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Unisci e impera.

L’impero latino. Il Mediterraneo inattuale di Alexandre Kojève. Una vecchia e suggestiva idea di riorganizzazione della geopolitica del Mare Nostrum, già ripresa da Agamben e Fagan.

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29 Novembre 2017 - 21.56


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di Antonio Coratti.
 
Il ruolo sociale, politico e culturale del Mediterraneo sarà oggetto del convegno internazionale “Lumi sul Mediterraneo”, che si terrà il 16 e 17 gennaio 2018 all’Università “Sapienza” di Roma. Anticipiamo il dibattito, che coinvolgerà numerosi studiosi e filosofi, con quest’articolo dedicato alla presenza del mare nostrum nel pensiero di Alexandre Kojève.
 
Il 27 agosto 1945 Alexandre Kojève redige il “Progetto di una dottrina della politica francese” con lo scopo di determinare «le condizioni necessarie e sufficienti» per garantire «l’effettiva neutralità durante un’eventuale guerra tra russi e anglosassoni», ovvero per mantenere il paese francese «in tempo di pace e contro la Germania, in una posizione economica e politica di primo piano nell’Europa continentale non sovietizzata» [1]
Alla fine della Seconda guerra mondiale, Kojève intuisce che gli Stati-nazione avrebbero inarrestabilmente ceduto il passo a nuove formazioni politiche per ragioni economiche che «si manifestano politicamente nell’ambito e a causa delle esigenze della tecnica militare» [2]
Come, alla fine del Medioevo, la comparsa delle armi da fuoco e, in particolare, dell’artiglieria aveva provocato il superamento delle formazioni politiche feudali subnazionali, che non disponevano delle basi economiche e demografiche per garantire una adeguata difesa del proprio territorio, allo stesso modo, gli esiti della Seconda guerra mondiale avevano evidenziato il fatto che un «esercito veramente moderno…motorizzato, blindato e dotato dell’aviazione come arma essenziale» sarebbe stato sostenibile solo da un’economia transnazionale, ovvero dagli “imperi” che di lì a poco avrebbero assorbito politicamente gli Stati-nazione [3]. Nella visione hegeliana di Kojève, dunque, gli imperi rappresentano il passaggio politico necessario e inevitabile dallo “Stato-nazione” all’“umanità” [4], la «realtà politica intermedia» costituita dalle «fusioni internazionali di nazioni imparentate [5]». 
Al termine del conflitto era, del resto, palese la cristallizzazione di due “blocchi imperiali”, quello anglo-americano da una parte e quello slavo-sovietico dall’altra, che avrebbe reso vano ogni sforzo di «voler mantenere nel lungo periodo la realtà politica di una nazione, quale essa sia»[6]
Persino la nazione tedesca, «di gran lunga la più potente delle nazioni propriamente dette», sarebbe stata ormai «incapace di affermarsi politicamente in quanto Stato», tanto da essere costretta ad «aderire politicamente all’uno o all’altro di questi imperi» [7]
Kojève delinea lucidamente il futuro prossimo dell’Europa, profetizzando, tra l’altro, «lo spettacolo di una Germania riarmata…con l’appoggio del mondo anglosassone», il cui impero vede nello stato tedesco il naturale “contrappeso” in Europa alla «potenza economica e militare e quindi politica dell’URSS» [8].
Da una parte, dunque, la Francia sarebbe stata ormai costretta a rinunciare alla propria autonomia politica a causa dello strapotere economico e militare dei due imperi, dall’altra parte, anche all’interno della stessa Europa, la nazione francese sarebbe ben presto stata ridotta al «ruolo secondario di un hinterland militare ed economico, e quindi politico, della Germania, divenuta l’avamposto militare dell’impero anglosassone» [9]
In un contesto in cui l’isolamento politico nazionale non è più sostenibile per nessuna delle nazioni europee, l’unica soluzione per evitare la progressiva disgregazione della “civiltà latino-cattolica”, assolutamente non rappresentata da nessuno dei due imperi, l’uno, quello anglosassone, di “ispirazione protestante” e l’altro, quello slavo-sovietico, di “tradizione ortodossa”, è lo sviluppo di una base politica autonoma e «sufficiente nelle condizioni storiche date [10]». 
Kojève, infatti, caratterizza lo scontro tra i diversi imperi come un vero e proprio scontro di “civiltà”, in cui l’elemento politico, economico e militare è sempre secondario e, in un certo senso, strumentale rispetto a quello culturale e religioso. Come l’etica del capitalismo anglo-americano, ad esempio, è stata alimentata dal protestantesimo che «si è soprattutto occupato dell’uomo-lavoratore», il richiamo alle origini cattoliche [11] dell’impero latino serve a rinsaldare la fondazione di una cultura universale che «ha soprattutto cercato, facendo spesso appello all’arte, di organizzare e umanizzare la vita ‘contemplativa’, anzi inattiva dell’uomo» [12]
