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L'avversione contro Donald Trump non è che propaganda di guerra

'Thierry Meyssan è ingenuo su Trump, malgrado gli ammonimenti della stampa internazionale e l''accumulo di segnali negativi? Ecco la sua risposta.'

L'avversione contro Donald Trump non è che propaganda di guerra
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8 Febbraio 2017 - 22.22


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«Sotto
i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°222

di Thierry
Meyssan
.

I nostri
precedenti articoli sul presidente Donald Trump hanno suscitato vive reazioni
nei nostri lettori, che si chiedono le ragioni per cui Thierry Meyssan dia
prova di tanta ingenuità, malgrado gli ammonimenti della stampa internazionale
e l’accumularsi di segnali negativi. Ecco la sua risposta, argomentata come
d’abitudine.

A due settimane dall’insediamento, la
stampa atlantista prosegue nell’opera di disinformazione e di sobillazione
contro il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il quale, insieme ai primi
collaboratori, moltiplica dichiarazioni e gesti apparentemente contraddittori,
sicché è difficile comprendere che succede a Washington.


La campagna anti-Trump


La malafede della stampa atlantista è
verificabile analizzando i suoi quattro principali argomenti.

- 1. Per quanto riguarda l’inizio dello smantellamento dell’Obamacare
(20 gennaio), è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto pretende la
stampa atlantista, i ceti più deboli, che avrebbero dovuto sfruttare questo
dispositivo di «sicurezza sociale», in realtà l’hanno massicciamente ignorato.
Obamacare si è infatti rivelato troppo costoso e troppo rigidamente
condizionante per sedurre coloro cui è rivolto. Le uniche a esserne pienamente
soddisfatte sono le assicurazioni private che lo gestiscono.

- 2. Per quanto riguarda il prolungamento del muro alla frontiera con
il Messico (23-25 gennaio), la ragione non è la xenofobia: il Secure Fence Act
è stato firmato dal presidente George W. Bush, che poi ha dato l’avvio alla costruzione
del muro. Il presidente Barack Obama l’ha proseguita, appoggiato dal governo
messicano dell’epoca. Al di là della retorica oggi alla moda sulla costruzione
di “muri” e di “ponti”, le misure tendenti a rafforzare il controllo delle
frontiere sono efficaci solo se le autorità di entrambe le parti concordano nel
renderle operative. Per contro, sono votate al fallimento se uno dei due Paesi
vi si oppone. L’interesse degli Stati Uniti è il controllo dell’ingresso dei
migranti, l’interesse del Messico è fermare l’importazione illegale di armi.
Niente è cambiato. Tuttavia, con l’applicazione del Trattato di libero-scambio
nordamericano (NAFTA), società transnazionali hanno delocalizzato le proprie
industrie, trasferendo dagli Stati Uniti al Messico non solo mansioni non
qualificate (conformemente alla regola marxista della ”caduta tendenziale del
tasso di profitto”), ma anche mansioni qualificate, facendole svolgere da
operai sottopagati (dumping sociale). In Messico, la comparsa di questi posti
di lavoro ha provocato un forte esodo rurale e destrutturato la società, com’è
accaduto nel XIX in Europa. In tal modo, le società transnazionali hanno potuto
abbattere i costi della manodopera, facendo però precipitare nella povertà
parte della popolazione messicana, che ora sogna solo di emigrare negli Stati
Uniti per essere pagata il giusto. Poiché Trump ha annunciato l’intenzione di
far recedere gli Stati Uniti dal NAFTA, nei prossimi anni la situazione
dovrebbe tornare alla normalità, con soddisfazione sia dei messicani che degli
statunitensi
[1].

- 3.
Per quanto riguarda l’aborto (23 gennaio), il presidente Trump ha vietato le
sovvenzioni federali alle associazioni specializzate che ricevono finanziamenti
dall’estero. In tal modo Trump le obbliga a scegliere fra la loro ragion
d’essere (soccorrere le donne in difficoltà) o continuare a essere pagate da
George Soros per manifestare contro la sua amministrazione – com’è accaduto il
21 gennaio. Questo decreto non vuole ledere il diritto all’interruzione
volontaria della gravidanza, bensì prevenire una “rivoluzione colorata”.

