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'Putin: ''Così le Nazioni dell''Europa stanno perdendo la loro sovranità'''

'Il discorso di Putin a Sochi: ''Servono nuove regole internazionali o rischiamo l''anarchia globale. Le ingerenze USA riportano il mondo alla Guerra Fredda'''

'Putin: ''Così le Nazioni dell''Europa stanno perdendo la loro sovranità'''
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29 Ottobre 2014 - 13.00


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Un discorso programmatico, da vero
capo di Stato. Quello tenuto dal presidente russo Vladimir Putin il 24
ottobre scorso, alla sessione plenaria del Forum internazionale del
«Club Valdai» (la fondazione no-profit che da anni si occupa del ruolo
geopolitico della Russia nel mondo), non è una dichiarazione di guerra,
ma un duro messaggio all”Occidente e in particolare agli Stati Uniti.
Dagli errori in Medio Oriente alla lotta al terrorismo, dalle sanzioni
dopo la crisi ucraina alle ingerenze economiche e politiche, Putin
spiega perché la Russia non cambia posizione. E anzi, rilancia il suo
ruolo di superpotenza.



Egregi colleghi! Signore e signori! Cari amici! (…)

Non intendo deludervi e parlerò in modo diretto, franco. Qualche
dichiarazione potrà, probabilmente, apparire esageratamente aspra.

Ma se non parliamo in modo chiaro e
diretto esprimendo i nostri pensieri reali e veri, allora non avrebbe
alcun senso fare incontri di questo tipo. Si potrebbe, in quel caso,
convocare dei raduni diplomatici dove nessuno parla in modo essenziale,
in quanto, ricorrendo alle parole di un noto diplomatico, la lingua è
stata data ai diplomatici solo per non dire la verità.

Noi ci riuniamo invece per altri scopi. Ci riuniamo per parlare senza
mezzi termini. La rettitudine e la durezza nel formulare delle
valutazioni servono oggi non per punzecchiarci reciprocamente, ma per
cercare di comprendere che cosa veramente sta accadendo nel mondo,
perché esso diventa sempre meno sicuro e meno prevedibile, perché
ovunque aumentano dei rischi.

Il tema dell”incontro di oggi è ben definito ormai: «Nuove regole del
gioco oppure gioco senza regole?»
. Formulato così, il concetto descrive
puntualmente quel bivio storico in cui ci troviamo, la scelta che dovrà
essere compiuta da tutti noi. L”idea che il mondo contemporaneo cambi
precipitosamente non è nuova. Infatti, rimane difficile non notare le
trasformazioni nella politica globale, nell”economia, nella vita
sociale, nell”ambito delle tecnologie industriali, informatiche e
sociali (…). Ma nell”analizzare la situazione attuale non dobbiamo
dimenticare le lezioni della storia. In primo luogo, il cambio
dell”ordine mondiale (e i fenomeni che osserviamo oggi appartengono
proprio a questa scala), veniva accompagnato, di solito, se non da una
guerra globale, da intensi conflitti locali. In secondo luogo, parlare
di politica mondiale significa affrontare i temi della leadership
economica, della pace e della sfera umanitaria, compresi i diritti
dell”uomo.

Nel mondo si è accumulata una moltitudine di contrasti. E bisogna
chiedersi in tutta franchezza se abbiamo una rete di protezione sicura.
Purtroppo, la certezza che il sistema di sicurezza globale e regionale
sia capace di proteggerci dai cataclismi non cӏ. Questo sistema risulta
seriamente indebolito, frantumato e deformato. Vivono tempi difficili
le istituzioni, internazionali e regionali, di interazione politica,
economica e culturale. Molti meccanismi atti ad assicurare l”ordine
mondiale si sono formati in tempi lontani, influenzati soprattutto
dall”esito della Seconda guerra mondiale. La solidità di questo sistema
non si basava esclusivamente sul bilanciamento delle forze e sul diritto
dei vincitori, ma anche sul fatto che «i padri fondatori» di questo
sistema di sicurezza si trattavano con rispetto, non cercavano di
«spremere fino all”ultimo» ma cercavano di mettersi d”accordo. Il
sistema continuava ad evolversi e, nonostante tutti i suoi difetti, era
efficace per – se non una soluzione – almeno per un contenimento dei
problemi mondiali, per una regolazione dell”asprezza della concorrenza
naturale tra gli Stati.