Le radici cattoliche dell’impero latino sono, quindi, il segno di una “mentalità”, di un “atteggiamento” più originari di ogni sentimento nazionalistico [13] e che vanno al di là dello stesso “clericalismo”, manifestandosi spesso in pensieri, azioni e reazioni precisamente “anticlericali” [14]
Non a caso, Kojève individua nel Rinascimento «il periodo latino per eccellenza» [15], in cui i diversi aspetti delle civiltà coinvolte si sono armonizzati perfettamente. Infatti, oltre all’evidente rapporto di parentela che sussiste nella lingua e nel clima dei paesi latini, Kojève sottolinea «l’unità di fondo della mentalità latina», la cui più autentica specificità risiede «in quell’arte del tempo libero che è l’origine dell’arte in generale…in quello stesso ‘dolce far niente’ che solo se non fa seguito a un lavoro produttivo e fecondo (lavoro che l’impero latino farà peraltro nascere in virtù della sua semplice esistenza) degenera in mera pigrizia» [16]
L’agiatezza materiale, o il «semplice benessere borghese», garantiti dalla fervente attività economica e dalla forza politica dell’impero anglosassone, resterebbero finalizzati al vuoto espletamento di “piaceri volgari” senza il contributo decisivo dell’otium latino, che li eleva a “douceur aristocratica di vita”. E’ in questo aspetto che Kojève coglie il ruolo principale dell’impero latino nel “destino” dell’umanità, ovvero nell’era in cui «l’umanità presa nel suo insieme sarà una realtà politica» [17]: l’obiettivo dell’organizzazione e dell’umanizzazione del tempo libero, che, del resto, da Aristotele a Marx, è considerato il fine ultimo dell’umanità “liberata”. Solo l’impero latino potrebbe, infatti, mediare e conciliare l’antagonismo degli altri due imperi in nome dei valori “eminentemente” latini e cattolici di equilibriopace sintesi, costituendo una forza politico-militare che rappresenti un deterrente per ogni guerra futura, assicurando «la pace ai suoi membri e a tutta l’Europa occidentale» [18].
Il cuore culturale, politico e militare dell’impero latino è il Mar Mediterraneo, la cui unificazione sotto l’egida latina dovrà rappresentare «il fine concreto principale, se non unico, della politica estera dei latini unificati… l’idea-guida di tutta la sua politica [19]». 
Ma se, come affermava Braudel, il Mar Mediterraneo è quell’«immensa spugna che si è lentamente imbevuta di ogni conoscenza» [20], non si possono sottacere le profonde influenze esercitate, oltre che dalla tradizione latino-cattolica, dalla cultura araba e dalla religione islamica. Lo stesso Kojève richiama alla memoria l’influenza costruttiva del pensiero arabo sulla Scolastica e la penetrazione dell’arte islamica nei paesi latini, non escludendo la possibilità che l’impero latino possa dialogare pacificamente con il mondo islamico più di quanto abbiano saputo o potuto fare i singoli stati, mossi da «interessi puramente nazionali», dando vita, in questo modo, a un’intesa tra latinità e mondo arabo che «renderebbe singolarmente precaria la presenza di altre forze imperiali nel bacino mediterraneo» [21]
Solo attraverso un controllo totale del Mar Mediterraneo, infatti, si potrebbe realizzare una «unica politica di difesa militare», nonché una sola politica doganale atta a «garantire all’impero la possibilità di affrontare, in sede di esportazione, il mercato mondiale e di opporre all’importazione, in caso di necessità, un monopolio di acquisto a eventuali monopoli di vendita» [22]. Tuttavia, nella sua ontologia del presente, Kojève non scorge le condizioni sufficienti per la realizzazione nel proprio tempo dell’alleanza politico-economica, né, tantomeno, di quella culturale-religiosa, tra mondo latino e mondo islamico, come, del resto, testimonia lo stesso linguaggio kojeviano, così disinvoltamente “colonialista” da far apparire il progetto dell’alleanza latino-islamica molto lontano e, a tratti, chimerico. Per la costituzione di una «autentica unità economica» [23] dell’impero latino, Kojève ritiene, infatti, imprescindibile l’apporto derivante dal «piano unico di sfruttamento coloniale», per il quale è previsto un «dominio comune…indiviso e sempre accessibile nel suo insieme» [24] delle risorse dei patrimoni coloniali e delle stesse possibilità e condizioni di lavoro su tali territori, che dovranno essere le stesse per tutti i cittadini dei paesi aderenti [25].
