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Francia, populismo e oligarchia

La Francia pone la questione: distinguere dove ci sia un’azione favorevole ai popoli e dove ce ne sia una favorevole alle élite e alle oligarchie.

Francia, populismo e oligarchia
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24 Aprile 2017 - 21.37


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di Roberto Siconolfi.

Le
presidenziali in Francia rappresentano un modello utile ad analizzare il modo
in cui il potere si dispiega nei suoi vari livelli, a partire da quello
economico-finanziario fino a quello politico-ideologico. Assistiamo, e da tempo
ormai, a uno scompaginamento delle categorie alle quali siamo stati abituati. A
riguardo la capacità dell’intellettuale deve essere quella di interpretare, con
la mente e con il cuore, le contraddizioni e lo spirito del tempo.

Le
presidenziali francesi portano in politica un contrasto che dal punto di vista
delle classi economiche si fa sempre più irriducibile e chiaro, anche se –
proprio per via della sua riconfigurazione in corso – apparentemente confuso.

Da un
lato abbiamo l’élite finanziaria, che
costituisce la classe dominante ristretta del capitalismo bancario e che scalza
ormai quasi del tutto quello produttivo.

Al suo
servizio troviamo un blocco unico costituito innanzitutto dal mainstream mediatico e culturale, che ha
sempre più il posto primario nella capacità di servire le forze economiche
rispetto alla politica storicamente intesa.

Sul
gradino politico abbiamo un’alleanza tra tutte quelle forze che fanno capo al
Partito Popolare Europeo e al Partito Socialista Europeo, passando per quelle
liberali. Un ruolo preciso lo ha la socialdemocrazia – intendendone l’accezione
dei secoli XIX e XX – per la sua capacità totalizzante, compresi i suoi settori
“radicali”. Essa, oltre a non essere più in grado di interpretare le
contraddizioni principali del nostro tempo, costituisce addirittura la migliore
copertura ideologica con la quale il capitale finanziario fa passare le sue
direttive sui popoli.

Anche
le sue ali estreme, talvolta inconsapevolmente, partecipano a questo gioco.
Esse a vario livello si mobilitano: contro Trump sulla questione dei diritti,
ma senza dire una parola su politica estera e sul riassetto interno a favore
dei poteri principali finanziario-militari; manifestano contro la “fascista” le
Pen per la sua politica anti-immigrazione, senza comprendere che è essa stessa,
l’immigrazione, un mezzo col quale le élite deprezzano il costo del lavoro;
attaccano il “tiranno” Putin per i suoi divieti contro presunti manifestanti
per le libertà, quando è proprio Putin a costituire un argine alle pretese
imperialiste e anti-democratiche USA.

L’ottica
giusta, l’alternativa – per forza di cose in via di elaborazione – è quella di
scompaginare innanzitutto lo schema classico politico sinistra/destra in tutte
le sue configurazioni.

Sostituire
a questo schema la vera contraddizione principale, quella tra capitale
finanziario e popoli.

E
nello schieramento che a noi interessa, quello dei popoli, legare tutto quel
tessuto politico, ideologico e culturale che – anche se disposto su posizioni
diverse e storicamente antitetiche – può essere ricomposto.

Costruire
una sorta di “Fronte Unito”, come quello che unì il Kuomintang e il Partito
Comunista Cinese ai tempi in cui occorreva resistere all’invasione giapponese.
In questo caso, però, gli invasori sono la BCE, l’Euro, la NATO, e quella
categoria magmatica e pervasiva – in grado di penetrare nei livelli più
impensabili della coscienza Рche ̬ il mainstream mediatico.

In
Francia, in vista del ballottaggio, non è certo un caso la forte mobilitazione del
blocco di potere appena descritto a sostegno di Emmanuel Macron, uomo di
fiducia dei Rothschild.

Di
contro è opportuno rilevare quanto nella realtà dei fatti le cose si propongano
sempre più su questo schema. Il candidato Mélenchon, infatti, è stato bravo a
catalizzare, anche se da sinistra, lo stesso tipo di malcontento e di visione
anti-establishment che è stato proprio alla Le Pen. Da notare anche le sue
posizioni in materia di immigrazione
(che considera «un esilio forzato»),
che riducono la naturale differenza dal candidato del FN. Questo a testimonianza
del fatto, che il pensiero unico pone un vero tabù sulla questione e – con la
copertura ideologica dell’umanitarismo socialdemocratico – riesce a rendere
bene accetti i traffici di schiavi, che provocano quel processo di contraddizione
tra masse autoctone ed extra-comunitarie.

In
tutta Europa, ci sono forze politiche o anche genericamente “culturali” che
risultano utili ai fini di questo ragionamento. Ogni paese ha la sua forza anti-sistema,
o quanto meno quel movimento in grado di catalizzare l’azione dei popoli.

Possiamo
partire dall’Italia dove al netto delle loro dirigenze – che in questo momento
non ci interessa analizzare – sia la Lega che il M5S possono andare a insidiare
le élite sulla questione Euro, sulla NATO e più in generale su tutta la politica
estera (un nuovo rapporto positivo con la Russia).

In
Spagna, abbiamo Podemos che invece svolge questo compito, così come in
Inghilterra l’UKIP è interessante anche in virtù della Brexit, altro processo
storico che contiene elementi anti-establishment e che rientra nella logica
proposta. Altro caso interessante è l’Ungheria di Orbán, la quale porta avanti
un’importante azione per la chiusura dell’Università fondata dal magnate e
speculatore internazionale Soros, il grande elemosiniere delle rivoluzioni
colorate. È per contro da notare anche la Grecia di Tsipras, che ha invece
costituito un vero bluff in quanto ha immagazzinato le volontà popolari anti-Troika
solo per finire poi per realizzarne i voleri.

Sempre
in tema bluff possiamo definire anche la questione Trump. In realtà i problemi
veri della sua amministrazione – diversamente da quelli evidenziati dai grandi media
– sono stati quelle del passaggio, anche abbastanza repentino, da una politica
isolazionista ad un acceso interventismo. Passaggio sostanziato nei cambiamenti
nell’entourage del presidente.

Tutto
ciò deve essere utile per tenere comunque alta la vigilanza verso tutto quel variegato
fenomeno politico definito genericamente “populista”. È un interessante movimento
storico al quale guardare – e da analizzare – senza pregiudizi di alcun tipo,
tanto mento quelli dettati dalle categorie del pensiero unico e del
politicamente corretto. Esso è, però, anche un naturale bacino di consensi che
proprio gli stessi marpioni dell’establishment hanno già adocchiato da tempo. A
riguardo pensiamo a tutta la questione legata alla dirigenza del M5S, oppure al
caso del Partito per la Libertà di Wilders in Olanda, fatto passare come forza
anti-sistema, ma in realtà dalle posizioni fortemente neo-liberiste e filo-israeliane.
Tuttavia solo una buona capacità di analisi critica, scevra da pregiudizi
politici e ideologici, ci può far valutare, caso per caso, dove ci sia un’azione
favorevole ai popoli e dove ce ne sia una favorevole alle élite e alle
oligarchie.



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