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Netanyahu annuncia la fine della ‘soluzione a due Stati'

Il premier ha condotto i coloni ebrei verso un’impasse che sarà necessariamente fatale al regime coloniale di Tel Aviv. Così come fu per la Rhodesia. [Thierry Meyssan]

Netanyahu annuncia la fine della ‘soluzione a due Stati'
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22 Marzo 2015 - 22.55


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«Sotto i nostri occhi» –
Cronaca di politica internazionale n°121

di Thierry Meyssan.

Gli accordi di Oslo,
che Yitzhak Rabin et Yasser Arafat avevano imposto ai loro popoli, sono morti durante
la campagna elettorale israeliana. Benjamin Netanyahu ha condotto i coloni
ebrei verso un’impasse che sarà necessariamente fatale al regime coloniale di Tel
Aviv. Così come la Rhodesia non visse che 15 anni, i giorni dello Stato ebraico
sono ormai contati.

Durante
la sua campagna elettorale, Benjamin Netanyahu ha affermato con franchezza che,
vivo lui, i Palestinesi non avranno mai un loro Stato. In questo modo ha messo
fine a un «processo di pace» che andava per le lunghe dopo gli accordi di Oslo,
siglati più di 21 anni fa. Così si dissolve il miraggio della «soluzione a due
Stati». Netanyahu si è presentato come uno sbruffone, dicendosi capace di
assicurare la sicurezza della colonia ebraica schiacciando la popolazione
autoctona.

– Ha dato il suo sostegno ad al-Qa”ida
in Siria.

– Ha attaccato Hezbollah alla frontiera
del Golan, uccidendo comӏ noto un Generale dei Guardiani della Rivoluzione et
Jihad Moghniyé.

– È andato a sfidare il presidente
Obama denunciando al Congresso gli accordi che la sua amministrazione sta
negoziando con l”Iran.

Gli
elettori hanno scelto la sua strada, quella della forza.

Eppure,
osservando più da vicino, in tutto questo non c”è né gloria né futuro.

Netanyahu
ha rimpiazzato la forza di interposizione delle Nazioni unite con il ramo
locale di al-Qa”ida, il Fronte al-Nusra. Gli ha offerto sostegno logistico e si
è fatto fotografare con dei capi terroristi in un ospedale militare israeliano.
Nonostante ciò, la guerra contro la Siria è una disfatta per l”Occidente e per
i Paesi del Golfo.

Secondo
le Nazioni Unite, la repubblica araba siriana riesce a mettere in sicurezza solo
il 60% del proprio territorio, ma questa cifra è ingannevole poiché il resto
del Paese è un enorme deserto, per definizione incontrollabile. Ora, sempre
secondo le Nazioni Unite, i “rivoluzionari” e le popolazioni che li
sostengono, che si tratti di jihadisti o di “moderati” (cioè
apertamente filo-israeliani), non sono che 212.000 su 24 milioni di Siriani.
Ovvero meno dell”1% della popolazione.

L”attacco
contro Hezbollah ha sì ucciso alcune personalità, ma è stato immediatamente
vendicato. Quando Netanyahu affermava che la resistenza libanese si era
impantanata in Siria e non avrebbe potuto reagire, Hezbollah con una fredda e
matematica precisione ha ucciso qualche giorno più tardi, alla stessa ora, lo
stesso numero di soldati israeliani, presso la zona occupata delle Fattorie di Sheb”a.   

Scegliendo le Fattorie di
Sheb”a, la zona meglio protetta da Tsahal, Hezbollah ha lanciato un
potente messaggio assolutamente dissuasivo. Lo Stato ebraico ha capito di non
condurre più il gioco e ha incassato questo richiamo all”ordine senza aprir
bocca.

