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Mosca e Pechino uniti per frenare gli USA

Vertice Apec: la Cina ridisegna il mondo, Usa al palo. [Contropiano]

Mosca e Pechino uniti per frenare gli USA
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13 Novembre 2014 - 14.27


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da Contropiano

«Russia e Cina devono resistere alle pressioni di Washington e rimanere unite, nell”interesse del mondo intero». Più chiaro di così il leader cinese Xi Jinping non poteva essere quando si è rivolto al presidente russo Vladimir Putin. E da parte sua l’inquilino del Cremlino, intervenendo al Ceo Summit dell”Apec che si è svolto a Pechino nei giorni scorsi, ha dichiarato che «l”alleanza del futuro» sta nel settlement yuan-rublo. Cioè nell’abbandono del dollaro da parte di due delle maggiori economie del globo intanto nel settore dell’energia (che ha visto Mosca e Pechino stringere un’alleanza di gigantesche proporzioni), ma anche nel settore del mercato degli armamenti.

Mentre la maggior parte dei media nostrani si sono attardati a descrivere le polemiche suscitate dalla eccessiva espansività di Putin nei confronti della consorte del leader cinese o la querelle tra Washington e Pechino a proposito di ‘diritti umani’, la verità è che il vertice dell’Apec del 10 e 11 novembre ha sancito un cambiamento degli equilibri internazionali di portata epocale.

Perché se è vero che nel forum dell’Apec – formato da 21 paesi che si affacciano sulle due sponde dell’Oceano Pacifico, creato in contemporanea con la caduta del blocco sovietico, e il cui interscambio è pari al 48% del commercio mondiale – ognuna delle grandi e piccole potenze ha cercato di curare i propri interessi con contratti e accordi a tutto campo e a geometrie variabili, è vero anche che l’edizione 2014 ha sancito l’emersione definitiva nell’area della potenza economica e politica cinese, il rafforzamento dell’asse tra Cina e Russia, la battuta d’arresto per gli Stati Uniti.

Innanzitutto perché di fatto l’Apec ha scelto di seguire la Cina sull’avvio, anche se per ora timido e sperimentale, di un trattato di commercio incentrato sull’Asia e alternativo e concorrenziale rispetto al Tpp proposto da Washington ad alcuni paesi dell’area che invece escludeva proprio Pechino e Mosca.

Segno che l’egemonia statunitense in Asia sta subendo importanti battute d’arresto, e che il tentativo da parte di Washington di recuperare sul piano militare, espandendo la sua presenza diretta dall’Australia alle Filippine alla Corea del Sud non è affatto sufficiente a contrarrestare un processo di allontanamento dei paesi dell’area dagli interessi a stelle e strisce. Anzi, probabilmente, la maggiore aggressività militare ed economica di Washington funziona al contrario da accelerante nei confronti di paesi che, se anche soffrono l’invadenza economica cinese, cominciano a preferire decisamente Pechino rispetto al caro vecchio Zio Sam.

Qualcuno in patria addebita la sconfitta agli errori di Obama e del suo team di esperti poco accorti, ma appare chiaro che siamo di fronte ad una svolta di tipo epocale con l’emergere di nuove potenze capaci di tenere testa a quella che ormai è giusto definire una ‘superpotenza in declino’. Certo, il fatto che l’attuale ambasciatore statunitense a Pechino affermi di non essere un vero esperto di Cina la dice lunga sulla confusione che regna da quelle parti.

E invece la Cina, che certamente giocava in casa, ha mirato a sviluppare le sue relazioni e la sua egemonia a tutto campo. Non solo ottenendo un mega accordo con la Russia sul gas ma avviando il disgelo con il Giappone che però bisognerà vedere quanto durerà viste le aspirazioni da grande potenza dei nazionalisti al potere a Tokio. Un passo avanti comunque rispetto al muro contro muro degli ultimi anni, sia per il contenzioso sulle isole Senkaku/Diaoyu, sia per il sensibile riarmo del Giappone in chiave anticinese e in simbiosi con la strategia bellicista nella regione degli Stati Uniti.

Non solo. Perché Pechino ha portato a casa anche un importantissimo trattato di libero scambio con la Corea del Sud. Per non parlare del fatto che molti degli accordi siglati tra Xi Jinping e Obama – nei settori commerciale, militare, anti-terrorismo, energia, cambiamento climatico, salute, infrastrutture – porteranno benefici più alla Cina e alla sua proiezione internazionale che agli Stati Uniti.

È innegabile che il summit di Pechino si sia decisamente concluso a favore della Cina che esplicitamente proposto ai suoi partner, incassando un sostanziale accordo, una agenda per i prossimi anni incentrata su un ordine regionale basato sulla prevalenza di Pechino e su una almeno teorica convivenza con gli interessi statunitensi.

Di fronte a centinaia di imprenditori, il leader cinese ha esaltato il ruolo della Cina nell’economia mondiale, facendo notare che gli investimenti cinesi in uscita nei prossimi 10 anni toccheranno quota 1250 miliardi di dollari. Xi Jinping ha poi spiegato la sua teoria della “nuova normalità” a proposito di crescita, basata su un incremento annuo del Pil meno accentuato rispetto a quello degli ultimi trent’anni (che è stato intorno al 10%), sul miglioramento progressivo della struttura economica interna e sulla preminenza dell’innovazione rispetto agli investimenti.

Inoltre il leader cinese ha annunciato che Pechino investirà ben 40 miliardi di dollari nel fondo per lo sviluppo infrastrutturale dedicato alla Silk Road Economic Belt, una riedizione della ‘Via della Seta’ basata su un progetto infrastrutturale multimodale che collegherà il gigante asiatico all’Europa attraverso una rotta terrestre (che ricalca la Via della Seta storica) e una marittima.

Una strategia mirante a ridurre la dipendenza dell’area dall’egemonia statunitense sulle vie di comunicazione marittime e che potrebbe spingere Pechino a mantenere un ruolo più attivo in politica estera, in particolare ricercando una maggiore stabilità sia in Asia Centrale che in Medio Oriente ovviamente entrando in collisione con i piani di destabilizzazione statunitensi e con le sortite dell’Unione Europea.

Sui risultati e sui contenuti del recente vertice Apec vi proponiamo due articoli che ci sembrano chiarire bene l’essenza di un vero e proprio ridisegno degli equilibri e dei rapporti di forza internazionali, a tutto vantaggio della Cina e al di là delle narrazioni occidentali costruite a partire da questioni che, nelle relazioni tra le grandi potenze, appaiono sinceramente assai secondarie.

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