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I giornalisti e la guerra

Una risoluzione ONU protegge i reporter di guerra, una direttiva della Difesa USA li mette nel mirino. Fra i due estremi, la guerra di quarta generazione [Thierry Meyssan]

I giornalisti e la guerra
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29 Giugno 2015 - 21.57


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Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica
internazionale n°134

di Thierry Meyssan.

Considerando che i
giornalisti dovrebbero essere al servizio della pace, il Consiglio di Sicurezza
dell’Onu ha adottato all”unanimità una risoluzione per la loro protezione nelle
zone di guerra. Eppure, due settimane più tardi, il Dipartimento della Difesa
statunitense ha pubblicato istruzioni per fermare i professionisti dei media
che si dedicano allo spionaggio: un”iniziativa che potrebbe ritorcersi contro i
giornalisti degli Stati membri della NATO.

Il
27 maggio 2015 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la Risoluzione 2222 sulla
protezione dei giornalisti nelle zone di guerra, risoluzione che ha raggiunto
l”unanimità semplicemente perché non risponde a ciò che è diventata la
professione di giornalista nell’epoca della televisione globale e della guerra
di quarta generazione.

Il dibattito del
Consiglio di Sicurezza del 27 maggio scorso, sulla tutela dei giornalisti nelle
zone di guerra, non ha contribuito a fare progressi [1]. I diplomatici hanno accusato diversi Stati di aver ucciso o
lasciato uccidere dei giornalisti, senza considerare che il ruolo di
“giornalista” può coprire diversi tipi di attività, tra cui lo
spionaggio, il sabotaggio o il terrorismo.

Finora si pensava
che per beneficiare della necessaria protezione ai giornalisti fosse
necessario:

– avere un accredito stampa rilasciato dall”autorità
nazionale competente del paese di appartenenza o di quello in cui si opera;

non prendere parte
ai combattimenti;

non violare la
censura militare.

Si noterà la
stranezza di quest’ultima condizione, originariamente stabilita per proteggere
i segreti militari ma usata per mascherare la propaganda e i crimini di guerra.

Si riteneva inoltre
che i soldati impiegati come giornalisti per gli organi di informazione
militari o i giornalisti civili incorporati negli eserciti (embedded) non dovessero avere lo status
di giornalista ma quello di soldato.

In riferimento al
precedente dell”assassinio del comandante Ahmad Shah Massoud da parte di due
giornalisti, gli statunitensi sostengono che questa professione possa servire
come copertura per attività terroristiche. Più recentemente, il cittadino
britannico Omar Hussein si è unito all’Isis e ha pubblicato − sotto lo
pseudonimo di Abu Awlaki – articoli celebrativi della vita nello Stato
Islamico. Tuttavia, questi esempi di giornalisti coinvolti personalmente nei
combattimenti sono del tutto marginali. Il vero problema è altrove, con i mezzi
di comunicazione globali e la guerra di quarta generazione (4GW).

I media globali

Fino al 1989 i
media erano nazionali. La propaganda non poteva quindi rivolgersi che alla
propria parte. Naturalmente era possibile lanciare volantini dagli aerei o trasmettere
via radio a onde corte, ma si era ancora percepiti come voce nemica.

Nel 1989, una
televisione locale degli Stati Uniti, la CNN, improvvisamente si trasformò in
televisione globale grazie ai satelliti. Il suo cambiamento di stato − non era
più “americana” − garantiva la sua neutralità nel conflitto. La CNN
si è affermata come un mezzo di “informazione continua” raccontando
in diretta la caduta di Ceauşescu. La diretta avrebbe messo al sicuro da
manipolazioni e garantito la restituzione fedele della verità.