L”ARROGANZA DEI VINCITORI

Sono convinto che questo meccanismo di controbilanciamenti non
potesse essere distrutto senza creare qualcosa in cambio, altrimenti non
ci sarebbero davvero rimasti altri strumenti se non la rozza forza (…). Tuttavia gli Stati Uniti, dichiarandosi i vincitori della «Guerra
fredda», hanno pensato – e credo che l”abbiano fatto con presunzione –
che di tutto questo non vӏ alcun bisogno. Dunque, invece di raggiungere
un nuovo bilanciamento delle forze, che rappresenta una condizione
indispensabile per l”ordine e la stabilità, hanno intrapreso, al
contrario, i passi che hanno portato a un peggioramento repentino dello
squilibrio.

La «Guerra fredda» è finita. Però non si è conclusa con un
raggiungimento di «pace», con degli accordi comprensibili e trasparenti
sul rispetto delle regole e degli standard oppure sulle loro
elaborazione. Par di capire che i cosiddetti vincitori della «Guerra
fredda» abbiano deciso di «sfruttare» fino in fondo la situazione per
ritagliare il mondo intero a misura dei propri interessi. E se il
sistema assestato delle relazioni e del diritto internazionali, il
sistema del contenimento e dei controbilanciamenti impediva il
raggiungimento di questo scopo, veniva da loro immediatamente dichiarato
inutile, obsoleto e soggetto ad abbattimento istantaneo (…).

Il concetto stesso della «sovranità nazionale» per la maggioranza
degli Stati è diventato un valore relativo. In sostanza, è stata
proposta la formula seguente: più forte è la lealtà a un unico centro di
influenza nel mondo, più alta è la legittimità del regime governante.
(…). Le misure per esercitare pressione sui disubbidienti sono ben
note e collaudate: azioni di forza, pressioni di natura economica,
propaganda, intromissione negli affari interni, rimandi a una certa
legittimità di «infra-diritto» (…). Recentemente siamo venuti a
conoscenza di testimonianze di ricatti non velati nei confronti di una
serie di leader. Non è un caso che il cosiddetto «grande fratello»
spenda miliardi di dollari per lo spionaggio in tutto il mondo, compresi
i suoi stretti alleati.

Allora facciamoci la domanda se tutti noi troviamo la nostra vita
confortevole e sicura in questo mondo, chiediamoci quanto sia giusto e
razionale il mondo (…). Forse il modo in cui gli Usa detengono la
leadership è davvero un bene per tutti? Le loro onnipresenti
interferenze negli affari altrui implicano pace, benessere, progresso,
prosperità, democrazia? Bisogna semplicemente rilassarsi e godersela?

Mi permetto di dire che non è così. Non è assolutamente così.


LOTTA COMUNE AL TERRORISMO

Il diktat unilaterale e l”imposizione dei propri stereotipi producono
un risultato opposto: al posto di una soluzione dei conflitti,
l”escalation; al posto degli Stati sovrani, stabili, l”espansione del
caos; al posto della democrazia, il sostegno a gruppi ambigui, dai
neonazisti dichiarati agli islamisti radicali (…). Continuo a stupirmi
di fronte agli errori ripetuti, una volta dopo l”altra, dei nostri
partner che si danno da soli la zappa sui piedi. A suo tempo, nella
lotta contro l”Unione Sovietica, avevano sponsorizzato i movimenti
estremisti islamici che si erano rinvigoriti in Afghanistan, fino a
generare sia i talebani sia Al Qaida. L”Occidente, pur senza ammettere
il suo sostegno, chiudeva un occhio. Anzi, in realtà sosteneva
l”irruzione dei terroristi internazionali in Russia e nei Paesi
dell”Asia Centrale attraverso le informazioni, la politica e la finanza.
Non l”abbiamo dimenticato. Solo dopo i terribili atti terroristici
compiuti nel territorio degli stessi Usa siamo arrivati alla
comprensione della minaccia comune del terrorismo. Vorrei ricordare che
allora siamo stati i primi a esprimere il nostro sostegno al popolo
degli Stati Uniti d”America e abbiamo agito come amici e partner dopo la
spaventosa tragedia dell”11 settembre.

