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Guerra al web? Venderemo cara la pelle!

'E'' iniziata una guerra a Internet? Una normalizzazione del web in senso restrittivo? O è solo un modo per sviare l’attenzione da altri problemi?'

Guerra al web? Venderemo cara la pelle!
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25 Maggio 2013 - 18.10


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di Arturo Di Corinto

Quattro Anonymous arrestati, il pressing dell’Agcom per regolamentare
in senso poliziesco il diritto d’autore, l’insistenza del presidente
Boldrini sul tema della violenza nel web, la necessità di leggi speciali
per Internet secondo Pietro Grasso, la riproposizione dell’obbligo di rettifica per i blog dentro la legge bavaglio, le 22 denunce per i commenti anti-napolitano del blog di Grillo…. e si potrebbe continuare. Sta succedendo qualcosa.

In una fase della vita del paese dove le larghe intese rendono
difficile l’esercizio della critica ma anche trovare appoggio e consenso
nei partiti tradizionalmente schierati per la libertà d’informazione,
tutti questi indizi messi insieme possono prefigurare l’inizio di una guerra a Internet?
Una normalizzazione del web in senso restrittivo? O solo un modo per
sviare l’attenzione da altri problemi? Siamo noi ammalati di
cospirazionismo? Forse.

Però l’insistenza dei detective della postale nel rimarcare
che chi agiva per conto e come Anonymous lo faceva per interesse
materiale e non ideologico non convince. Di sicuro è una perfetta psyop (psychological operation)
per anticipare le critiche e minimizzare le reazioni di solidarietà
verso gli arrestati, allo stesso tempo infangando la presunta purezza di
Anonymous. Quindi doppio risultato. E in ogni caso farlo ripetere da
ogni giornalista interessato puzza, perciò aspettiamo dibattimento e
sentenza definitiva per tirare le conclusioni. Certo è che quelli del
Cnaipic se l’erano legata al dito dopo che gli avevano bucato i server e
diffuso materiale confidenziale che li riguardava, compresi materiali
relativi ai rilevanti interessi commerciali dei fornitori delle loro
infrastrutture di sicurezza. E ci può stare.

Ma Laura Boldrini che attacca le false identità sul web come se non sapesse il furto d’identità è già punito per legge (c’è una sentenza della Cassazione di pochi giorni fa), invece stona. Stona che non sappia che l’anonimato
è una risorsa per chi denuncia il malaffare mafioso sui blog, che
esistono forum di autoaiuto rigorosamente anonimi per chi le violenze le
subisce e che i cooperanti dall’estero devono nascondere la propria
identità ai regimi dei paesi in cui risiedono per inviare informazioni
in Italia. Stona anche se lo fa all’interno della sua, nostra, pur
giusta campagna contro la violenza sulle donne. Non solo, manifesta una
scarsa comprensione del fenomeno e la avvicina pericolosamente al
sottosegretario D’Alia che voleva chiudere Facebook per un insulto e alla Gabriella Carlucci che nella scorsa legislatura con la motivazione della prevenzione della pedofilia voleva una legge contro l’anonimato scritta dal suo avvocato, Davide Rossi, all’epoca presidente di Univideo.

 Piero Grasso che cita la difficoltà di colpire i server posti
all’estero si scorda che nel caso di Indymedia si è provveduto
celermente e requisire i suoi due server in Inghilterra per le accuse a
Trenitalia e che lo stesso è accaduto ai server norvegesi del collettivo
Autistici/Inventati per la diffamazione verso il neofascista Iannone.
Nel primo caso sono stati sfruttati i Mlat, gli Accordi di mutua
assistenza giudiziaria tra Usa e Ue (ddl 25 giugno 2003, trattato già
firmato nel novembre 1982).

Il pidiellino Costa che afferma essere una scelta politica riproporre tal quale la legge bavaglio come a far finta che non ci sia stata una grande mobilitazione contro la stessa proposta di Alfano
(e che si ripeterà) per evitare che con la riforma delle legge sulle
intercettazioni “vengano messe le manette ai giudici e il bavaglio
all’informazione”, compresi blog, forum e siti amatoriali che non
adempiono all’obbligo di rettifica valido per la legge sulla stampa del 1948
e assolutamente inadatto a piattaforme a pubblicazione aperta di
carattere amatoriale. Da lui ce lo possiamo aspettare. Costa è lo stesso
che con Pecorella si prefiggeva l’obiettivo di trasformare ex lege l’intera Rete in un immenso quotidiano e trattare tutti i suoi utenti da giornalisti, direttori o editori di giornali per poterli citare in giudizio per diffamazione.

Ciliegina sulla torta, Cardani, il professore già
collaboratore europeo di Monti che l’allora “supermario” volle dentro
un’Autorità che oggi più governativa non si può – frutto di evidenti
spartizioni partitiche come scrisse Ezio Mauro – vuole una legge
fotocopia contro il copyright già bloccata l’anno scorso per evidenti
profili di incostituzionalità – visto che non prevede l’intervento della magistratura per accertare le violazioni
– e trasforma l’Autorità in una polizia privata, è chiaro che serve a
colpire Google e Facebook e gli OTT per fare contenta Confindustria
digitale, la Fimi e la Siae preoccupata del calo degli iscritti e che
deve fare cassa a fronte della svendita del suo patrimonio immobiliare
(ricordate il fondo Aida?).

Ecco a questi signori diciamo che ci è chiaro che questo attacco a tutto campo nasconde interessi giganteschi ed è condita da una crassa inesperienza del web,
delle sue dinamiche e delle sue antropologie, e nasconde problemi più
grossi: la crisi economica generale, dei modelli di business
dell’industria culturale, dell’incapacità di attuare le riforme, della
contestazione popolare e della paura verso ciò che non si conosce.

Tutti costoro però non hanno ancora speso una parola una per il furto delle email dei Cinquestelle e le denunce dei 22 blogger sul sito di Grillo.

A loro e a Michele Serra che nell’Amaca del 18 maggio invoca leggi per il “paese reale di Internet” diciamo che le leggi ci sono già,
sono quelle dell’ordinamento e che i nostri investigatori le usano per
chiudere i siti della galassia antagonista come quelli dei neofascisti
di Stormfront, i siti web dei bordelli sull’Appia Antica e per catturare
i pedofili, e che la rete non è un far west
come gli piacerebbe fare credere per tentare un ennesimo giro di vite
della comunicazione indipendente e per zittire ogni voce critica sulla
rete che si rivela sempre di più come lo strumento principale della riconfigurazione del potere nella società dell’informazione.

Ma se insistono a dire che non ci sono leggi, gli vogliamo ricordare
il caso Angelucci-Wikipedia, per cui il senatore pidiellino ha ottenuto
la rimozione dei contenuti che lo riguardavano dall’enciclopedia libera
perché dannosi della sua reputazione? Oppure il caso Google Vividown
con una prima condanna dei manager di Google per non aver prontamente
rimosso un video offensivo della privacy di un giovane disabile?

Ma quante volte glielo dobbiamo dire? Fate ride!

Fonte: http://www.byoblu.com/post/2013/05/19/venderemo-cara-la-pelle.aspx.

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