Casaleggio, non hai capito chi fa il prezzo | Megachip
Top

Casaleggio, non hai capito chi fa il prezzo

Non basta dire che Google sia il killer dei giornali. Il guru M5S, così come editori, blogger e politici, non sa dove si deve negoziare. Ecco le proposte. [Glauco Benigni]

Casaleggio, non hai capito chi fa il prezzo
Preroll

Redazione Modifica articolo

27 Novembre 2014 - 09.24


ATF

di Glauco Benigni.

Nel blog di Beppe
Grillo è comparso lunedì un post, a firma Gianroberto Casaleggio, che fa parte di una serie di post sulla “morte
dei giornali
” e che verrà inserito nello studio “Press Obituary” di prossima pubblicazione. Nel post
compaiono alcune affermazioni che, a mio avviso, necessitano di commento e
talvolta di precisazioni.

“La fine dei giornali – scrive Casaleggio – è una delle cose più prevedibili del nostro
futuro”
se non si troveranno risorse diverse dalla pubblicità. 

È vero? È falso?

È vero solo in
parte e comunque a condizione che si verifichino azioni e reazioni, da parte
dei soggetti coinvolti, che al momento non sono ancora completamente scontate.

Alcuni giornali
online e classici (quotidiani, settimanali ma anche mensili) infatti potrebbero
sopravvivere alla contrazione delle risorse pubblicitarie alle seguenti
condizioni:

a) se fossero
sostenuti prevalentemente dalle vendite e dagli abbonamenti;

b) se fossero
sostenuti da donazioni (anche occulte);

c) soprattutto se
fossero considerati da potentati politici e economici quali veicoli
indispensabili per organizzare il consenso su argomenti altamente
strategici.

L”ipotesi c), per
esempio, è attualmente in vigore nel caso di giornali che, barattando la loro
visione “politica” ottengono, da parte di inserzionisti
pubblicitari
particolari, un occhio di riguardo.

A tutt”oggi infatti
il consenso politico su grandi temi strategici quali la guerra e la pace,
il valore flottante delle monete di riserva planetaria, le questioni energetiche
e farmaceutiche, gli investimenti nelle borse, etc… viene
ancora organizzato da Big Press e Big Tv che stanno sopravvivendo
alla crisi della pubblicità e anzi l”hanno usata come alibi per “asciugare
costi” ritenuti superflui e dismettere giornalisti.

Ciò non toglie che,
all”interno del vasto mosaico dei media, il declino di gran parte della stampa
classica e dei giornali online sia in corso.

È sul suo decesso “inevitabile”
però che si possono e devono esprimere dubbi, come quando all”avvento della
Rivoluzione Industriale si espressero leciti dubbi sulla morte dell”artigianato.

Esiste infatti un’ipotesi
di sopravvivenza alla crisi della pubblicità
che tenterò di formulare in
seguito.

Casaleggio descrive
poi una pratica pubblicitaria molto perversa che si svolge in rete : quella
dell”uso dei cookies.
E descrive i suoi effetti nefasti : monitoraggio degli accessi, dei
comportamenti e del profilo dell”utente.

Non possiamo che
essere d”accordo.

La questione è
molto presente nel dibattito internazionale sulle linee guida che dovrebbero
condurre ad una futura governance
di internet
meno anarco-liberista di quanto non sia ora.

 

Però c”è da dire
che: proprio in quelle sedi internazionali, dove la società civile
riesce a manifestare un minimo la propria visione, la definizione “utente” è in via di
superamento, per diverse ragioni:

a) perché
“utente” si impasta e si intreccia con “prosumer“, con “consumatore”, con “cliente
finale” e con “utente inserzionista” e ciò crea confusione;

b)perché “utente”
presuppone che la Rete sia “un servizio agli utenti” e ciò contrasta
con le più recenti visioni della net neutrality,
per le quali la Rete è un”infrastruttura indispensabile alla Cittadinanza
Digitale
che, al dunque, è costituita da “persone”.