Ebbene, fu
esattamente l”opposto. La redazione della CNN era − ed è stabilmente dal 1998 –
sotto il controllo di una speciale unità militare (la United States Army’s Psychological Operations Unit) insediata nei
suoi locali, che non dava conto degli eventi ma raccontava uno spettacolo messo
in scena dalla CIA e dal Pentagono. Si ricorda, ad esempio, la scoperta della
fossa comune a Timișoara: le immagini dei cadaveri di oltre 4500 giovani [2], dissanguati per nutrire il
dittatore dei Carpazi malato di leucemia oppure uccisi durante le
manifestazioni, hanno fatto il giro del mondo. I loro volti erano stati
sfigurati con l”acido per non essere identificati. Erano stati provati gli
orrori inflitti al proprio popolo da Nicolae Ceauşescu, il “Dracula rumeno”
[3], ma − ahime!− più tardi si
sarebbe scoperto che erano corpi trafugati dal cimitero cittadino.

Diffondendo
istantaneamente una notizia falsa in tutto il mondo, i media globali le hanno
dato la parvenza di una verità condivisa: la forza di questo inquinamento è
stata che esso è riuscito a convincere i mezzi d’informazione del blocco
sovietico, in Ungheria e in Germania Est, che l’avevano ripreso e diffuso. E
così i fatti erano stati autenticati dagli alleati della Romania. Da qui
l”attuale concorrenza tra le grandi potenze per disporre di canali globali
d’informazione in modo continuo.

Peraltro, idee come
«i giornalisti ci sono per raccontare quello che vedono sul posto» e «la
diretta impedisce manipolazioni» sono grottesche.

Al contrario, i
giornalisti non devono essere testimoni ma analisti in grado di scoprire la
verità dietro le apparenze. È a questo che servono, perciò il concetto di
“informazione continua” (nel senso di avvenimenti filmati senza
interruzione) è la negazione del giornalismo. O i giornalisti sono lì a fare
controlli incrociati, verificare, contestualizzare, analizzare e interpretare,
o sono inutili.

Durante le guerre
in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, di nuovo in Iraq, Libia e Siria [4] la NATO ha continuato a fabbricare
manipolazioni come quella di Timișoara.

L”incorporazione dei
reporter di guerra

Tuttavia, un
ulteriore passo è stato fatto nel 1992. Avrete notato che, da allora, gli Stati
Uniti e la NATO non hanno mai smesso di essere in guerra da qualche parte nel
mondo. Per coprire questi eventi è stata creata una categoria di giornalisti:
poco più di un centinaio di loro si precipitarono in Bosnia e poi a Baghdad, a
Kabul o a Tripoli, dando voce agli avversari dell”Occidente, ebbene non pochi
di loro ma quasi tutti sono diventati collaboratori permanenti dei servizi
segreti della NATO. E se descrivono le conseguenze dei bombardamenti
dell”Alleanza atlantica sulle popolazioni civili è solo per fornire
informazioni militari e consentire alla NATO di aggiustare il tiro. Pertanto questi
giornalisti devono essere qualificati come 
agenti.

Questo è ciò che ho
spiegato durante la guerra di Libia, sollevando l”indignazione della mia
categoria professionale. Eppure questo è ciò che alla fine ha ammesso il
generale Charles Bouchard quando l”operazione era finita: a Radio-Canada ha
dichiarato che la sede della NATO a Napoli aveva analizzato la situazione
grazie a «informazioni [che] provenivano da molte fonti, tra cui i supporti
mediatici che si trovavano sul posto e che ci hanno dato molte informazioni
circa le intenzioni e la posizione delle forze di terra.»


Per rendere
credibile il mito della “rivoluzione democratica”, nel 2012 in Siria
la NATO ha messo in scena un villaggio “prova”. L”ufficio del primo ministro
turco ha organizzato il trasporto in loco dei giornalisti che ne avevano fatto
richiesta, i quali hanno potuto filmare le manifestazioni nel villaggio e
convincersi che tutta la Siria fosse così. Ma anche l”esercito arabo-siriano ha
inviato giornalisti − non siriani, naturalmente − fra i “ribelli” per
raccogliere informazioni sul sostegno che forniva loro la NATO.