Anziché considerare le popolazioni Nord-africane come alleati da coinvolgere nell’obiettivo comune di fondazione di un “impero mediterraneo”, cercando di conciliare le differenze religiose in un progetto culturale realmente universale, l’analisi di Kojève resta imbrigliata in una dialettica tutta interna al mondo europeo cristiano-cattolico. L’universalità di cui si preoccupa Kojève è, infatti, esclusivamente quella della Chiesa cattolica, che si è vista frazionare «dalle divisioni introdotte dall’elemento nazionale extra-cristiano e dalle forme economiche e sociali di cui questo elemento è portatore» [26] e l’impero latino rappresenta, in questo senso, il primo passo verso la riconciliazione della stessa Chiesa cattolica con quella protestante e ortodossa. 
In realtà, se Kojève avesse condotto fino alle estreme conseguenze la “secolarizzazione” del messaggio universalistico cattolico che, per principio, mira a conciliare l’umanità intera, la Francia si sarebbe proposta come primus inter pares non più del solo impero latino-cattolico, ma di un “impero mediterraneo” che comprendeva anche le popolazioni Nord-africane. In una visione di questo genere, non solo la Francia e l’intero “blocco latino” avrebbero goduto della riconoscenza dei paesi “liberati”, evitando le cruente conseguenze delle lotte per la decolonizzazione, ma la stessa “unione economica imperiale” avrebbe tratto profitti maggiori. Se, infatti, secondo le stesse valutazioni di Kojève, la forza del mercato comune dell’impero latino consisteva in primis nei dati socio-demografici, ovvero nel numero, pari a 110 o 120 milioni, di abitanti che «sarebbe senza dubbio capace di generare e di mantenere un’economia di grande calibro» [27], la sola presenza di ulteriori decine di milioni di cittadini avrebbe aumentato esponenzialmente le potenzialità economiche dell’impero. 
Inoltre, e questo è il punto fondamentale, Kojève stesso aveva prospettato scenari socio-economici secondo cui, contrariamente all’economia anglosassone «a mercato interno praticamente saturo» e alla «stabilità rigida e opprimente dell’economia sovietica», il mercato comune latino avrebbe vissuto decenni di costante crescita semplicemente soddisfacendo la domanda di innalzamento del «livello di vita nell’insieme dell’impero e in particolar modo in Spagna e nell’Italia meridionale» generando, tra l’altro, «un’offerta sempre maggiore di impiego» [28]. La prospettiva di un tale circuito virtuoso avrebbe assunto proporzioni notevolmente più consistenti in un “impero mediterraneo”, con all’interno paesi come l’Algeria, la Tunisia, il Marocco e la Libia che, ancora più di Spagna e Italia, avrebbero alimentato la domanda interna con l’obiettivo di adeguarsi agli standard dei “cugini” latini. Come noto, soprattutto a partire dagli anni ’60, la domanda di «innalzamento del livello di vita» e il conseguente «miglioramento delle condizioni materiali dell’esistenza» sarà effettivamente il tratto caratteristico della società europea, italiana in particolare, ma a soddisfarne le richieste non sarà alcun “impero latino”, né tantomeno, alcun “impero mediterraneo”.
Kojève, fine uomo politico oltre che grande filosofo, aveva lucidamente prospettato lo scenario di un’Europa a guida tedesca, con Francia (e Italia) relegate a «ruolo secondario di un hinterland militare ed economico, e quindi politico, della Germania» [29]
L’idea di un “impero latino-cattolico” nasce precisamente con la volontà di anticipare questo scenario, costituendo una forza politica sovranazionale, con un’identità storicamente e culturalmente definita, di cui la Francia sarebbe stata la guida e il Mar Mediterraneo il cuore. Ma un Mediterraneo senza la civiltà araba mediorientale e nordafricana, ridotta a “dominio” del mondo latino-cattolico, non è nient’altro che un’astrazione destinata a essere superata dalla Storia stessa. Il Mar Mediterraneo, oggi mare di nessuno, può tornare al centro della scena politica e culturale globale solamente se i popoli che lo abitano si riconoscano reciprocamente in nome di un dialogo che è nato prima di ogni scontro culturale e religioso e che è stato costitutivo non solo della nostra storia e civiltà, ma anche della nostra vita quotidiana attuale, delle nostre abitudini alimentari, del nostro magnifico paesaggio che, ancora oggi, chiamiamo mediterraneo [30].
 

