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Il voltafaccia della Turchia

Riuscirà il presidente Erdoğan a far ribaltare la posizione del suo paese dall’influenza degli Stati Uniti verso quella della Russia? [Thierry Meyssan]

Il voltafaccia della Turchia
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7 Gennaio 2017 - 18.12


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«Sotto i nostri
occhi» – Cronaca di politica internazionale n°218

di Thierry Meyssan.

Il presidente Vladimir Putin ha annunciato di
aver concluso un accordo di cessate il fuoco per la Siria con la Turchia, finora
il principale supporto operativo per i jihadisti. Come si può spiegare questo colpo
di scena? Riuscirà il presidente Erdoğan a far ribaltare la posizione del suo
paese dall’influenza degli Stati Uniti verso quella della Russia? Quali sono le
cause e le conseguenze di questa drammatica inversione di rotta?

DAMASCO (Siria) – La
Turchia è un membro della NATO, un alleato dell”Arabia Saudita, un patrono del
jihadismo internazionale a seguito del ricovero del principe Bandar Ben Sultan
nel 2012, nonché lo sponsor della Fratellanza Musulmana dopo il rovesciamento
di Mohamed Morsi e la lite tra Doha e Riyad nel 2013 -14. Oltre a questo, ha
attaccato la Russia nel novembre 2015, distruggendo un Sukhoi-24 e causando
l”interruzione dei rapporti diplomatici con Mosca.

Eppure, questa è
la stessa Turchia che ha appena sponsorizzato il cessate il fuoco in Siria,
concepito dalla Russia [1].

Perché?

Dal 2013,
Washington non considera più Recep Tayyip Erdoğan come un partner di fiducia.
La CIA ha quindi lanciato diverse operazioni, non contro la Turchia, ma contro
Erdoğan in persona. Nel mese di maggio-giugno 2013, ha organizzato e sostenuto
il movimento di protesta al Parco Taksim Gezi. Durante le elezioni legislative del
giugno 2015, ha finanziato e supervisionato il partito delle minoranze, l”HDP,
in modo da limitare i poteri del presidente. Ha giocato con la stessa tattica
durante le elezioni del novembre 2015, che il potere aveva truccato. La CIA
passa quindi dall’influenza politica all”azione segreta. Organizza quattro
tentativi di assassinio, l”ultimo dei quali, nel luglio 2016 finisce male,
costringendo gli ufficiali kemalisti a tentare un colpo di Stato per il quale
non erano preparati.

Erdoğan si trova
pertanto in una posizione simile a quella del primo ministro italiano degli
anni ‘70, Aldo Moro. Entrambi gli uomini sono alla testa di uno Stato membro
della NATO, ed entrambi devono affrontare l”ostilità degli Stati Uniti. La NATO
è riuscita a eliminare l”italiano, manipolando un gruppo di estrema sinistra
[2], ma non è riuscita a uccidere il turco.

Inoltre, al fine
di vincere le elezioni del novembre 2015, Erdoğan ha lusingato i suprematisti
turco-mongoli espandendo unilateralmente il conflitto con la minoranza curda.
In questo modo, ha aggiunto i presunti «nazionalisti» del MHP alla sua base
elettorale islamista (AKP). In pochi mesi, ha causato la morte di oltre 3.000
cittadini turchi di etnia curda, e distrutto diversi villaggi, o persino certi
quartieri di grandi città.

Infine,
trasmettendo ad al-Qa’ida e a Daesh le armi che gli facevano pervenire l’Arabia
Saudita, il Qatar e la NATO, ha tessuto stretti rapporti con le organizzazioni
jihadiste. Non ha esitato a utilizzare la guerra contro la Siria per fare soldi
a titolo personale. All’inizio smantellando e saccheggiando le fabbriche di
Aleppo, poi trafficando il petrolio e le antichità rubati dai jihadisti.
Progressivamente, tutto il suo clan si è legato ai jihadisti. Ad esempio, il
suo primo ministro, il mafioso Binali Yıldırım, ha organizzato fabbriche per la
confezione di merci contraffatte nei territori amministrati da Daesh.