Infine, la sfida lanciata al presidente Obama rischia di costare
cara a Israele. Gli Stati Uniti negoziano con l”Iran una pace regionale che
permette loro di ritirare l”essenziale delle proprie truppe. L”idea di
Washington è di scommettere sul presidente Rohani per fare di uno stato
rivoluzionario una semplice potenza regionale. Gli Stati Uniti riconoscerebbero
la potenza iraniana in Iraq, in Siria e in Libano, ma anche nel Bahrein e nello
Yemen, e in cambio di ciò Teheran cesserebbe di esportare la sua Rivoluzione in
Africa e in America latina. L”abbandono del progetto dell”imam Khomeini sarebbe
garantito da una rinuncia al suo sviluppo militare, particolarmente – ma non
unicamente – in ambito nucleare (ancora una volta, non si tratta della bomba
atomica, ma di motori a propulsione nucleare). L”esasperazione del presidente
Obama è tale che il riconoscimento dell”influenza iraniana potrebbe arrivare fino
alla Palestina.

Nel 1965,
Ian Smith pensò di salvare la colonia britannica della Rhodesia rifiutando il
processo di pace. In realtà, così facendo accelerò la caduta del progetto
coloniale e, quindici anni più tardi, la Rhodesia divenne lo Zimbabwe.

Benjamin Netanyahu indossa gli stessi panni di Ian Smith il quale,
nel 1965, rifiutando di riconoscere i diritti civili dei neri di Rhodesia,
ruppe con Londra e proclamò l”indipendenza. Ma Ian Smith non giunse a governare
il suo Stato coloniale che fu divorato dalla resistenza dell”Unione nazionale
africana di Robert Mugabe. Quindici anni dopo, Smith dovette rinunciare, mentre
la Rhodesia divenne lo Zimbabwe e la maggioranza nera arrivò al potere.

I gesti di Netanyahu, come un tempo quelli di Ian Smith, mirano a
dissimulare l”impasse nella quale egli stesso ha spinto i coloni. Tergiversando
durante gli ultimi sei anni, invece di applicare gli accordi di Oslo, Netanyahu
non ha fatto che accrescere la frustrazione della popolazione indigena. E
palesando adesso di aver fatto attendere l”Autorità palestinese per niente,
provoca un cataclisma.

Fin d”ora, Ramallah ha annunciato che interromperebbe qualsiasi
cooperazione in materia di sicurezza con Tel Aviv se Netanyahu fosse nominato
ancora primo ministro e applicasse il suo programma. Se una tale rottura si
verificasse, la popolazione della Cisgiordania, e naturalmente anche quella di
Gaza, dovrebbe scontrarsi di nuovo con Tsahal. Sarebbe la Terza Intifada.

Tsahal teme a tal punto questa situazione che i suoi principali
ufficiali superiori in pensione hanno costituito un”associazione, Commanders for Israel”s Security, che
continua a mettere in guardia contro la politica del primo ministro.
Quest”ultimo si è rivelato incapace di costituire un”altra associazione per
difenderla. In realtà, è tutto l”esercito che si oppone alla sua politica. I
militari hanno capito benissimo che Israele potrebbe estendere ancora la
propria egemonia, come nel Sudan e nel Kurdistan iracheno, ma non potrebbe
estendere ulteriormente il proprio territorio. Il sogno di uno Stato coloniale
dal Nilo all”Eufrate è irrealizzabile e appartiene a un secolo ormai passato.
Rifiutando la «soluzione a due Stati», Benjamin Netanyahu crede di aprire la
strada a una soluzione alla rhodesiana. Ma l”esempio stesso ha dimostrato che
non è praticabile. Il primo ministro può anche celebrare la propria vittoria,
ma sarà una vittoria di breve durata.

In realtà, il suo accecamento apre la via a due altre opzioni: una
soluzione all”algerina, cioè l”espulsione di milioni di coloni ebrei dei quali
molti non hanno altra patria che possa accoglierli; oppure una soluzione alla
sudafricana, cioè l”integrazione della maggioranza palestinese nello Stato
d”Israele secondo il principio “una testa, un voto”. La seconda è
l”unica opzione umanamente accettabile.

Questa
“cronaca settimanale di politica estera” appare simultaneamente in
versione araba sul quotidiano“Al-Watan”(Siria), in versione
tedesca sulla “Neue Reinische Zeitung”, in lingua russa
sulla “Komsomolskaja Pravda”, in inglese su“Information
Clearing House”
, in francese sul “Réseau Voltaire”.

Thierry Meyssan, 22 marzo 2015.

Traduzione a cura di Luisa Martini

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