*        
4. Per
quanto riguarda i decreti anti-immigrazione (25-27 gennaio), Trump ha
annunciato che avrebbe applicato la legge, ereditata dall’amministrazione
Obama, che implica l’espulsione di 11 milioni di stranieri irregolari. Ha
sospeso gli aiuti federali alle città che hanno dichiarato di volersi rifiutare
di applicare la legge (come si potrà avere personale di servizio a basso costo
se si sarà obbligati a dichiarare gli immigrati?). 

*      
Trump ha
precisato che comincerà con l’espulsione di 800.000 criminali già condannati
per reati penali negli Stati Uniti, in Messico o altrove. Inoltre, per evitare
l’ingresso di terroristi, ha sospeso i permessi d’immigrazione negli Stati
Uniti e per tre mesi ha vietato l’ingresso di persone provenienti da Paesi in
cui non è possibile verificarne identità e la situazione. La lista di questi
Paesi non è stata redatta da Trump, ma da lui ripresa da un testo del
presidente Obama. In Siria, per esempio, non ci sono più né ambasciata né
consolato americani. Dal punto di vista della polizia amministrativa, è dunque
logico includere i siriani in tale lista. A ogni modo, questi provvedimenti
riguarderanno un flusso minimo di persone. Nel 2015 la “carta verde”
statunitense è stata rilasciata a 145 siriani solamente. Nella consapevolezza
del gran numero di casi particolari che potrebbero sorgere, il decreto
presidenziale ha attribuito al dipartimento di Stato e quello della Difesa
interna (Homeland Security) massima
libertà di accordare dispense. Il fatto che funzionari in contrasto con Trump
abbiano sabotato questi decreti, applicandoli in maniera brutale, non fa del
nuovo presidente un razzista e tantomeno un islamofobo.

La propaganda anti-Trump della stampa
atlantista è dunque ingiustificata. Pretendere che il presidente abbia
dichiarato guerra ai mussulmani, nonché invocare pubblicamente una sua
possibile destituzione, persino una sua uccisione, non è più malafede, è
propaganda di guerra.

L’obiettivo di
Donald Trump


Trump è stato la prima personalità in
tutto il mondo a contestare la versione ufficiale degli attentati dell’11
settembre; l’ha fatto il giorno stesso, alla televisione. Dopo aver ricordato
che gli ingegneri che avevano costruito le Twin Tower ora lavoravano per lui,
dichiarò su Canal 9 di New York che era impossibile che dei Boeing avessero
potuto trapassare le strutture in acciaio degli edifici. Aggiunse anche che era
altrettanto impossibile che dei Boeing avessero provocato il crollo delle
torri: altri fattori dovevano essere intervenuti, al momento sconosciuti.

Da quella data, Trump non ha fatto che
opporsi a quelli che avevano commesso un tale crimine. Durante il suo discorso
di investitura, ha sottolineato che la cerimonia non significava un semplice passaggio
di potere tra due amministrazioni: si trattava di restituire il potere al
popolo degli Stati Uniti, che ne era stato spogliato [da 16 anni]
[2].

Durante la campagna elettorale, indi
durante il periodo di transizione, e poi dal momento in cui ha assunto le
funzioni di presidente, Trump ha ripetuto che il sistema imperiale degli ultimi
anni non ha portato beneficio agli Stati Uniti, ma alla ristretta cricca di cui
la Clinton è figura emblematica. Ha dichiarato che gli Stati Uniti non
avrebbero più cercato di essere i “primi”, ma i “migliori”. I suoi slogan sono:
«America di nuovo grande» (America great again) e «L’America per prima
cosa» (America first).

