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La Tv ha 60 anni ed è pronta ad abdicare

'Consenso e dissenso; consumi di massa; evoluzione tecnologica; educazione all''estetica e al gusto globalizzato.
La TV ci ha cambiati. Ma ora chi c''è?
'

La Tv ha 60 anni ed è pronta ad abdicare
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23 Febbraio 2014 - 23.55


ATF

di Glauco
Benigni
.

Per lo meno quattro sono i filoni di storie che si aggrovigliano l”uno
agli altri dando vita alla Storia della
Tv in Italia
, che quest’anno festeggia 60 anni di trasmissioni regolari:

la storia dell”organizzazione del Consenso e del
Dissenso
;

la storia dell”organizzazione
dei Consumi di massa
;

la storia dell”Evoluzione tecnologica;

la storia dell”Educazione
all”estetica e al gusto globalizzato
.

Ognuna di queste sottostorie è stata
fondamentale, ognuna di esse ha goduto e ha subito contributi, influenze e
pressioni che hanno fatto da contrappasso alla perdita progressiva di sovranità
culturale nel Bel Paese.

Al
suo debutto la Tv in Italia è connotata dal fatto di essere posseduta dallo
Stato
.
Ciò la colloca nella grande area delle Tv Pubbliche europee e la differenzia
dalla tradizione Usa e Giapponese, in cui invece l”orientamento commerciale la
fa da padrone da sempre. Gli italiani la considerano  e la rispettano come un”istituzione, pur con
la consapevolezza che si tratta della longa
manus
dell”establishment democristiano.

Impaginata in un dignitoso bianco e
nero la tv costruisce l”identità nazionale a colpi di Tg monocratici, di
sceneggiati e quiz a premi. Sono gli anni del boom economico e della Guerra
Fredda, della Fiat e dell”IRI e la Rai, in quanto parte sostanziale del grande conglomerate parastatale, gode di
immensi sostegni che le consentono di diventare la più grande industria nazionale
della cultura. Siamo nell”era Bernabei e Agnes, i due instancabili alfieri di
una cavalcata quasi trentennale. Il braccio tecnologico della Rai erige
tralicci dovunque. La ricezione del segnale tende con fatica al 90% dell”aspro
territorio italiano. C”è perfino una sezione nazionale dell”industria che
costruisce TV set e li alloca a rate nelle case. Tutti appaiono soddisfatti. La
pubblicità è ridotta al mitico Carosello e la globalizzazione passiva non s”è
ancora manifestata al suo peggio.

Il
matrimonio e la fedeltà tra il Servizio Pubblico e i suoi telespettatori
cominciano ad incrinarsi verso la fine degli anni 70
. In questo periodo
la pressione della globalizzazione aumenta inverosimilmente. L”organizzazione
dei consumi di massa ha bisogno della tv e certo Carosello non basta. I
legislatori, ossequiosi delle richieste dell”industria internazionale e delle lobbies, non alzano vere barriere che
impediscano la messa in discussione del monopolio. Del resto l”estetica e il gusto
degli italiani, bramosi di costumi liberalizzati (costumi già sottoposti alle
incursioni delle cosiddette radio libere che hanno fatto da apripista), esigono
che ci sia un”alternativa alla limitata
scelta dei tre canali offerti dalla Rai
.

Entra nella scena Silvio Berlusconi dopo aver prontamente
sgominato i suoi competitors:
Mondadori e Rusconi.

L”imprenditore (che in realtà è un mercante di telespettatori) è
sostenuto immediatamente dall”UPA – Utenti Pubblicitari Associati, un
marchio che vede al suo interno un”agguerrita compagine di industrie multinazionali 
(travestite dalla loro sezione “Italy”), le quali pretendono e ottengono
che nei palinsesti delle nuove tv, il
10-12% del tempo sia destinato ad ospitare filmati promozionali di merci e
servizi
. Il partito di Craxi prima e il suo governo poi, sostengono a loro
volta. Il PCI non capisce, o fa finta di
non capire che cosa sta succedendo
, e si limita a una opposizione fiacca.
La DC appare molto divisa ma alla fine accetta di trasformare la Rai in quello
che verrà definito il “sistema misto”:
in parte servizio pubblico, in parte commerciale.

A
metà degli anni 80

la scena è profondamente mutata. Dal”idea
di “qualità tv” si passa a tappe forzate all”idea di “quantità di audience”
.
Comincia con l”Auditel la “misurazione” e la conseguente compravendita di
telespettatori inconsapevoli che vengono ridotti, anch”essi, a merce.

