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Dominare il sapere, dominare la politica. Una riflessione sulla deriva neo-liberista e la civiltà della tecnica.[Paolo Andreoni]

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12 Novembre 2014 - 13.48


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di Paolo Andreoni

L”articolo intende illustrare le ragioni che presiedono al progressivo asservimento delle aree parlamentari ed extraparlamentari alla deriva neo-liberista, sulla quale trionfa la civiltà della tecnica (nell”accezione del filosofo Emanuele Severino), concetto ampliamente ripreso e discusso anche nei precedenti articoli della rubrica di filosofia (ndr : [url”Attac – Granello di sabbia”]http://www.italia.attac.org/joom-attac/granello-di-sabbia[/url]).

In un dialogo con Gilles Deleuze del 1972 (Microfisica del potere, Einaudi-Nuovo Politecnico, 1977, p. 107 e sgg.), dedicato agli intellettuali e al potere, Michel Foucault dichiarava: «…la repressione poliziesca è tanto più forte quanto meno si ha bisogno di giovani sul mercato del lavoro».

L”intero confronto si struttura sulla trasformazione dei centri di potere in seno alla civiltà capitalistica, sulla difficoltà di poter identificare, attraverso le tradizionali categorie politiche, il ruolo di un potere che produce un sapere assertivo a molteplici tecnologie di controllo sulla società, in un contesto storico e culturale che obbliga ormai di risemantizzare il concetto di prassi destituente.

Nel suo interrogarsi sulla genealogia del soggetto moderno, Foucault rileva una zona in cui la conoscenza è intrecciata al potere, il potere-conoscenza ([i]pouvoir-savoir[/i]) come luogo in cui la volontà di verità è già volontà di potenza (l”eco nietzschiana è tangibile).

A partire dall”opera Sorvegliare e punire. La nascita della prigione (Einaudi 1976) Foucault mostra come ci si debba orientare soprattutto sugli aspetti che descrivono la produttività del potere, la produzione di campi oggettuali e di rituali di verità.

È con l”uomo moderno che sorge la società carceraria, in cui il potere non è solo onnipresente ma è anche anonimo e onnicomprensivo. Nella sua prefazione al Panopticon di Bentham, dal titolo L”occhio del potere (1977), Foucault enuncia esplicitamente che la caratteristica delle società nate nel XIX secolo è il potere quale «macchina in cui tutti sono presi, tanto coloro che esercitano il potere quanto coloro sui quali questo potere viene esercitato».

L”epistéme archeologica foucaultiana introduce al postmoderno: l”iper-ampliamento del concetto di potere corrisponde ad un”equivalente perdita di specificità e in ciò si racchiude la morte definitiva della politica, così come è stata pensata fino agli albori della contemporaneità.

La politica, spiega Foucault, è figlia della Rivoluzione. Parlando a «Le Nouvel Observateur» nel 1977, suggeriva che tutte le rivoluzioni tendono a dissolversi nello stalinismo, perché tendono ad essere confiscate dallo Stato rivoluzionario.

Per questo motivo le rivoluzioni sono diventate indesiderabili e stiamo assistendo alla «fine della politica», perché se è vero che la politica autentica è un”attività resa possibile dalla rivoluzione e la rivoluzione non è più auspicata, ne consegue che la politica deve annientarsi.

La «non politica» di Foucault consisteva in un attivismo radicale post-rivoluzionario che sosteneva le «lotte specifiche contro il potere particolarizzato» di donne, studenti, prigionieri, soldati di leva, pazienti ospedalieri e omosessuali.

Non stupisce, pertanto, questa dichiarazione di Foucault, rilasciata in un”intervista con J. L. Ézine in «Nouvelles littéraires» tra il 17 e il 23 marzo 1975: «Vorrei che i miei libri fossero […] bottiglie molotov, oppure campi minati; vorrei che si autodistruggessero dopo l”uso, come fuochi d”artificio».

Saranno proprio le molotov, in quegli anni, a destituire definitivamente in Italia il modello gentiliano dell”istruzione scolastica. La progressiva democratizzazione massificante della scuola pubblica, in atto dal 1968, ha prima abbattuto ogni processo di selezione del merito, considerato autoritario, elitario e proprio di una pericolosa cultura fascista, per poi ricadere schiava dello stesso sistema capitalistico che si intendeva combattere.

Attraverso i cosiddetti maestri del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud), come li definì Ricoeur, la cultura di sinistra poté gradualmente smantellare l”intero edificio borghese dell”istruzione secondaria e universitaria: il fine principale era smascherare la cattiva e falsa coscienza nei suoi meccanismi di ideologizzazione/falsificazione degli interessi economici e libidici.

La riforma dell”accesso alle facoltà universitarie e l”avvio di un lungo e importante periodo movimentista contrastò il neutralismo scientifico dell”accademia, nel disperato tentativo (fallito) di portare a compimento quella rivoluzione culturale che avrebbe dovuto rovesciare le tradizionali istituzioni dello stato di diritto socialdemocratico.

La rivincita delle politiche liberiste a partire dagli anni ”80, così come la vittoria sull”intera area extraparlamentare di matrice marxista, hanno irrimediabilmente determinato l”ingresso di diritti faticosamente conquistati nel perverso meccanismo della finanziarizzazione dell”economia.

Chiunque attualmente può accedere a qualsiasi facoltà universitaria, ma deve sottostare a nuovi e selettivi poteri, non da ultimo quello esercitato dai consigli di amministrazione di fondazioni bancarie, che regolano ed orientano l”indirizzo culturale di una nazione.

Lo Stato impoverisce gli operatori e i settori dell”istruzione obbligatoria per porre sotto il giogo dittatoriale di grandi enti privati le aree sociali tradizionalmente destinate all”avanzamento e all”emancipazione di un popolo.

Questa è la ragione per cui Emanuele Severino nel primo capitolo del suo L”identità della follia (Rizzoli 2007) ci ricorda come l”università promuova illusoriamente il principio secondo cui gli studenti, impadronendosi del sapere, potranno guidare le tecniche, mentre ci stiamo muovendo (già da molti anni) verso la direzione in cui sarà la tecnica a servirsi delle competenze degli uomini e quindi dei giovani.

In questo “rovesciamento del mezzo nello scopo” e nel nesso civiltà della tecnica – nichilismo si invera la frase di Marx: «I governi sono i comitati d”affari della borghesia».

L”escludersi reciproco di ideologie in conflitto e il repentino tramonto a cui stanno volgendo, non frena la tecnica che incrementa all”infinito la capacità di realizzare i propri obbiettivi, aumentando così la potenza a disposizione dell”uomo: il capitalismo stesso si serve di un servitore (la tecnica), la cui radice è la volontà, che lavora contro gli interessi del padrone. In ciò risiede non solo l”allontanamento delle masse dalla politica, ma anche la debolezza costitutiva di chi intende configgere contro questo nemico, indagato soltanto in sede socio-politica e antropologica.

Tratto dal Granello di Sabbia di Ottobre 2014: “La Buona ScuolAzienda”, scaricabile [url”QUI”]http://www.italia.attac.org/granello_di_sabbia/il_granello_di_sabbia_ottobre_2014.pdf[/url]

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