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Amare i propri nemici

Riconoscere che dipendi da nemici, sottoposti, gruppi di esclusi, e in realtà da ogni altra forma di vita [Kelebek Blog]

Amare i propri nemici
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11 Settembre 2013 - 02.24


ATF

di Miguel Martinez.

Quando diciamo
che “dobbiamo” qualcosa a un autore, intendiamo soltanto che i suoi
scritti hanno improvvisamente portato alla luce qualcosa che già covava
oscuramente dentro di noi. Altrimenti, ci avrebbe solo annoiato, per
quanto bravo.

Ci sono alcuni autori cui io devo davvero molto.

Tra questi, uno dei principali è Alan Watts, che è poco noto in Italia, ma che mi ha rivoluzionato la vita.

Dal libro di Alan Watts, On the Taboo Against Knowing Who You Are, scritto
nel lontano 1966. Lui scriveva bene (anzi, era un maestro dei giochi di
parole e delle invenzioni linguistiche), io traduco male, ve ne chiedo
scusa.


Non ho ancora incontrato un santo o un
saggio che non avesse qualche debolezza umana. Perché finché ti
manifesti in forma umana o animale, devi mangiare a spese di altre forme
di vita e accettare le limitazioni del tuo particolare organismo, che
il fuoco può ancora bruciare e dove il pericolo ancora fa secernere
adrenalina.

La morale che possiamo trarre da questa comprensione è innanzitutto il sincero riconoscimento del fatto che dipendi da nemici, sottoposti, gruppi di esclusi, e in realtà da ogni altra forma di vita.

Per quanto tu possa essere coinvolti nei
conflitti e nei giochi competitivi della vita pratica, non potrai mai
più lasciarti cullare nell’illusione che “l’altro che offende” abbia
totalmente torto e potrebbe o dovrebbe essere eliminato. Questo ti darà
la preziosa capacità di contenere i conflitti in modo che non sfuggano
di mano, di essere disposto al compromesso e ad adattarti – di giocare,
sì, ma di giocare con serena lucidità.

Questo è ciò che chiamano “l’onore tra ladri”,
perché le persone davvero pericolose sono quelle che non ammettono di
essere ladri – quegli sfortunati che giocano il ruolo dei “buoni” con
zelo talmente cieco da non poter riconoscere il proprio debito verso i
“malvagi” che rendono possibile il loro status di buoni. […] Non ti
troveresti da nessuna parte senza di loro.

A causa della mancanza di questa percezione, l’etica politica e personale dell’Occidente, in particolare negli Stati Uniti è assolutamente schizofrenica.

Si tratta di una combinazione mostruosa di idealismo senza compromessi e di gangsterismo privo di scrupoli,
e quindi priva di quel senso dell’umorismo e dell’altro che permette a
persone che ammettono di essere delle canaglie, di sedersi insieme e
arrivare ad accordi ragionevoli.

Nessuno può essere etico – cioè nessuno può armonizzare conflitti contenuti – senza arrivare a un accordo pratico tra l’angelo e il diavolo
che albergano dentro di sé, tra la rosa sopra e il concime sotto. Le
due forze o tendenze sono reciprocamente interdipendenti, e il gioco
funziona soltanto finché l’angelo sta vincendo, ma non vince, e il
diavolo sta perdendo, ma non si perde mai (questo gioco non funziona
all’incontrario, proprio come l’oceano non funziona con la cresta
dell’onda in basso e il cavo in alto).

[…]

Ma ci vuole davvero tanto tempo o sforzo per capire semplicemente che dipendi dai tuoi nemici e dagli estranei per definirti,
e che senza qualche forma di opposizione, saresti perso? Vedere questo
vuol dire acquisire, quasi istantaneamente, la virtù dell’umorismo, e
l’umorismo e la supponenza si escludono a vicenda. L’umorismo è ciò che
si vede nell’occhio di un giusto giudice, che sa di essere anche il reo
sul banco degli imputati.

Come potrebbe starsene seduto lì, con la
gente che lo chiama “Vostro Onore” o “Mio Signore”, se non ci fossero
quei poveri disgraziati che gli trascinano davanti tutti i giorni?

Riconoscere questo fatto non sovverte 
il suo lavoro o la sua funzione. Lui svolge il proprio ruolo di giudice
anche meglio se riconosce che al prossimo giro della Ruota della
Fortuna, potrebbe diventare lui l’imputato, e che se si sapesse tutta la
verità, lui si troverebbe già lì.

Se c’è del cinismo in questo, si tratta comunque di un cinismo amorevole
– un atteggiamento e un’atmosfera che raffreddano i conflitti umani in
maniera assai più efficace di qualunque quantità di violenza fisica o
morale. Si tratta di riconoscere che la vera bontà della natura umana
consiste in un particolare equilibrio di amore e di egoismo,
ragione e passione, spiritualità e sensualità, misticismo e
materialismo, dove il polo positivo ha sempre un lieve vantaggio su
quello negativo (fosse altrimenti, e i due poli fossero perfettamente
bilanciati, si arriverebbe a uno stallo e a un blocco totale).

Così, quando i due poli, quello buono e
quello cattivo, dimenticano la propria interdipendenza e cercano di
annientarsi a vicenda, l’uomo diventa subumano – il crociato implacabile
oppure il delinquente freddo e sadico.

L’uomo non è fatto per essere né angelo
né demone, e gli aspiranti angeli dovrebbero ricordare che quando la
loro ambizione prevale, essi evocano orde di demoni per
riportare equilibrio. Questa è stata la lezione del proibizionismo
negli Stati Uniti, come di ogni altro tentativo di imporre con la forza
un comportamento puramente angelico, o di strappare via il male alla
radice.

Insomma, alla fine le cose stanno così:
per essere vivibile o almeno pratica, la vita deve essere vissuta come
un gioco – “deve” esprime qui una condizione, non un comandamento. Deve
essere vissuta più con lo spirito del gioco che con quello del lavoro, e
i conflitti che porta con sé devono essere vissuti riconoscendo che
nessuna specie, nessun partecipante al gioco, può sopravvivere senza i
propri naturali antagonisti, senza i propri amati nemici, i propri
indispensabili oppositori.

“Amare i propri nemici” vuol dire amarli in quanto nemici;
non si tratta necessariamente di un’astuzia per portarli dalla tua
parte. Il leone pascolerà con l’agnello, ma non sulla tera – il
“paradiso” è il luogo implicito, fuori dal palco, dietro le quinte, in
cui tutte le parti in conflitto riconoscono la propria interdipendenza, e
tramite tale riconoscimento, sono in grado di mantenere sotto controllo
i propri conflitti. Questo riconoscimento è l’elemento cavalleresco,
assolutamente essenziale, che pone limiti a ogni forma di guerra, che
sia contro nemici umani o non umani, perché la  cavalleria è lo spirito
dell’onore del cavaliere che “mette in gioco la propria vita”, sapendo
che anche il combattimento mortale è un gioco.

Nessuno che sia ingannato a credere
di non essere nient’altro che il proprio io, o nient’altro che il
proprio organismo, può essere cavalleresco, né tantomeno un membro
civile, sensibile e intelligente del proprio cosmo.

Fonte:  http://kelebeklerblog.com/2013/09/06/amare-i-propri-nemici/.

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