Neanche il Sindacato dei giornalisti
Rai capisce un granché. Irrimediabilmente convinti che il consenso politico si
costruisca solo con l”informazione, continuano per decenni una battaglia di
retroguardia finalizzata a ridurre l”influenza dei partiti sulle nomine dei
vertici Rai e dei Tg, senza rendersi conto che il Consenso e quello che a Madison Avenue chiamano puntualmente, lo Stile di Vita, si organizza molto a colpi di film, miniserie e tanta, tanta pubblicità.

L”infrastruttura
tecnologica è ancora più o meno la stessa
. La tv è analogica, diffusa da
grandi antenne poste sui tralicci. Il passaggio, ormai digerito, da “bianco e
nero a colore”, ha solo consolidato un parco utenti che esisteva. Debutta il videoregistratore,
che modifica in modesta parte i consumi tv, ma in realtà il suo contributo alla
storia della tv non è essenziale. Il suo vero contributo è quello di favorire
il fenomeno della pirateria.

La vera grande novità in questa fase
è la frequentazione dei manager e di pochi autori ai Mercati di Tv internazionale: Mip tv di Cannes, London Multimedia
Market e Natpe di Las Vegas, oscurano progressivamente il ruolo svolto dal
Mifed di Milano. In queste sedi internazionali si comprano al quintale (loro
dicono “a pacchetti”) film, telefilm, serie e miniserie e si avviano coproduzioni faraoniche. Il prezzo dei contenuti tv si impenna
vertiginosamente
, mentre i messaggi
da loro veicolati diventano sempre più orientati al liberismo qualunquista,
alla violenza e sottostanno alla legge imperiale
: “chi prende il piatto ha sempre ragione”.

Cominciano a scorrere fiumi di
denaro per assicurarsi storie patinate, un po” insulse ma seducenti con le
quali fare audience e conseguentemente soddisfare gli appetiti dei pubblicitari.
Rai e Mediaset, con un finto terzo polo costituito da Telemontecarlo, si
contendono di tutto: libraries,
managers, uffici legali e intermediatori d”affari abili a sottrarre percentuali
vistose nel corso delle compravendite (qualcuno finisce sotto inchiesta altri
espatriano con il bottino). Sono gli anni di All Iberian e delle grandi manovre
di Mediaset e dei suoi consulenti per evadere le norme fiscali e valutarie, che
comunque appaiono esili e aggirabili.

Il
telespettatore medio è sempre più bombardato
. Il “broadcasting” tipico della tv generalista comincia a lasciare
spazio al “narrowcasting” mirato a
audience segmentate e individuabili dalle tv “specializzate”.

È nei primi anni 90 che appare con
forza nella scena la prima grande innovazione tecnologica: i satelliti per televisione “diretta a
casa”. L”Italia diventa velocemente un feudo Eutelsat, dopo che Giuliano
Berretta, un ingegnere vicentino al comando del colosso parigino sgomina il
competitor Astra di base in Lussemburgo. I costruttori di apparati per
ricezione tv esultano: oltre ai tv set, che diventano sempre più grandi e
sempre più piatti, ora si apre lo sterminato mercato dei decoder.
Tutto avviene ancora con tecniche analogiche ma si comincia ad intravvedere la
grande rivoluzione digitale che gode delle esperienze informatiche. La parola
d”ordine comincia ad essere “convergenza”:
Tv, PC e reti telefoniche tutti insieme appassionatamente.

La tv è finalmente una vera
industria, fondata su aree che interagiscono tra loro e determinano la scena
complessiva: contenuti, reti e ( ciò che in seguito verrà definito) modello di
business.

A questo punto i Contenuti sono già tipici della globalizzazione
passiva
. A parte alcuni grandi sceneggiati da prime time nazional popolare, il calcio e alcuni programmi da
studio, il resto della programmazione di successo arriva soprattutto dagli archivi internazionali, in barba alle
“quotas” sancite dall”Europa e con grande gioia dell”industria del doppiaggio.

Le reti di distribuzione e
diffusione sono due: tralicci e satelliti. Il cavo è interdetto. Si accendono i
riflettori sul modello di business ovvero, “quali sono le risorse che
consentono alla tv di sopravvivere e eventualmente prosperare”?

Se ne individuano 3. La prima è la risorsa pubblica: in arrivo dallo Stato
o raccolta per legge. Parliamo del canone
tv destinato ( a quel tempo) solo ed esclusivamente alla Rai ma (come vedremo
più avanti) posto in seguito in discussione. La seconda è la risorsa da pubblicità, gestita con mano
sapiente e perversa dall”UPA e dalle Agenzie non italiane, ovvero la
compravendita di spot nei palinsesti,eventualmente integrata con
sponsorizzazioni e product placement (dapprima
occulto poi autorizzato). La terza (grande novità in Italia) è la risorsa “pay”, ovvero abbonamenti basic più costi addizionali per eventi
speciali (pay per view).

