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'Il ''reset'' di Putin'

A Sochi una svolta: gli USA non più un partner. Il piano: resistere. I contendenti, ciascuno a suo modo, hanno le spalle al muro [Giulietto Chiesa - aggiornamento Video]

'Il ''reset'' di Putin'
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27 Ottobre 2014 - 22.50


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di
Giulietto Chiesa
.

A
Sochi, nell’ottobre 2014, Putin ha “resettato”
drasticamente il rapporto tra la sua Russia e Washington. Un
discorso ben meditato, che sarebbe grave errore, per tutti,
sottovalutare. Molto più forte, a tratti drammatico nella sua
chiarezza, di quello da lui pronunciato a Monaco, nel 2007. Nei 14 anni del suo
potere il presidente russo non si era mai spinto fino a questo punto.
E si capisce il perché solo seguendo il suo ragionamento.

Vediamo
di quale reset si
tratta
. Fino all’altro ieri Putin era rimasto “dentro”
lo schema del post guerra fredda
. C’era rimasto sia perché non
aveva scelte diverse da fare, sia perché – con ogni probabilità –
a quello schema credeva e lo riteneva utile e realistico. La crisi
era già visibile. La Russia ci stava dentro scomoda. Ma rimaneva
l’intenzione di superarla, con il tempo, costruendo una nuova
architettura della sicurezza mondiale assieme agli Stati Uniti.

Per
anni, dopo il crollo del Muro, la Russia ha dovuto sopportare molti
“sgarbi”. È un eufemismo. In molti casi la parola giusta sarebbe
schiaffi. La Russia è stata emarginata da numerosi momenti
decisionali di rilievo internazionale, messa in secondo piano,
scartata senza troppi complimenti. Era (anche) un modo per farle
capire che non contava e che non si voleva che contasse.
Espulsa dalla gestione dei conflitti africani, ignorata nel dibattito
finanziario, messa in fila per il WTO. E duramente offesa nell’intera
vicenda jugoslava, fino al bombardamento di Belgrado e
all’indipendenza del Kosovo. Ammessa in sala riunioni solo là dove
era indispensabile che ci fosse, nel negoziato con l’Iran e nella
crisi siriana.

Peggio
ancora: con gli ultimi presidenti americani, da Clinton, via George
Bush Junior, fino a tutto Obama compreso, gli Stati Uniti hanno
manovrato su scala planetaria ignorando platealmente ogni
riconoscimento delle zone d’influenza russa,
passeggiandovi dentro senza alcun riguardo diplomatico. Tutta l’Asia
centrale ex sovietica
è stata praticamente occupata dalle loro
iniziative: dall’Azerbaigian fino alla Kirghisia. Non dovunque con
gli stessi successi. Ma quello che conta, è il significato:
Washington semplicemente mandava a dire a Mosca che non avrebbe
tenuto in alcun conto il peso della Russia in quelle aree.

Per
non parlare della NATO, la cui espansione a est –
dopo la fine del patto di Varsavia – ha proceduto senza soste, alla
pari con l’allargamento dell’Unione Europea su tutta l’Europa
orientale, fin dentro alcuni territori che erano stati parte
dell’Unione Sovietica, come le tre repubbliche baltiche. Il tutto
violando gli accordi, verbali e scritti, che impegnavano la NATO a
non portare basi e armamenti nelle nuove repubbliche che via via
aderivano all’Unione Europea. Espansione accompagnata da
dichiarazioni sempre più incongruenti con i fatti, secondo cui
l’estensione della NATO non sarebbe stata indirizzata
all’accerchiamento progressivo della Russia.

Infine
le operazioni degli ultimissimi anni, con l’inserimento della
Georgia di Saakashvili nei meccanismi NATO e la
promessa di un futuro ingresso a vele spiegate nella NATO della
quarta repubblica ex sovietica; e con le analoghe pressioni e
promesse nei confronti della Moldavia. Da ricordare la “guerra
georgiana”, conclusasi con la secca sconfitta di Tbilisi dopo il
massacro di Tzkhinvali e l’intervento delle forze armate russe per
ricacciare indietro i georgiani dal territorio dell’Ossetia del
Sud. Il riconoscimento russo delle due repubbliche di Abkhazia e
Ossetia del Sud (che Putin non aveva concesso fino all’agosto
2008) fu il primo segnale che il Cremlino aveva deciso – sebbene
non di propria iniziativa ma pressato dall’iniziativa avversaria –
di alzare il segnale di stop verso Washington.