Questa svolta politica a 180° stravolge
un sistema costruito negli ultimi 16 anni, che trova origine nella Guerra
fredda voluta dagli Stati Uniti nel 1947. Questo sistema ha incancrenito
numerose istituzioni internazionali, come la NATO (con Jens Stoltenberg e il
generale Curtis Scaparrotti), l’Unione europea (con Federica Mogherini), e le
Nazioni unite (con Jeffrey Feltman
[3]). Ammesso che Trump ci riesca, gli occorreranno comunque anni per
raggiungere l’obiettivo.

Verso lo
smantellamento pacifico dell’impero statunitense


In due settimane Trump ha avviato molte
cose, spesso nella più grande discrezione. Le sue dichiarazioni tonitruanti
nonché quelle della sua squadra hanno scientemente seminato confusione,
permettendogli di far confermare da un Congresso in parte ostile le nomine dei
suoi collaboratori.

Teniamo ben presente che la guerra
cominciata a Washington è una guerra all’ultimo sangue tra due sistemi.
Lasciamo perciò alla stampa atlantista il compito di commentare propositi
spesso contraddittori e incoerenti di entrambe le parti per attenerci
unicamente ai fatti.

Innanzitutto, Trump s’è assicurato il
controllo degli organi di sicurezza. Le prime tre nomine (il consigliere per la
Sicurezza nazionale Michael Flynn, il segretario della Difesa James Mattis e il
segretario per la Sicurezza interna John Kelly) sono altrettanti generali che
hanno contestato il “governo di continuità” instaurato dal 2003
[4]. Ha poi riformato il Consiglio per la
Sicurezza nazionale per escluderne il capo di stato-maggiore interarmi e il
direttore della CIA
[5].

Anche se quest’ultimo decreto venisse
emendato in futuro, al momento non lo è. Segnaliamo che avevamo annunciato la
volontà di Trump e del generale Flynn di sopprimere la funzione di direttore
dell’intelligence nazionale
[6]. Alla fine, la carica è stata mantenuta e assegnata a Dan Coats. Potrebbe
trattarsi di una tattica per esigere che la presenza in seno al Consiglio del
direttore dell’intelligence nazionale sia motivo sufficiente a giustificare
l’esclusione del direttore della CIA.

La sostituzione de «i migliori» con «i
primi» implica che la volontà di distruggere Russia e Cina si converta nella
volontà di concludere un partenariato con questi Paesi.

Per impedirlo, gli amici della Clinton e
della Nuland hanno rilanciato la guerra contro il Donbass. Le cospicue perdite
subite dall’inizio del conflitto hanno indotto l’esercito ucraino a ripiegare e
a spedire in prima linea le milizie militari para-naziste. I combattimenti
hanno inflitto pesanti danni alla popolazione della nuova Repubblica popolare.
Nel medesimo tempo, in Medio Oriente Clinton e compagnia sono riusciti a
consegnare blindati ai curdi siriani, come aveva disposto l’amministrazione
Obama.

Per risolvere il conflitto ucraino,
Trump sta cercando un modo per aiutare a destituire il presidente Petro Poroshenko.
Per questo, ancor ancora prima di accettare di parlare al telefono con Poroshenko,
ha ricevuto alla Casa Bianca il capo dell’opposizione, Yulia Tymoshenko.

In Siria e in Iraq, Trump ha già avviato
operazioni comuni con la Russia, sebbene il suo portavoce lo neghi. Il
ministero russo della Difesa che, imprudentemente, l’ha rivelato, in seguito
non ha più proferito parola sull’argomento. Washington ha rivelato allo stato
maggiore russo la dislocazione dei bunker jihadisti nel governatorato di Deir
ez-Zor. Bunker che la scorsa settimana sono stati distrutti con bombe
penetranti.