Tuttavia,
l”intervento di Hezbollah nella seconda guerra contro la Siria, a partire da luglio
2012, poi quello della Federazione Russa, nel settembre 2015, hanno rovesciato
le sorti della guerra. Ormai, la gigantesca coalizione degli «Amici della
Siria» ha largamente perso il terreno che aveva occupato, e ha incontrato
crescenti difficoltà nel reclutamento di nuovi mercenari. Migliaia di jihadisti
hanno disertato il campo di battaglia e hanno già ripiegato in Turchia.

Orbene, la maggior
parte di questi jihadisti sono incompatibili con la civiltà turca. In effetti,
i jihadisti non erano stati reclutati per formare un esercito coerente, ma solo
per far numero. Sono stati almeno 250.000, forse ancora molti di più. In un
primo momento, di trattava di delinquenti arabi supervisionati dai Fratelli
Musulmani. Progressivamente, si sono aggiunti i sufi Naqshbandi provenienti dal
Caucaso e dall’Iraq, nonché dei giovani occidentali in cerca di rivoluzione.
Questo miscuglio inverosimile non può tenersi insieme se lo si sposta in
Turchia. Prima di tutto perché ormai ciò che i jihadisti vogliono è uno stato tutto
loro, e sembrerebbe impossibile annunciare nuovamente il Califfato in Turchia.
E poi per tutta una serie di ragioni culturali. Per esempio: i jihadisti arabi
hanno adottato il wahhabismo dei loro benefattori sauditi. Secondo questa
ideologia del deserto la Storia non esiste. Hanno quindi distrutto molte
vestigia antiche, con il pretesto che il Corano proibisce l”idolatria. Anche se
tutto ciò non ha finora posto problemi ad Ankara, è fuori discussione che si
permetta loro di osar toccare il patrimonio turco-mongolo.

Così, oggi Erdoğan
deve affrontare tre nemici contemporaneamente – senza contare la Siria:

– Gli Stati Uniti ed i loro alleati turchi, il FETÖ dell’islamista
borghese Fethullah Gülen;

– I kurdi indipendentisti, in particolare il PKK;

– Le ambizioni sunnite intese a creare uno Stato proprio
dei jihadisti, in particolare di Daesh.

Mentre l”interesse
principale della Turchia sarebbe, in via prioritaria, di comporre i conflitti
interni con il PKK e il FETÖ, l”interesse personale di Erdoğan è quello di
trovarsi un nuovo alleato. È stato l”alleato degli Stati Uniti, quando la loro
influenza era al suo apice, e attualmente spera di diventare l”alleato della
Russia, ormai la prima potenza militare convenzionale nel mondo.

Questo voltafaccia
sembra tanto più difficile da realizzare poiché il suo paese è membro
dell”Alleanza atlantica, un”organizzazione che nessuno è mai riuscito a lasciare.
Forse in un primo momento avrebbe potuto lasciare il comando militare
integrato, come fece la Francia nel 1966. All’epoca, il presidente Charles De
Gaulle dovette fronteggiare un tentativo di colpo di Stato e numerosi tentativi
di assassinio da parte del OAS, un”organizzazione finanziata dalla CIA [3].

Anche supponendo
che la Turchia riuscisse a gestire questa evoluzione, dovrebbe ancora affrontare
altri due problemi principali.

Prima di tutto,
anche se non sappiamo con precisione il numero di jihadisti in Siria e in Iraq,
si può stimare che essi ora non siano più di un numero compreso tra 50.000 e
200.000. Dato che questi mercenari sono massicciamente irrecuperabili, che cosa
se ne deve fare? L’accordo di cessate il fuoco, il cui testo è volutamente
impreciso, lascia aperta la possibilità di un attacco contro di loro a Idlib.
Questo governatorato è occupato da uno stuolo di gruppi armati che non hanno
legami tra loro, ma sono coordinati da parte della NATO dal LandCom di Izmir,
tramite alcune ONG «umanitarie». Contrariamente a Daesh, questi jihadisti non
hanno mai imparato a organizzarsi correttamente e continuano a dipendere dagli
aiuti dell’Alleanza atlantica. Questo aiuto arriva loro attraverso il confine
turco, che potrebbe presto essere chiuso. Tuttavia, mentre è facile controllare
camion che viaggiano su percorsi ben definiti, non è possibile controllare il
passaggio di uomini che attraversano i campi. Migliaia, forse anche decine di
migliaia di jihadisti potrebbero presto fuggire in Turchia e destabilizzarla.