Casaleggio afferma
ancora: “In sostanza il rapporto tra
consumatore e pubblicità non risiederà più nei siti editoriali, che ne perdono
il controllo, ma negli inserzionisti digitali come Google o Facebook. Di fatto
questo rovescia il rapporto economico attuale in quanto la tracciabilità
dell”utenza e l”uso dei dati personali sarà alla base di ogni futuro processo
pubblicitario. La pubblicità sarà prevalentemente digitale e la proprietà del
cliente verrà trasferita ai big del web. Questo comporterà una riattribuzione,
già in atto, dei ricavi dai vecchi operatori (gli editori) a nuovi operatori
con un restringimento della filiera pubblicitaria.”

Anche qui ci sono
da fare alcune considerazioni. Probabilmente Casaleggio allude alla readership
che costituisce il parco lettori di una testata giornalistica e che
viene “venduta” alle Agenzie, o direttamente agli inserzionisti,
dalla concessionaria della testata. La concessionaria dell”editore (e qui
crediamo che parli di editori online) ne perde il controllo che finisce nelle
mani di soggetti quali Google e Facebook (i quali comunque, precisiamo: tutto
sono meno che “inserzionisti digitali”).

Allora: sì. È vero
che le concessionarie e le sezioni marketing degli editori contano sempre meno,
ma non è vero che la facoltà di vendita del parco lettori viene loro sottratta.

Ciò che viene
sottratto agli editori è la capacità di negoziare il prezzo del loro parco
lettori
.

E quindi, in progress, pagandoli sempre meno, gli inserzionisti
costringono gli editori a chiudere.

Ma perché? Perché
gli editori di giornali (e qui intendiamo tutti) non hanno
capito il profondo valore della contrattazione
del Costo Contatto
e in dettaglio del Cost per Thousand, cioè il
valore – negoziabile e non derivato – che l”inserzionista paga per
raggiungere con il suo messaggio 1000 persone e che regola la compravendita di
spazi in tutti i media (incluso il web).

Se gli editori
sono l”offerta (di
lettori/readership) e gli inserzionisti (non Google e Facebook)
rappresentati dalle agenzie di pubblicità che comprano spazi, sono la domanda (di lettori/readership)…
in un mercato vero ci dovrebbe essere contrattazione per fare il
prezzo
. Così invece non è!

Il soggetto che
genera l”offerta (gli editori) è frantumato, rissoso e ignorante e invece di
fare il cartello degli editori off-line e online, tende la mano e si
accontenta
di un Cost per Thousand
che viene deciso dalla domanda, cioè dai compratori di spazi.

In questo teatrino
da accattoni
, in cui si muovono gli editori privi di dignità, identità e
capacità di marketing, si sono inseriti alla grande altri soggetti, quali Google
e Facebook, che hanno assunto il ruolo di intermediatori e super
concessionarie del Web
perché “fanno il prezzo”, offrendo
quantità illimitate di spazi a basso costo agli inserzionisti.

Solo in alcuni tribunali
nordeuropei la vicenda è stata affrontata (in parte) per ciò che è, ma poi,
alla fine, impastata maldestramente insieme alla difesa dei diritti d”autore. È
così che il dumping ai danni
degli editori e anche dei prosumers e
dei bloggers, si è sanato con un’elemosina
(vedi caso francese).

Allora: in questa
vasta e complessa scena, Casaleggio, che è magna pars nella difesa dei diritti dei cittadini digitali e dei
(mi auguro) piccoli e medi editori digitali, perché non riflette meglio su
come avviene la contrattazione sul Cost
per Thousand
?

Ci sembra infatti
che dia per scontato che questo sia un valore da misurare “a monte”
della compravendita e delle pratiche di inserimento pubblicitario tra soggetti Over the Top.

Invece il Cost per Thousand è un valore da fissare
“a valle”, cioè prima della compravendita, in quanto rappresenta la
capacità potenziale di acquisto di 1000 componenti del parco lettori. Al dunque
la pubblicità è soprattutto compravendita di “persone”, non solo
di spazi promozionali. Ricordiamolo
.

Casaleggio menziona
poi la torta pubblicitaria. Bene! La sua consistenza – che attualmente
dipende dagli interessi del Consiglio di Amministrazione della IAAInternational Advertising Agency di
Madison Avenue – NON DEVE ESSERE quella offerta agli editori; ma DEVE ESSERE
quella negoziata e richiesta dal cartello degli editori per la loro dignitosa
sopravvivenza. Così fa il cartello dei grandi tv broadcasters statunitensi. Se ne frega dei budget offerti e
CHIEDE e OTTIENE annualmente ciò che serve a loro per vivere. Cioè sono i media
che devono fare e difendere il prezzo della loro audience, non gli intermediari
.