Per quanto riguarda Pechino, il
presidente Trump ha messo fine alla partecipazione statunitense al Trattato
trans-Pacifico (TPP), un trattato concepito contro la Cina. Durante il periodo
di transizione ha ricevuto Jack Ma, il secondo uomo più ricco della Cina – lo
stesso che ha dichiarato: «Nessuno vi ha portato via posti di lavoro, spendete
troppo in guerre». Si sa che i colloqui hanno riguardato l’eventualità di
un’adesione di Washington alla Banca Asiatica d’Investimento per le
Infrastrutture. Se ciò accadesse, gli Stati Uniti dovrebbero accettare di
cooperare con la Cina e cessare di ostacolarla. Prenderebbero parte alla
costruzione delle due vie della seta. In tal modo, le guerre di Donbass e di
Siria diventerebbero inutili.

In materia finanziaria, il presidente
Trump ha avviato lo smantellamento della legge Dodd-Frank, un tentativo di
risolvere la crisi del 2008 prevenendo il fallimento brutale delle grandi
banche («too big to fail»). Benché questa legge di ben 2.300
pagine presenti aspetti positivi, essa statuisce una tutela del Tesoro sulle
banche che, evidentemente, ne frena lo sviluppo. Donald Trump pare si appresti
anche a restaurare la distinzione tra banche di deposito e banche di
investimento (Glass-Steagall Act).

E, per finire, è iniziato anche il repulisti
delle istituzioni internazionali. La neo-ambasciatrice all’ONU, Nikki Haley, ha
chiesto un audit sulle16 missioni di “mantenimento della pace” e dichiarato che
vuole mettere fine a quelle inefficaci. Ossia, alla luce della Carta delle
Nazioni unite, a tutte, senza eccezioni. In effetti, i fondatori dell’ONU non
prevedevano un tale impegno militare (oggi superiore a 100.000 uomini). L’ONU è
stato creato per prevenire e risolvere conflitti tra Stati, non conflitti
interni. Quando due parti in conflitto concludono un cessate-il-fuoco,
l’Organizzazione può inviare osservatori per verificare il rispetto
dell’accordo. Le attuali operazioni di “mantenimento della pace” mirano, al
contrario, a imporre il rispetto di una risoluzione imposta dal Consiglio di sicurezza
e rifiutata da una delle parti in conflitto; si tratta di un prolungamento del
colonialismo.

In realtà, la presenza delle forze
dell’ONU non fa che protrarre i conflitti, la loro assenza lascia invece
immodificata la situazione. Per esempio, le truppe della FINUL, dispiegate alla
frontiera fra Israele e Libano – però solo su territorio libanese – non
prevengono né un’azione militare israeliana, né un’azione militare della
Resistenza libanese, così com’è stato più volte dimostrato. Servono unicamente
a spiare i libanesi per conto degli israeliani, dunque a perpetuare il
conflitto. Così come, dopo che le truppe della FNOUD, dispiegate sulla linea di
demarcazione tra Golan e Siria, sono state cacciate da Al Qa”ida, il conflitto
tra Israele e Siria è rimasto immutato.

Porre fine a un tale sistema implica
quindi un ritorno allo spirito e alla lettera della Carta costitutiva dell’ONU,
rinunciare ai privilegi coloniali e pacificare il mondo.

Nonostante le polemiche mediatiche, le
manifestazioni di piazza e le contese politiche, il presidente Trump mantiene
la propria rotta.

NOTE

[1] “Dietro il Muro bipartisan”,
di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete
Voltaire
, 28 gennaio 2017.

[2] “Donald Trump Inauguration Speech”, by Donald Trump, Voltaire Network, 21
January 2017.

[3] “La Germania e l’ONU contro la Siria”,
di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) ,
Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.

[4] “Trump: l’11 settembre basta e avanza”,
di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26
gennaio 2017.

[5] “Donald Trump smantella
l’organizzazione dell’imperialismo statunitense
”, di Thierry
Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 31 gennaio
2017.

[6] “La riforma dell’intelligence secondo
il generale Flynn
”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Contralínea (Messico)
Rete Voltaire, 29 novembre 2016

Traduzione
a cura di Rachele Marmetti
Il Cronista 

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