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Contro l'anti-italianismo

L’anti-italianismo, da almeno un trentennio, è di gran moda: molti pensano che essere anti italiani sia un modo per mostrarsi più “europei”, “internazionalisti”, “globalizzati”. [Aldo Giannuli]

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6 Marzo 2015 - 06.38


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di Aldo Giannuli

Non credo che ci sia un altro paese al Mondo che, parlando della riforma delle proprie istituzioni, pensi di adottare il modello elettorale “alla francese” o alla “spagnola”, il presidenzialismo “all’americana” o il cancellierato alla “tedesca”, e (perché no?!) il sultanato alla “turca” con il “voto trasferibile danese”. E non credo che esista un popolo così compiaciuto di parlar male di sé stesso.

Gianni Agnelli, una volta, disse che gli italiani non erano un popolo di “santi, di poeti, di eroi e di navigatori” ma di “stronzi, assenteisti ed evasori fiscali”. Evasione fiscale che egli ovviamente riprovava. Poi, poco dopo la sua morte, si scoprì che aveva occultato all’estero 1 miliardo di euro nel conto della “fondazione Dicembre”, ovviamente sottraendoli al fisco.

L’anti-italianismo, da almeno un trentennio, è di gran moda: molti pensano che essere anti italiani sia un modo per mostrarsi più “europei”, “internazionalisti”, “globalizzati”. Come dire: “globalizzati all’italiana”, con una furbata.

Gli italiani non parlano dell’evasione fiscale o della Mafia come di piaghe nazionali da curare, patologie sociali da risolvere, ne parlano solo per sentirsi migliori degli altri: “Italiani sono sempre gli altri”.

Questo è certamente un paese insoddisfatto di sé (riprenderemo il discorso delle origini storiche di questo sentire comune) ed, alla retorica del popolo di santi ecc. è succeduta quella del popolo di mafiosi, corrotti ed evasori che, forse è meno tronfia, ma sempre retorica è. E la retorica è spesso un modo per mentirsi.

Non mi stanno simpatici gli anti-italiani, soprattutto quando sono italiani più “italiani” degli altri. Certo – non lo nego – c’è una italianità deteriore, fatta di derogatoria morale, di mancanza di orgoglio e dignità, di spirito servile, di furbizia non intelligente. Tutto questo è vero ma l’italianità (per fortuna!) non è solo questo. E non è solo retorica ricordare le nostre tradizioni artistiche, letterarie, scientifiche, ecc.: abbiamo anche precedenti economici di tutto rispetto: siamo un paese di assenteisti? Siamo anche il paese del “miracolo economico” degli anni cinquanta-sessanta. Abbiamo una economia scompensata, dualistica, porosa? Si, ma, a dispetto di tutto questo, in un momento, siamo stati la quinta economia del Mondo. Non abbiamo i mezzi di Hollywood e di tanti altri, ma quanto ad oscar cinematografici siamo secondo solo agli americani. Non abbiamo i mezzi delle università inglesi e francesi, ma il medagliere dei Nobel è ricco. Siamo degli sciagurati che trattano malissimo un patrimonio artistico senza precedenti, ma nonostante tutto, continuiamo a dare al mondo capolavori di grande qualità. Questo è sempre stato e resta un paese di grandi artigiani e dire questo non deve servire ad alimentare ridicoli sensi di superiorità, ma prendere atto delle risorse che storicamente questo paese ha per tornare a crescere.

Ovviamente occorre emendare le non poche patologie sociali che ci affliggono, ma parlare di mafia, corruzione, evasione ecc. deve servire a curare queste piaghe, non a piangerci addosso.

E poi diciamoci che mafiosi, evasori e corrotti non sono la vergogna di questo paese perché ci sono i politici, i manager, i finanzieri, i giornalisti, i docenti universitari ed, in testa a tutti, i magistrati che sono una vergogna ben peggiore. La palla al piede di questo paese sono le sue pessime classi dirigenti, immobili da secoli. Il ricambio delle classi dirigenti avviene per solo tre motivi: la morte, i matrimoni e la lotteria.

Questo è il paese delle diecimila famiglie nelle quali si decide chi sarà il direttore dell’ospedale, chi il deputato, chi il direttore del giornale o il prefetto. Dallo stagnare delle classi dirigenti, che passano come salamandre attraverso il fuoco di guerre e crisi, sempre uguali a sé stesse, dipendono i troppi mali del nostro paese che tendono a cronicizzarsi.

Non sono i luoghi comuni dell’anti italianismo che miglioreranno questo paese, al contrario abbiamo bisogno di uno scatto di orgoglio e, comunque, almeno impariamo a dirci “io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono!”.

(3 marzo 2015)

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