Nel corso dei miei incontri con i leader statunitensi ed europei ho
costantemente ribadito la necessità di lottare congiuntamente contro il
terrorismo, che rappresenta una minaccia su scala mondiale. Non possiamo
rassegnarci di fronte a questa sfida (…). Una volta la nostra visione
era condivisa, ma è passato poco tempo e tutto è tornato come prima. Si
sono verificati in seguito gli interventi sia in Irak sia in Libia.
Quest”ultimo Paese, tra l”altro, (…) ora è diventato un poligono per i
terroristi. E soltanto la volontà e la saggezza delle autorità attuali
dell”Egitto hanno permesso di evitare il caos e lo scatenarsi violento
degli estremisti anche in questo Paese-chiave del mondo arabo. In Siria,
come in passato, gli Usa e i loro alleati hanno cominciato a finanziare
apertamente e a fornire le armi ai ribelli, favorendo il loro rinforzo
con gli arrivi dei mercenari di vari Paesi. Permettetemi di chiedere
dove i ribelli trovano denaro, armi, esperti militari? Comӏ potuto
accadere che il famigerato Isis si sia trasformato praticamente in un
esercito? Si tratta non solo dei proventi dal traffico di droga, (…)
ma la sovvenzione finanziaria proviene anche dalle vendite del petrolio,
la cui estrazione è stata organizzata nei territori sotto il controllo
dei terroristi. Lo vendono a prezzi stracciati, lo estraggono, lo
trasportano. Qualcuno lo compra, lo rivende e ci guadagna, senza pensare
al fatto che così sta finanziando i terroristi, gli stessi che prima o
poi colpiranno anche nella sua terra.

Da dove provengono le nuove reclute? Sempre in Irak, dopo il
rovesciamento di Saddam Hussein sono state distrutte le istituzioni
dello Stato, compreso l”esercito. Già allora abbiamo detto: siate
prudenti e cauti (…). Con quale risultato? Decine di migliaia di
soldati e ufficiali, ex militanti del partito Baath, buttati sulla
strada, oggi si sono uniti ai guerriglieri. A proposito, non sarà
nascosta qui la capacità di azione dell”Isis? Le loro azioni sono molto
efficaci dal punto di vista militare, sono oggettivamente dei
professionisti. La Russia aveva avvertito più volte del pericolo che
comportano le azioni di forza unilaterali, delle interferenze negli
affari degli Stati sovrani, delle avance agli estremisti e ai radicali,
insistendo sull”inclusione dei raggruppamenti che lottavano contro il
governo centrale siriano, in primo luogo dell”Isis, nelle liste dei
terroristi. Tutto inutile.

IL BIPOLARISMO «COMODO»

L”accrescimento del dominio di un unico centro di forza non conduce
alla crescita del controllo dei processi globali. Al contrario, (…) è
efficace contro le vere minacce costituite dai conflitti regionali,
terrorismo, traffico di droga, fanatismo religioso, sciovinismo e
neonazismo. Allo stesso tempo ha largamente spianato la strada ai
nazionalismi (…) e alla rude soppressione dei più deboli. Il mondo
unipolare è la celebrazione apologetica della dittatura sia sulle
persone sia sui Paesi. Ed è un mondo insostenibile e difficile da
gestire anche per il cosiddetto leader autoproclamatosi.