E così, questa
settimana, la pubblicazione da parte del Dipartimento della Difesa statunitense
del Manuale sul Diritto di guerra è stata accolta con favore. Esso spiega
l”evoluzione della guerra sostenendo che alcuni giornalisti sono in realtà
combattenti [5].

In tal modo, il
Dipartimento della Difesa corre il rischio che la maggior parte dei giornalisti
di guerra occidentali siano dichiarati “belligeranti non
privilegiati”, una categoria che esso stesso ha creato e che li priva del
beneficio delle Convenzioni di Ginevra. Durante il prossimo conflitto, questo
potrebbe essere il destino dei collaboratori di Al Jazeera, Al Arabiya, BBC,
CNN, Corriere della Sera, Fox News, France2, France24, Le Monde, Libération,
New York Times, Sky News, Washington Post eccetera… solo per citare quelli
che ho identificato.

I falsi video
d’informazione

C’è un ulteriore
passo compiuto nel 2011 con l”uso di finti video, girati in studio all’aperto
in Qatar e andati sui telegiornali. L”apice è stato raggiunto con la
diffusione, prima da Fox News poi da tutte le tv atlantiste e del Golfo, di
immagini fake che mostravano la
caduta di Tripoli e l”ingresso dei “ribelli” nella Piazza Verde tre
giorni prima che questi fatti accadessero realmente. Un punto duramente negato
dalla Nato prima di essere riconosciuto dal presidente del Consiglio nazionale
di transizione, Mustafa Abdel Jalil, al microfono di France24 in arabo.

Mentre nel giugno
2012 gli Stati Uniti negoziavano con la Russia un’eventuale condivisione del
“Medio Oriente allargato”, la NATO aveva intenzione di usare questa
tecnica dei falsi video d’informazione per spezzare la resistenza siriana e
conquistare il potere. Washington ha fatto oscurare i canali TV siriani
satellitari di ArabSat (il principale operatore di comunicazioni satellitari
nel mondo arabo) e stava per cacciarli anche da NileSat (azienda egiziana che
gestisce le tv satellitari). Un pool di canali atlantisti  − Al Arabiya, Al Jazeera, BBC, CNN, Fox,
France 24, Future TV, MTV − si preparava a usare immagini realizzate in studio
in Qatar, che mostravano la caduta della Repubblica Araba di Siria e altre
immagini create al computer che facevano vedere la fuga del presidente Assad [6]. Il segnale dei falsi canali
siriani è stato sintonizzato su ArabSat dalla base della NSA (National Security
Agency) in Australia, tuttavia l”operazione è stata annullata poco prima della
Conferenza di Ginevra 1 a causa di proteste internazionali.

Le leggi della
propaganda sono sempre le stesse

Tuttavia gli
sviluppi tecnici non cambiano le tecniche della propaganda. Questo meccanismo
resta basato su due principi:


con la ripetizione incessante, una bugia grossolana diventa una prova
indiscutibile;


non basta convincere i destinatari di una menzogna, bisogna far sì che la
difendano. E per questo si dovrebbe obbligarli, in un modo o nell”altro, a
sostenere – anche solo una volta − quella che ancora considerano una bugia. La
loro autostima basterà a impedirgli di tornare indietro e denunciare la
manipolazione.

Per esempio, quando
i servizi segreti britannici hanno lanciato l”idea che la Repubblica Araba di
Siria buttasse barili di esplosivo dagli elicotteri sulla propria popolazione
civile, non ci avete creduto. In Siria, dove si accusa il presidente Assad di
frenare le azioni dell”esercito contro gli jihadisti con l’intento di
proteggere i civili, non ci hanno creduto ugualmente. Quest’accusa è tanto più
assurda in quanto l’esercito dispone di bombe, molto più efficaci, fornite
dalla Russia. Tuttavia, dopo un anno di incessante ripetizione quotidiana,
questa menzogna è diventata una verità indiscussa, sia in Occidente che in
Siria. Non importa che l”esercito ad Aleppo non usi gli elicotteri perché gli
jihadisti li distruggerebbero con missili terra-aria: la stampa pubblica
ugualmente “prove” di lanci di barili di esplosivo dagli elicotteri
ad Aleppo.