Tutto
questo è stato superato, d’un colpo, dall’avventura
spericolata del colpo di stato a Kiev
, del rovesciamento violento
di Yanukovic e del varo di una nuova Ucraina dichiaratamente
ostile e bellicosa nei confronti di Mosca. Il tutto non
solo con il consenso ma con il finanziamento, la direzione, il
controllo americano delle operazioni sul territorio, e politiche e,
infine, militari
.

Non si
comprende la sintesi putiniana di Sochi se non tenendo conto della
sommatoria di questi eventi.

La
conclusione è esplicita: la leadership americana non prevede
alcun multipolarismo
, né alcun rispetto delle regole di un
qualsivoglia partenariato tra eguali.

Non ci
sono più regole condivise. Esiste uno stato di caos, senza
alcuna direzione.

Putin
prende atto – senza dirlo esplicitamente, ma facendo capire che ha
ben compreso – che il bersaglio è lui in persona. Che le sanzioni non
sono cominciate colpendo la Russia, ma colpendo il suo stesso
entourage. Che negli atteggiamenti e nelle dichiarazioni dei leader
occidentali è riconoscibile l’idea che Putin non rappresenta la
Russia e che, dunque, una volta eliminato lui, la Russia sarà
ricondotta all’ovile. In altri termini: l’Occidente non intende
negoziare con la Russia fino a che Putin sarà alla sua testa.

La
risposta di Sochi è ora nettissima, un vero e proprio punto di non
ritorno
. Poggiato su alcuni pilastri.

Il
primo è l’idea che l’unità dell’Occidente è precaria.
L’Europa non è compatta dietro l’America. Resta un partner,
anche se si trova sotto costrizione. Lo dicono i numeri delle
relazioni economiche e commerciali, oltre che la storia del
dopoguerra. Questo è il primo pilastro. Potrebbe essere una
scommessa che non si verificherà. Ma è un modo per tenere aperto un
campo di manovra. Putin mostra di sapere perfettamente che la Russia
che si trova tra le mani è incastonata in mille modi nel sistema
occidentale. Anche nei suoi quattordici anni di potere, non solo in
quelli elstsiniani, la Russia si è legata mani e piedi ai destini
dell’Occidente
. Dunque è vulnerabile e dovrà pagare prezzi
salati, forse salatissimi. Qui Putin è con le spalle al muro, e
dovrà dimostrare ai suoi cittadini che riesce a svincolarsene.

Lo
spazio potrà forse aprirsi come effetto della crisi politica di
questa Europa
. Lo sfaldamento della tenuta dei partiti politici
tradizionali, quasi dovunque, mostra che ci possono essere altri
interlocutori
, oltre ai conservatori tradizionali, ormai
avvinghiati alle sinistre socialdemocratiche, tutte emigrate oltre
Oceano. L’Europa popolare va a destra, si muove in senso
antieuropeo, antiamericano e antiglobalista, e converge sull’altro
pilastro su cui Putin si appoggia: quello del patriottismo,
del conservatorismo etico, dei valori tradizionali della
famiglia, dell’educazione, del rispetto della memoria. La
“famiglia europea” potrebbe cambiare di segno nei prossimi anni
.

E c’è
un altro pilastro, ormai evidente: l’Oriente, la Cina, l’Iran,
il resto del mondo
. Verso quella direzione – andassero male i
tentativi verso l’Occidente – guarderà l’aquila bifronte. Le
sanzioni –dice Putin – non fermeranno questa Russia, che nelle
parole di Putin appare vicina, risvegliata, compatta come non lo era
da molti decenni. È una specie di preludio a un governo di
salvezza nazionale
, in cui entreranno forse i comunisti di
Ziuganov, i liberal-democratici di Zhirinovskij, i
nazionalisti di destra e di sinistra, saltando a piè pari le
distinzioni europee-occidentali che in Russia hanno sempre contato
poco.

L’America
di Obama, l’America che Mosca vede come in preda a una crisi senza
ritorno (perché dopo Obama potrebbe venire il peggio, con una
Hillary Clinton che vince le elezioni con il programma dei
repubblicani più forsennati), non è più un partner.

L’orso
russo – proprio questo ha detto Putin – non intende uscire dal suo
habitat. Non ha ambizioni espansive. Ma non è disposto a farsi
sloggiare.

Putin
a questa conclusione è giunto. Questo è il suo
piano di
resistenza
. Si tratta ora di vedere se è in condizione di
reggerlo. E con un’America che gioca alla “o la va o la spacca”,
sarà una partita dura. È dura quando
entrambi i contendenti
hanno le spalle al muro

L”intero discorso di Vladimir Putin 

(Tradotto in inglese):

Gli estratti chiave del discorso di Putin a Sochi
(commentati in inglese):

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