Da qui nascono i tentativi odierni di ricreare un simulacro del mondo
bipolare, più «comodo» per la leadership americana. Poco importa chi
occuperà, nella loro propaganda, il posto del «centro del male» che
spettava una volta all”Urss: l”Iran, la Cina oppure ancora la Russia.
Adesso assistiamo di nuovo a un tentativo di frantumare il mondo,
fabbricare delle coalizioni non secondo il principio «a sostegno di», ma
«contro»; serve l”immagine di un nemico, come ai tempi della «Guerra
fredda», per legittimare la leadership e ottenere un diritto di diktat
(…). Durante la «Guerra fredda», agli alleati si diceva continuamente:
«Abbiamo un nemico comune, è spaventoso, è lui il centro del male; noi
vi difendiamo, dunque abbiamo il diritto di comandarvi, di costringervi a
sacrificare i propri interessi politici e economici, a sostenere le
spese per la difesa collettiva, ma a gestire questa difesa saremo,
naturalmente, noi». Oggi traspare evidente l”aspirazione a trarre
dividendi politici ed economici tramite la riproposizione dei consueti
schemi di gestione globale (…). Tuttavia il mondo è cambiato (…).


SANZIONI CON IL BOOMERANG

Le sanzioni hanno già cominciato a intaccare le fondamenta del
commercio internazionale e le normative del WTO, i principi della
proprietà privata, il modello liberale della globalizzazione, basato sul
mercato, sulla libertà e sulla concorrenza. Un modello i cui
beneficiari, lo voglio rilevare, sono soprattutto i paesi occidentali
(…). A mio parere, i nostri amici americani stanno tagliando il ramo
su cui sono seduti. Non si può mescolare politica ed economia, ma è
proprio questo che sta accadendo. Ho sempre ritenuto e ritengo ancora
che le sanzioni politicamente motivate siano state un errore che
danneggia tutti quanti. Comprendiamo bene in che modo e sotto quale
pressione siano state adottate. Ma ciò nonostante la Russia non intende,
e lo voglio mettere ben in chiaro, impuntarsi, portare rancore contro
qualcuno o chiedere qualcosa a qualcuno. La Russia è un Paese
autosufficiente. Lavoreremo nelle condizioni di economia esterna che si
sono create, sviluppando la nostra industria tecnologica (…). La
pressione esterna non fa altro che consolidare la nostra società, ci
obbliga a concentrarci sulle tendenze principali di sviluppo. Beninteso,
le sanzioni ci ostacolano: stanno cercando di danneggiarci, di
arrestare il nostro sviluppo, di ridurci all”auto-isolamento e
all”arretratezza. Ma il mondo è cambiato radicalmente. Non abbiamo
alcuna intenzione di chiuderci nell”autarchia; siamo sempre aperti al
dialogo, compreso quello sulla normalizzazione delle relazioni
economiche, nonché quelle politiche. In questo contiamo sulla visione
pragmatica e sullo schieramento delle comunità imprenditoriali dei Paesi
leader.

Affermano che la Russia avrebbe voltato le spalle all”Europa,
cercando partner economici in Asia. Non è così. La nostra politica in
Asia e nel Pacifico risale ad anni fa e non è affatto legata alle
sanzioni (…). L”Oriente occupa un posto sempre più importante nel
mondo e nell”economia e non possiamo trascurarlo. Lo stanno facendo
tutti e noi continueremo a farlo, anche perché una parte notevole del
nostro territorio si trova in Asia. (…).

Se non sapremo creare un sistema di obblighi e accordi reciproci e
non elaboriamo i meccanismi per gestire le situazioni di crisi,
rischiamo l”anarchia mondiale. Già oggi è aumentata repentinamente la
probabilità di una serie di conflitti violenti con il coinvolgimento, se
non diretto, ma indiretto, delle grandi potenze. Il fattore di rischio
viene amplificato dall”instabilità interna dei singoli Stati, in
particolar modo quando si parla dei Paesi cardine degli interessi
geopolitici e si trovano ai confini dei «continenti» storici, economici e
culturali. L”Ucraina è un esempio – ma non l”unico – di questo genere
di conflitti che dividono le forze mondiali.