La Turchia ha già
iniziato a cambiare la sua retorica. Il presidente Erdoğan ha accusato gli
Stati Uniti di continuare a sostenere i jihadisti in generale e Daesh in
particolare, lasciando intendere che se lui stesso l’ha fatto in passato, ciò
avveniva sotto l”influenza malefica di Washington. Ankara spera di fare soldi affidando
la ricostruzione di Homs e di Aleppo alla sua società di costruzioni e lavori
pubblici. Tuttavia, è difficile immaginare come la Turchia possa sfuggire alle
proprie responsabilità, dopo aver pagato centinaia di migliaia di siriani
affinché lasciassero il loro paese, dopo aver saccheggiato il nord della Siria,
e dopo aver sostenuto i jihadisti che hanno distrutto questo paese e ucciso
centinaia di migliaia di siriani.

Il voltafaccia
della Turchia, se sarà confermato nei mesi a venire, provocherà una reazione a
catena di conseguenze. A cominciare dal fatto che il presidente Erdoğan oramai
si presenti non solo come l’alleato della Russia, ma anche come il partner di
Hezbollah e della Repubblica islamica dell”Iran, vale a dire gli eroi del mondo
sciita. Fine, quindi, del miraggio di una Turchia leader del mondo sunnita, che
combatta gli «eretici» con denaro saudita. Ma il conflitto artificiale inter-musulmano
lanciato da Washington non finirà fino a quando l”Arabia Saudita non vi avrà
rinunciato essa stessa.

Lo straordinario ribaltamento
di posizioni da parte della Turchia è probabilmente difficile da comprendere
per gli occidentali, secondo i quali la politica è sempre di pubblico dominio.
Lasciando da parte l”arresto di ufficiali turchi in un bunker della NATO a est
di Aleppo, che risale a due settimane fa, il tutto è più facile da capire per
chi ricorda il ruolo personale di Erdoğan durante la prima guerra cecena,
quando dirigeva la Millî Görüş; un ruolo di cui Mosca non ha mai parlato, ma sul
quale i servizi segreti russi hanno conservato parecchi archivi. Vladimir Putin
ha preferito trasformare un nemico in un alleato, piuttosto che farlo cadere e
dover continuare a combattere il suo Stato. Il presidente Bashar el-Assad,
Sayyed Hassan Nasrallah, e l”ayatollah Ali Khamenei hanno volentieri seguito il
suo esempio.

Da ricordare:

– Dopo aver sperato di conquistare la Siria, il
presidente Erdoğan si trova, soltanto a causa della sua politica, a essere sfidato
su tre fronti: dagli Stati Uniti e il FETÖ di Fethullah Gülen, dai
separatisti curdi del Pkk e da Daesh.

– A questi tre avversari, potrebbe di nuovo aggiungersi
la Russia, che detiene numerose informazioni sul suo percorso personale. Anche
il presidente Erdoğan ha scelto invece di allearsi con Mosca e potrebbe
uscire dal comando integrato della NATO.

NOTE

[1]
«
Les documents du cessez-le-feu en Syrie (complet)»,
Réseau Voltaire, 1er janvier 2017.

[2]
«
La guerre secrète en Italie»,
par Daniele Ganser, Réseau Voltaire, 6 février 2010.

[3]
«
Quand le stay-behind voulait remplacer De Gaulle»,
par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 10 septembre 2001.

Thierry Meyssan, 3 gennaio 2017.

Traduzione a cura di Matzu Yagi.

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