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Manifestanti o assassini?

Il tragico esito del recente processo in Iran è stato letto in Occidente solo come una repressione verso dei 'manifestanti'. Dal lato iraniano si descrive una sedizione violenta in cui si punisce il linciaggio. Qui uno sguardo d'insieme. [Simone Santini]

Manifestanti o assassini?
Mohammad Hosseini, 39 anni, e Mohammad Mehdi Karami, 22 (da 'Tehran Times'
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13 Gennaio 2023 - 10.06


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di Simone Santini.

[Con questa rubrica intendo riportare notizie dall’Iran, sulla sua situazione interna e sulla sua posizione internazionale. Userò pertanto come fonti prevalentemente i media iraniani ma anche internazionali, il web e i social. Scopo è offrire uno sguardo “altro” sulla realtà complessa di questa Nazione]

In un articolo comparso su Tehran Times l’11 gennaio si cerca di ricostruire il caso giudiziario che ha portato alla esecuzione per impiccagione di due manifestanti in Iran e che ha determinato in Occidente una ondata di sdegno a livello istituzionale, informativo, di pubblica opinione, con la convocazione degli ambasciatori iraniani presso la Ue e in nazioni come Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e altre, a cui è stato comunicato lo sgomento delle cancellerie europee per le esecuzioni e la brutale repressione del movimento di protesta in corso in Iran negli ultimi mesi.

Tehran Times ricostruisce così i fatti.

Il 3 novembre 2022 scoppia a Karaj, 40 km a sud di Teheran, una sommossa che porta al blocco dell’autostrada da parte dei rivoltosi. Ruhollah Ajamian, membro della milizia civile Basiji, affronta i manifestanti disarmato per tentare di ripristinare la circolazione. Circondato da un folto gruppo di facinorosi viene linciato e picchiato a morte con pietre, coltelli, machete, tirapugni.

Gli assalitori sono in seguito identificati, arrestati, processati. Cinque manifestanti, di un gruppo molto più ampio, sono condannati a morte per l’omicidio di Ruhollah Ajamian. Dopo il ricorso in appello, la Corte Suprema iraniana ha confermato la condanna a morte solo per due manifestanti, Mohammad Karami di 22 anni e Mohammad Hosseini di 39.

Durante il processo, Karami aveva reso dichiarazioni confessando che era stato un grande numero di rivoltosi ad avere inferto colpi contro Ajamian e lui lo aveva colpito solo con una pietra e schiaffeggiato in testa per tre volte. Hosseini invece ha confessato di averlo pugnalato più volte.

Organizzazioni per i diritti umani (che hanno delineato il frame informativo poi ripreso da tutti i media internazionali, ndr) hanno parlato a più riprese di “processo farsa” e “confessioni estorte con la tortura”.

Opinione dello scrivente è che il resoconto dei fatti illustrato da Tehran Times appare coerente e credibile e alcuni dati di fatto incontestabili: l’agente Ajamian è stato ucciso dal linciaggio dei manifestanti e il processo ha stabilito una gradazione di responsabilità tra i partecipanti. Poco si può dire sulle torture eventualmente subite dagli imputati se non che, dalle immagini televisive del processo in cui essi rendono dichiarazioni, tali torture non appaiono evidenti e i due giovani sembrano in buono stato di salute.

La formula giuridica adottata per la condanna è stata quella di “Moharebeh” ovvero “guerra/odio contro Dio/la religione”. L’articolista di Tehran Times specifica che tale formula generale è impiegata quando si applica la fattispecie verso “qualcuno che prende le armi con l’obiettivo di uccidere, terrorizzare e molestare le persone in modo tale da causare insicurezza”. Opinione dello scrivente è che tale formula è paragonabile ad un reato presente anche nell’ordinamento italiano sotto il titolo di “insurrezione armata” (art. 284 c. p.) e che prevede pene gravissime fino all’ergastolo (ovvero alla pena di morte nella sua stesura originaria) anche senza tenere conto dell’omicidio avvenuto nel caso iraniano. Circa la presunta lesione del diritto alla difesa riportato dalle organizzazioni per i diritti umani, secondo i media iraniani l’imputato Karami non aveva nominato un difensore di fiducia e il tribunale ha provveduto a nominare un avvocato d’ufficio. Hosseini invece era assistito da un avvocato da lui nominato. Circa la negazione delle visite parentali prima delle esecuzioni, Karami ha avuto un incontro con i genitori ed il fratello mentre Hosseini “non aveva parenti che lo visitassero”.

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