Da qui scaturisce la prospettiva reale della demolizione del sistema
attuale degli accordi sulle restrizioni e il controllo degli armamenti.
Il via a questo pericoloso processo è stato dato proprio dagli Usa
quando, nel 2002, sono usciti unilateralmente dal Trattato sulla
limitazione dei sistemi di difesa antimissilistica per avviare la
creazione di un proprio sistema globale di difesa. Non siamo stati noi a
iniziare tutto questo. Stiamo di nuovo scivolando verso tempi in cui i
Paesi si trattengono dagli scontri diretti non in virtù di interessi,
equilibri e garanzie, ma solo per il timore dell”annientamento reciproco
(…). È estremamente pericoloso. Noi insistiamo sui negoziati per la
riduzione degli arsenali e siamo aperti alla discussione sul disarmo
nucleare, ma deve essere seria, senza «doppi standard». Che cosa intendo
dire? Oggi le armi di precisione si sono avvicinate alle armi di
distruzione di massa. Nel caso di rinuncia assoluta o diminuzione del
potenziale nucleare, i Paesi che si sono guadagnati la leadership nella
produzione dei sistemi di alta precisione otterranno un netto dominio
militare. Sarà spezzata la parità strategica, comportando così il rischi
di una destabilizzazione: affiora così la tentazione di ricorrere al
cosiddetto «primo colpo disarmante globale». In breve, i rischi non
diminuiscono ma aumentano.

Un”altra minaccia evidente è l”ulteriore proliferazione dei conflitti
di origine etnica, religiosa e sociale, che creano zone di vuoto di
potere, illegalità e caos, in cui trovano conforto terroristi,
delinquenti comuni, pirati, scafisti e narcotrafficanti. I nostri
«colleghi» hanno continuato i tentativi, nel loro esclusivo interesse,
di sfruttare i conflitti regionali: hanno progettato le «rivoluzioni
colorate», ma la situazione è sfuggita a loro di mano, alla faccia del
«caos controllato» (…). E il caos globale aumenta.

Nelle condizioni attuali sarebbe ora di cominciare ad accordarsi
sulle questioni di principio. È decisamente meglio che non rifugiarsi
nei propri angoli, soprattutto perché ci scontriamo con i problemi
comuni, siamo sulla stessa barca. La via logica è quella della
cooperazione tra i Paesi e la gestione congiunta dei rischi, sebbene
alcuni dei nostri partner si ricordino di questo solo quando risponde al
loro interesse. Certo, le risposte congiunte alle sfide non sono una
panacea e nella maggioranza dei casi sono difficilmente realizzabili:
non è per niente semplice superare le diversità degli interessi
nazionali, la parzialità delle visioni, soprattutto se si parla dei
paesi di diverse tradizioni storico-culturali. Eppure ci sono stati casi
in cui, guidati dagli obiettivi comuni, abbiamo raggiunto successi
reali. Vorrei ricordare la soluzione del problema delle armi chimiche
siriane, il dialogo sul programma nucleare iraniano e il nostro
soddisfacente lavoro svolto in Corea del Nord. Perché allora non
attingere a questa esperienza anche in futuro, per la soluzioni dei
problemi sia locali sia globali? (…) Non ci sono ricette già pronte.
Sarà necessario un lavoro lungo, con la partecipazione di una larga
cerchia di Stati, del business mondiale e della società civile (…).
Bisogna definire in modo nitido dove si trovano i limiti delle azioni
unilaterali e dove nasce l”esigenza di meccanismi multilaterali. Bisogna
trovare la soluzione, nel contesto del perfezionamento del diritto
internazionale, al dilemma tra le azioni della comunità mondiale volte a
garantire la sicurezza e i diritti dell”uomo e il principio della
sovranità nazionale e non intromissione negli affari interni degli Stati
(…). Non c”è bisogno di ripartire da zero, le istituzioni create
subito dopo la Seconda guerra mondiale sono abbastanza universali e
possono essere riempite di contenuti più moderni (…). Sullo sfondo dei
cambiamenti fondamentali nell”ambito internazionale, della crescente
ingovernabilità e dell”aumento delle più svariate minacce abbiamo
bisogno di un nuovo consenso delle forze responsabili per dare stabilità
e della sicurezza alla politica e all”economia (…).

