Lunedì 26 ottobre (ore 17.00), al Teatro Argentina di Roma, avrà luogo la cerimonia di premiazione dei vincitori della prima edizione del [url”Premio Nazionale Elio Pagliarani”]http://www.premionazionaleeliopagliarani.it/[/url]. Abbiamo incontrato Cetta Petrollo, Presidente del Premio, per farle alcune domande su questa nuova iniziativa e sullo “stato di salute†della poesia in Italia.
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Le motivazioni del premio sono quelle descritte nel documento fondante redatto nel 2014 a firma di Andrea Cortellessa, Roberto Milana, Lia Pagliarani e Sara Ventroni: “Ricordare un Maestro significa per noi anzitutto selezionare e valorizzare – nel panorama delle creatività odierne – coloro che in qualche modo e per qualche verso ci paiano meglio raccogliere il suo testimone. Un inciso, da Lezione di fisica, suona: «perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni». Di opposizione fu l’esistenza di Pagliarani, sempre: in quanto la sua parola – sempre pervasa tuttavia dalla più umana e profonda «pietà oggettiva» – si oppose, sempre, all’andazzo (oggi più ammorbante che mai) di una comunicazione appiattita sul luogo comune, di una letteratura asservita al più facile consumo, di una poesia appagata del proprio ripiegamento autocommiseratorioâ€.
Sicuramente c’è ancora spazio per ascoltare la lingua che si muove intorno a noi – non solo letteraria! – e centrifugarla e portarla altrove, rompendo gli ambiti (che è una delle grandi ambizioni dell’avanguardia).
Guardando al panorama delle iniziative italiane che promuovono la diffusione e la conoscenza della poesia sul territorio, anche in una prospettiva multi-tematica e di ricerca – penso, ad esempio, a [i][url”Poetitaly”]http://s534509712.sito-web-online.it/[/url][/i] di Simone Carella e a [i][url”Bologna in Lettere”]http://boinlettere.wordpress.com/[/url][/i] di Enzo Campi –, Lei pensa che ci si stia muovendo nella direzione giusta o bisognerebbe aggiustare il tiro? Insomma, esistono ancora luoghi dove il pubblico può “incontrare†la poesia e vederla dialogare con altre espressioni dell’arte? O forse tali luoghi non ci sono mai stati e siamo destinati, ieri come oggi, all’autoreferenzialità delle “scuole†e degli [i]horti conclusi[/i]?Se penso a quello che ha significato scrivere e dire poesia negli anni Sessanta e Settanta, alla coralità della sua azione, alla sua incidenza politica attraverso lo specifico linguistico, al rapporto vitale fra artisti, poeti e gente comune in luoghi non esclusivamente deputati alla diffusione della cultura, a cosa hanno significato in ciò le dinamiche cittadine – a Roma, per esempio, la funzione di bar come Canova, Rosati e Felicetti, le trattorie come Cesaretto, i ristoranti come la Campana, le strade come via Mario dei Fiori e Via Margutta, abitate anche da gente qualsiasi e dal modesto reddito, credo che la direzione non sia, forse, quella giusta ma che il processo sia inevitabile giacché quel tessuto sociale è stato distrutto e la poesia, l’arte tutta ed i poeti, si siano ritirati nelle loro riserve indiane molto più di quanto non sia, in qualche modo, sempre accaduto.
E poi è anche vero che, per fare laboratorio e crescere portando una qualche forma di messaggio (“credere che il proprio lavoro la pena non se stessi ma il proprio modello sia utile / agli altriâ€) occorrono grandi personalità . E grandi voci. È molto raro. Non succede sempre.
Restando all’attualità , nelle ultime settimane abbiamo assistito sulle pagine culturali di alcuni quotidiani e magazine online a un riaccendersi del dibattito sulla sorte di poeti e poesia (soprattutto in chiave editoriale). Alfonso Berardinelli ha affermato che in Italia “di poeti pubblicabili cioè leggibili (anche se poco vendibili) ce ne sono circa una dozzina, magari anche venti, o se proprio si vuole si arriva a trentaâ€. Andrea Cortellessa ha parlato di “poeticidioâ€, sostenendo la necessità imprescindibile “per la cultura editoriale italiana†di avere “l’accesso a finanziamenti pubblici come quelli da decenni riservati, all’editoria di qualità (non necessariamente cartacea), da diversi Stati europeiâ€. Lei che idea si è fatta di tutta questa polemica?Non credo che i finanziamenti pubblici possano aiutare la scrittura poetica e l’arte in genere. Si può, certo, commissionare un’opera d’arte, ed è quello che hanno sempre fatto i mecenati. Tutta la nostra arte religiosa ha le sue origini nelle commesse della Chiesa. Non sono tanto d’accordo sul correre il rischio delle edizioni poetiche “su commissioneâ€.
Credo che la scrittura e l’editoria si possano aiutare e sostenere in altro modo. Finanziando, per esempio, i luoghi deputati alla conservazione delle opere. Rompendo, anche qui, gli ambiti fra scuola, studenti e contesto, in un laboratorio continuo in cui i testi possano essere letti, elaborati digitalmente, compresi nella galassia linguistica e possano comprendere altri linguaggi.
Ringraziandola per averci concesso un po’ del suo tempo per questa intervista, Le faccio un’ultima domanda. Se oggi un ragazzo o una ragazza le chiedessero un consiglio di lettura per avvicinarsi alla poesia italiana, cosa gli risponderebbe?Consiglierei Inventario privato e gli Epigrammi ferraresi di Elio Pagliarani. Un modo diverso per scrivere d’amore e di politica.
(22 ottobre 2015) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]