Per capirci: gli inserzionisti
consegnano alle Agenzie di Pubblicità circa 3 trilioni di dollari l”anno.
Il 60% di queste risorse viene dato ai media dei BRICS e dei Paesi Emergenti
perché sono considerati mercati in crescita. Il rimanente 40% viene dato ai
media dei paesi del vecchio Occidente allargato. Ma nel 2009 era il contrario e
l”inversione venne decisa in un Cda dell”IAA. Ciò dà un”idea dello strapotere
degli Inserzionisti Pubblicitari sui media tutti e dimostra come la crisi
dei media
sia solo imputabile a decisioni non contrastabili per
assenza di facoltà di negoziazione
.

In difetto di
contrattazione però, un soggetto come Casaleggio e per estensione (mi auguro)
il Movimento 5 Stelle, dovrebbe lanciare parole d”ordine al morente mondo degli
editori per incitarli a negoziare al meglio ciò che hanno (i loro
lettori) e per convincerli a non accontentarsi della semplice raccolta di ciò
che viene loro offerto, e in continuazione rattrappito, dalle aziende inserzioniste
.

Casaleggio poi se
la prende con Google
. Benissimo!

Recentemente
abbiamo tentato di spiegare che Google e Facebook e gli altri soggetti simili, non
sono alla sommità della piramide, ma lavorano, a loro volta, per qualcun altro
.
Per CHI?

Ma è ovvio: per gli
inserzionisti, per le corporations
che poi pagano le campagne politiche dei futuri leader (e anche per i servizi
segreti
nel caso di cessione di Big Data).

Allora? Se i
giornali muoiono è perché gli inserzionisti non pagano un equo prezzo per fare
la pubblicità delle loro merci e servizi. Ma chi deve contrattare il prezzo? È ovvio:
i produttori di contenuti (contents)
in grado di ospitare inserzioni, cioè gli editori di giornali on line tutti, i bloggers e i prosumers.

Il Movimento 5
Stelle dovrebbe lanciare un appello a tutti questi soggetti per costruire una syndication – auspicabilmente su
scala europea
  che assuma il ruolo
di soggetto collettivo in grado di negoziare autorevolmente il prezzo
della pubblicità
sui territori sia fisici che digitali.

Se non piace la
definizione “syndication” si può parlare di ConfEditori on line, di
Content Providers Association, o altro.

Attenti!… Berlusconi,
De Benedetti e Rizzoli-Corsera recentemente hanno annunciato la
nascita di una superconcessionaria del Web italiano. Ciò vuol dire che il
prezzo della pubblicità
sul territorio (web) italiano lo faranno loro,
solo loro e nient”altro che loro
.

Signor Casaleggio,
la vicenda è passata nel silenzio dell”opposizione. Come mai? Se il gettito di risorse pubblicitarie
nel web, che dovrebbe remunerare il lavoro svolto in Rete dalla cittadinanza
digitale
, viene deciso senza alcun dibattito, l”opposizione ancorata al
mondo digitale  che ci sta a fare?

Per concludere :
Google, è vero, è un bel puzzone ma approfitta dell”ignoranza e dell”ignavia
dei politici e dei content providers e della loro frantumazione.
Non è (solo) Google il carnefice dei “giornali”. Il mandante è sempre
e solo il Cartello delle Corporations/Inserzionisti, gli utenti pubblicitari
associati globalizzati
, lo stesso del resto con il quale Beppe Grillo
mirabilmente se la prendeva tanti anni fa quando accendeva i riflettori su Giulio
Malgara
, a quel tempo presidente dell”UPA e in quanto tale grande
finanziatore di Berlusconi e Dell”Utri. Quell”intuizione era quella giusta,
talmente giusta che gli costò il rapporto con la TV.

Rilanciamo quel
dibattito, signor Casaleggio, magari anche a costo di perdere qualche
inserzionista, tanto la stragrande maggioranza di loro persegue un modello di
sviluppo che non è quello del suo Movimento. 

Native

Articoli correlati