Antonio Coratti è docente di Storia e Filosofia nei licei, dottorando alla Sorbonne con tesi “Husserl et le problème de l’espace”, ha conseguito, presso l’Università degli studi “La Sapienza” di Roma, due lauree quinquennali: una in Filosofia e Storia della Filosofia (2011) e l’altra in Scienze della Comunicazione (2005). Membro dell’associazione culturale Filosofia in movimento dal 2015, ha pubblicato il saggio Karl Lȏwith e il discorso del cristianesimo (Mimesis Edizioni, 2012) e l’articolo Il concetto di critica in Michel Foucault (Critica Minore, 2009).

NOTE
[1] A. Kojève, L’Impero latino, in Il silenzio della tirannide, Adelphi, Milano, 2004, p. 164
[2] Ivi, p. 165
[3] Ivi, pp. 165-166. L’esempio più evidente del superamento definitivo dello Stato-nazione come struttura economico-politica atta a far fronte alle sfide del proprio tempo, è quello del Terzo Reich che, nonostante il fatto di avere a disposizione «ottanta milioni di cittadini politicamente ‘perfetti’», è risultato «incapace di sostenere lo sforzo di una guerra moderna e quindi di assicurare l’esistenza politica del suo Stato». Kojève interpreta hegelianamente il destino della Germania nazional-socialista: «ai nostri giorni, una nazione, quale essa sia, che si ostini a mantenere la propria esclusività politica nazionale, deve presto o tardi cessare di esistere politicamente: o nel corso di un processo pacifico, o in seguito ad annientamento militare» (Ivi, p. 168).
[4] «Prima di incarnarsi nell’umanità, il Weltgeist hegeliano, che ha abbandonato le nazioni, risiede negli imperi» (Ivi, p. 170)
[5] Ivi, p. 169
[6] Ivi, p. 171
[7] Ivi, pp. 171-172
[8] Ivi, p. 172. In effetti, come noto, l’occasione per accelerare il processo di riarmo tedesco in chiave anti-sovietica si presentò con lo scoppio della Guerra di Corea (1950-1953), portato a termine ufficialmente il 5 maggio 1955, con l’ingresso della Germania Ovest nella NATO.
[9] Ivi, p. 173
[10] Ivi, p. 174. Secondo la teoria hegeliana di Kojève, infatti, i valori di una tradizione culturale non si possono conservare senza il supporto di una struttura politica in cui i valori stessi si riconoscano. Siccome, per le ragioni espresse in precedenza, la «base politica sufficiente nelle condizioni storiche date» non poteva più essere lo Stato-nazione, l’unica soluzione era la creazione di un terzo impero, che rappresentasse la cultura e le tradizioni “latine”.
[11] Kojève riconosce “l’aspetto religioso ed ecclesiastico” come origine fondante dell’impero latino, distinguendolo da quello “clericale”: «Francia, Italia e Spagna…sono in sommo grado cattoliche, anche quando anti-clericali. Nel caso della Francia, ad esempio, l’osservatore straniero è colpito dal constatare a qual punto i ‘liberi pensatori’… siano pervasi dalla mentalità cattolica più o meno laicizzata, almeno quando pensano, agiscono o reagiscono da francesi» (Ivi, p. 182).
[12] Ivi, p. 185
[13] Il cattolicesimo è intesa come forza storica che è riuscita a «forgiare e a esprimere le energie primarie che ancora servono da sorgente spirituale profonda all’insieme della vita francese, e latina in genere» (Ivi, p. 194).
[14] Ibidem
[15] Ivi, p.183
[16] Ibidem
[17] Ivi, p. 182
[18] «Troppo debole per attaccare, potrebbe essere sufficientemente forte per imporre la sua neutralità e salvare in questo modo dalla rovina le coste del Mediterraneo e l’occidente intero, non solo latino» (Ivi, p. 196).
[19] Kojève mette in evidenza il fatto che nessuna delle singole nazioni latine avrebbe mai potuto pretendere il controllo dell’intero Mediterraneo senza le altre due; in particolare, l’idea fascista del ritorno al Mare nostrum non era grottesca in sé, «ma soltanto nella ridicola pretesa di poterla realizzare con i soli mezzi di un’unica e isolata nazione»; Ivi, p. 195
[20] F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 2017, p. 24
[21] A. Kojève, op. cit., p. 188
[22] Ivi, p. 189
[23] Ivi, p. 187
[24] Ivi, p. 194
[25] Ivi, pp. 187-188. «La Francia dovrebbe peraltro fare tutto ciò che è in suo potere per ottenere dagli Alleati la restituzione all’Italia, anzi all’impero latino, delle colonie italiane del Nord Africa».
[26] Ibidem
[27] Ivi, p. 190
[28] Ibidem
[29] Ivi, p. 173
[30] “Una Riviera senza aranci, una Toscana senza cipressi, il cesto di un ambulante senza peperoncini…che cosa può esservi di più inconcepibile, oggi, per noi?” (L. Febvre, Annales, XII, 29; citato in F. Braudel, Il Mediterraneo, op.cit., p. 7)
(28 novembre 2017)
 
Fonte:
 
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