Il
decoder è il vero protagonista di questa novità
. I satelliti sono
i primi a passare da trasmissioni analogiche a digitali e portano nelle case i
decoder digitali, connessi eventualmente anche alla rete telefonica. È una
opportunità imperdibile per alcuni soggetti,
rigorosamente non italiani
, che si avvicendano a godere dell”italica
stoltezza. Prima Canal Plus e poi
l”ineffabile Rupert Murdoch di Sky, a colpi di porno a notte alta e calcio, convincono 5 milioni di italiani a sottoscrivere
abbonamenti alla pay tv. Uno scandalo di proporzioni inaudite, sul piano della
sottrazione di risorse al mercato italiano
, ma … Murdoch invita a
cena tutti i politici e li convince a dargli di fatto il monopolio. Poi getta
qualche piccola fiches sul tavolo
dell”Anica e i produttori cinematografici fanno buon viso a cattivo gioco. Con
la Lega Calcio continuerà a litigare per anni.

La cavalcata trionfale della tv
giunge a questo punto al guado. Di
fronte ai protagonisti si pone il grande fiume che separa l”antico territorio
della produzione e distribuzione analogica dal nuovo territorio sconfinato,
promettente e sconosciuto del Digitale.

La
Tv, da Regina incontrastata dell”audiovisual,
sta per abdicare al trono
. Attorno a lei un coro di media digitali allevati
nella rete internet e dalla telefonia le sottraggono il primato giorno dopo
giorno.

Sul piano dei contenuti la grande
innovazione arriva prima da modesti siti internet, poi si afferma con le spallate
di YouTube e altri social network. I
contenuti generati dagli utenti mettono spesso in crisi i produttori di
intrattenimento
. Tremano perfino le grandi agenzie internazionali con le
quali si imbottivano i TG di news dall”estero.

Comincia a saltare tutta la gerarchia di selezione talenti. Per far fronte al
fenomeno la tv ricorre ai realities,
grazie a format che danno lustro a sconosciuti nell”estremo tentativo di creare
identificazione. La conta dell”audience però fa acqua. Nel frattempo la ripolarizzazione del mondo convince i
pubblicitari a ridurre gli investimenti
nelle tv occidentali a favore di quelle dei paesi del BRICS
.

Nel 2009 si spostano con un solo
colpo masse
di risorse che non esisteranno più
.

Internet e i suoi succedanei,
derivati dalla Convergenza (smart phones,
tablets, etc…), cominciano una marcia trionfale che mette sempre più
in discussione l”autorevolezza e il ruolo della tv.

La digitalizzazione e il cosiddetto
“riordino” dello spettro elettromagnetico
(frequenze) tramutano le reti di distribuzione e diffusione in un groviglio sterminato
difficile da tener sotto controllo a meno di investimenti e capacità gestionali
che le Old Tv non sembrano in grado di manifestare. È vero che si moltiplicano
i canali ma l”audience – nella migliore delle ipotesi – resta la stessa. In
realtà l”esodo dalla tv delle nuove generazioni è massiccio. Unico colpetto:
Mediaset, approfittando della possibilità digitale, tenta con una sua “pay tv” la
competizione con Sky di Murdoch. La Rai
soffre: resta interdetta dal fare tv a pagamento, subisce l”avvicendarsi ai vertici
di manager manovrati e inetti, assiste
impotente al calo delle risorse pubblicitarie e comincia a tremare all”idea –
ampiamente ventilata – che nel prossimo rinnovo di contratto del Servizio Pubblico
possa essere affiancata da altri soggetti con i quali dovrà spartire la risorsa
canone.

È stato
bello
,
vecchia Signora Tv … ci hai dato tante gioie e tanti dolori. I tuoi addetti ai
lavori hanno goduto di privilegi tali che pur di non perderli si sono prestati
a mille ricatti da parte delle élites, prima nazionali e poi internazionali.
Sei stata una degli strumenti più rilevanti della modernità. Tu, il telefono,
gli aerei, le automobili, etc… avete aperto le porte del terzo millennio ad
un”Italia comunque attonita e rimasta in gran parte inconsapevole delle
mutazioni globali anche grazie ai giornalisti e ai manager della tv. Resterai
ovviamente nell”Olimpo dei grandi media insieme al Cinema, alla Radio e
all”Editoria. Ma d”ora in poi sarai chiamata a fare solo la tua parte, privata
di quella Maestà di cui hai goduto nel secolo scorso.     

Fonte: [url”http://glaucobenigni.blogspot.it/2014/02/la-tv-ha-60-anni-ed-e-pronta-ad.html”]http://glaucobenigni.blogspot.it/2014/02/la-tv-ha-60-anni-ed-e-pronta-ad.html[/url]

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