.
È dal dopo Brexit che la stampa ecofinanziaria
anglosassone ha lanciato la nuova profezia dell’Italia come secondo
uscente dall’impianto europeo (dall’euro) ed in questi casi si sa che
certe profezie servono proprio per auto avverarsi. La sequenza delle
prossime elezioni in Euroland: referendum ungherese, Austria, ennesimo
tentativo spagnolo, Olanda, Francia per concludere a Settembre 2017 con
la Germania, garantisce un’Europa sempre più scettica su se stessa e
paralizzata dai rinnovi di potere, se Renzi fosse lanciato da una
vittoria referendaria, potrebbe attaccare proprio mentre son tutti
distratti. Non è detto vada tutto liscio ovvio, potrebbe ad esempio
spuntare fuori un Trump che scombina un po’ i piani americani ma chissà
poi di quanto, l’interesse americano ha una sua oggettività che
prescinde dall’interprete che abita la Casa Bianca. Agli americani
piace l’idea dell’uomo del destino ma la sostanza è che sono un sistema e
l’uomo del destino ha invero un solo destino possibile: servire
l’interesse del sistema. In otto anni, Obama, non è riuscito neanche a
chiudere un carcere (Guantanamo), se firma una tregua coi russi in Siria
il sistema manda i bombardieri a farla saltare, cosa di più potrà fare
il -very powerful man- con i capelli color giallo pulcino?

Noi in quanto cittadini del sistema italiano, rimaniamo sempre un passo indietro. Contro
l’euro e contro l’UE facciamo il gioco degli americani
imperial-globalisti, a favore facciamo il gioco della Germania
ordoliberista che ci devasta con le sue “riforme”. Per il “nostro
gioco”, il turno non arriva mai. I tanti che si deliziano e dilettano
sul concetto di sovranità, dovrebbero ogni tanto dare un occhiata a
quanto il mondo è complesso (nazione, regione, pianeta), a quante poche
speranze di emancipazione ha un soggetto cieco e fragile che come nei
film di Romero, scappa impaurito da un orda di zombie ordoliberisti, per
finire nelle braccia dei Dottor Stranamore e viceversa. “Interesse
nazionale” concetto davvero incomprensibile per un paese che al massimo è
diventato uno Stato ma non ancora una nazione.

Fonte: https://pierluigifagan.wordpress.com/2016/09/26/italia-europa-mondo/

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