Il sistema è tale
che i giornalisti si rifiutano di riconoscere di essere stati ingannati e si
trasformano in propagandisti che, a loro volta, ripetono ciò che fin
dall”inizio si sapeva essere una bugia. Di fatto, professionisti che credono di
essere onesti, pur usando la retorica alla moda, lavorano per diffondere la
menzogna.

L”inserimento dei
media nell”arte della guerra

Sebbene in
definitiva le false immagini della fuga di Assad non siano mai state usate in
Siria, la NATO ha adottato una nuova tecnica di combattimento: la guerra di
quarta generazione (4GW).

La guerra di prima
generazione è la linea e la colonna, come nel XVII secolo: gli eserciti erano
molto gerarchizzati e procedevano assai lentamente, ma questa organizzazione
non ha resistito alla diffusione delle armi da fuoco.

La guerra di
seconda generazione è la linea e il fuoco, come durante la prima guerra
mondiale, ma questa organizzazione è rimasta bloccata nelle guerre di trincea.

La guerra di terza
generazione è la penetrazione nelle linee nemiche e la difesa in profondità:
prevede la partecipazione di civili, come nella seconda guerra mondiale, ma
questa organizzazione non ha resistito allo sviluppo degli arsenali e
soprattutto alle bombe atomiche.

La guerra di quarta
generazione è quella che non si scatena da soli ma che si fa scatenare in paesi
lontani da parte di gruppi non governativi, come durante la Guerra Fredda con
vere e false insurrezioni.

In questo tipo di
guerra, che è simile a un disordine generale, il Pentagono introduce dei mezzi
d’informazione nel proprio comando operativo come unità di combattimento.
Bisogna tenere a mente che i mezzi di comunicazione si sono evoluti, non sono più cooperative ma imprese di capitali con
dipendenti che possono essere immediatamente licenziati. Non si tratta più
quindi di un centinaio di corrispondenti di guerra che lavorano dietro le
quinte come spie, ma di mass-media coinvolti in quanto tali nei combattimenti
mettendo tutto il proprio personale a disposizione degli eserciti.

Non importa se i
giornalisti stessi contribuiscono a documenti militari o a manipolazioni. Il
loro lavoro, perfino impeccabile, è parte di un insieme che fa la guerra.
Peggio ancora, coloro che sono sinceri servono da paravento per coloro che
barano, dando loro credibilità.

In ultima analisi,
la Risoluzione 2222 è stata approvata all”unanimità dal Consiglio di Sicurezza
solo perché non risponde all”evoluzione del mestiere di giornalista.

NOTE

[1] «Résolution 2222 et débats (journalistes en zones de conflit)», Réseau
Voltaire
, 27 maggio 2015.

[2]
“Mass Graves Found in Rumania; Relatives of Missing Dig Them Up”, Associated
Press, 22 dicembre 1989.

[3] «Les vautours de Timisoara», di Serge
Halimi, La Vache folle, agosto
2000.

[4] «L’effet CNN»,
corso di Thierry Meyssan all’Accademia Nazionale della Politica (Palermo,
Italia), Réseau Voltaire, 19
maggio 2003.

[5] Law of War Manuel, US Defense Department, giugno 2015.

[6] «La NATO sta preparando una grande
operazione di disinformazione
», di Thierry Meyssan, Komsomolskaïa
Pravda
(Russie), Rete Voltaire, 11 giugno 2012.

Questa “cronaca
settimanale di politica estera” appare simultaneamente in versione araba
sul quotidiano“Al-Watan”(Siria), in versione tedesca sulla “Neue
Reinische Zeitung”
, in lingua russa sulla “Komsomolskaja
Pravda”
, in inglese su“Information Clearing House”,
in francese sul“Réseau Voltaire”.

Thierry Meyssan, 29
giugno 2015.

Traduzione a cura di Emilio
Marco Piano.

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