IL CASO UCRAINA

Vorrei ricordarvi gli eventi dell”anno passato. Allora dicevamo ai
nostri partner, sia americani che europei, che le decisioni frettolose,
come ad esempio quella sull”adesione dell”Ucraina all”Unione Europea
erano pregni di seri rischi. Simili passi clandestini ledevano gli
interessi di molti terzi Paesi, tra cui la Russia, in quanto partner
commerciale principale dell”Ucraina. Abbiamo ribadito la necessità di
avviare una larga discussione. Una volta realizzato il progetto
dell”associazione dell”Ucraina, si presentano da noi attraverso le porte
di servizio i nostri partner con le loro merci e i loro servizi, ma noi
non lo abbiamo concordato, nessuno ha chiesto il nostro parere a
riguardo. Abbiamo dibattuto su tutte le problematiche inerenti
all”Ucraina in Europa in modo assolutamente civile, ma nessuno ci ha
dato ascolto. Ci hanno semplicemente detto che non era affar nostro,
finito il dibattito e la faccenda è deteriorata fino al colpo di Stato e
alla guerra civile. Tutti allargano le braccia: è andata così. Ma non
era inevitabile. Io lo dicevo: l”ex presidente ucraino Yanukovich aveva
sottoscritto tutto quanto, aveva approvato tutto. Perché allora
bisognava insistere? Sarebbe questo il modo civile per risolvere le
questioni? Evidentemente coloro che «producono a macchia» una
rivoluzione colorata dopo l”altra si ritengono degli artisti geniali e
non ce la fanno proprio a fermarsi (……).

Voglio aggiungere che avremmo gradito l”inizio di un dialogo concreto
tra L”Unione Eurasiatica e l”Unione Europea. A proposito, fino a oggi
ci è stato praticamente sempre negato: e di nuovo è poco chiaro per
quale motivo, cosa cӏ di spaventoso? Ne ho parlato spesso in precedenza
trovando l”appoggio dei molti nostri partner occidentali, almeno quelli
europei: è necessario formare uno spazio comune di cooperazione
economica e umanitaria, lo spazio che si stenda dall”Atlantico al
Pacifico. La Russia ha fatto la sua scelta. Le nostre priorità sono
costituite dall”ulteriore perfezionamento degli istituti di democrazia e
di economia aperta, l”accelerazione dello sviluppo interno tenendo
conto di tutte le tendenze positive nel mondo, il consolidamento della
società sulla base dei valori tradizionali e del patriottismo. La nostra
agenda è orientata all”integrazione, è positiva, pacifica (…). La
Russia non vuole ricostituire un impero, compromettendo la sovranità dei
vicini, e non esige un posto esclusivo nel mondo. Rispettando gli
interessi altrui vogliamo che si tenga contro anche dei nostri
interessi, che anche la nostra posizione sia rispettata (…). Abbiamo
bisogno di un grado particolare di prudenza, di evitare passi
sconsiderati. Dopo la «Guerra fredda» i protagonisti della politica
mondiale hanno perduto in certo senso queste qualità. È giunto il
momento di ricordarli. Nel caso contrario le speranze per uno sviluppo
pacifico, sostenibile si riveleranno una nociva illusione, mentre i
cataclismi di oggi significheranno la vigilia del collasso dell”ordine
mondiale (…). Siamo riusciti a elaborare le regole di interazione dopo
la Seconda guerra mondiale, siamo riusciti a trovare un accordo negli
anni 1970 a Helsinki. Il nostro obbligo comune è trovare un soluzione
per questo obiettivo fondamentale anche nel contesto di una nuova tappa
di sviluppo.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/politica/1063116.html.

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