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Vie di fuga

Convegno a Milano, 3-4 ottobre, con Effimera, per parlare di Europa, di noi, di monete alternative, di reddito, di forme di autorganizzazione, di cura e di felicità.

Vie di fuga
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5 Agosto 2015 - 17.55


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di Franco Berardi (Bifo)

Con questo testo di Franco Berardi apriamo uno spazio di riflessione, produzione di materiali, pubblicazione di contributi e commenti in vista di un incontro che Effimera intende organizzare a Milano, il 3 e 4 ottobre prossimi. Per parlare di Europa, di noi, di monete alternative, di reddito, di forme di autorganizzazione, di cura e di felicità. Una “mappa delle vie di fuga esistenziali collettive” ai tempi dell’ordoliberismo finanziario. [Effimera]

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Un convegno perché[/size=3]

Un convegno per farci che? L’idea di un convegno venne fuori dal flusso effimero dei giorni febbrili di luglio, i giorni tra il referendum e la resa. Un convegno parve a tutti urgente, ma non lo era. Per qualche giorno credemmo che l’azione e la volontà tornassero a giocare un ruolo, ma era un’illusione. Le cose andarono infatti nella sola maniera in cui potevano andare. L’automa tecno-finanziario ha ripreso il sopravvento e la società non trova la strada che possa renderla autonoma. Dopo il referendum, Tsipras si è reso conto (e l’ha anche detto) che lui e i suoi compagni non “avevano la competenza” per tentare un’uscita dal castello di ingiunzioni tecno-linguistiche di cui la governance è costituita. Non avevano la competenza perché quella competenza non c’è. Qualcuno ha la competenza per trasformare il quadrato in una figura geometrica con cinque angoli? No, e similmente nessuno ha la competenza per uscire dal ciclo del debito. Se lo accetti sei morto, se lo rifiuti sei morto lo stesso.

Così senza fretta il convegno si terrà a Milano il 3/4 di ottobre, c’è tutto il tempo di pensarci su. A che può servire un convegno? Qual è il suo tema, qual è il suo orizzonte? Non ho una proposta esclusiva, né un programma bello e pronto da proporre, ma credo che dovremmo costruirlo senza l’idea di “potere” qualcosa nel corso della prossima fase. Da trent’anni ogni scontro sociale, ogni confronto con il potere si risolve in un arretrare per ricomporre le fila qualche metro più indietro, pensando che al prossimo assalto resisteremo, e che forse inizieremo la riscossa.

Per favore piantiamola. Non ci sarà resistenza non ci sarà riscossa.

La resa di Syriza va interpretata in maniera realistica. Sul piano elettorale l’effetto della resa di Syriza è il crollo della residua credibilità delle forze di opposizione politica di sinistra. Perché gli elettori spagnoli o italiani dovrebbero votare per la sinistra dopo la prova che ha dato Syriza? Perché mettersi dalla parte di coloro che sono necessariamente destinati a perdere? Perché far arrabbiare Herr Shaeuble visto che da sinistra non c’è via d’uscita?

Questa è la prima lezione dell’estate amara, se vogliamo trarne consapevolezza e non soltanto amarezza.

Tra il giorno in cui il 62% dei greci ha detto no al ricatto e il giorno in cui Tsipras si è tolto la giacca dicendo prendete anche questa, si è consumata a mio parere l’ultima battaglia della sinistra.

Tsipras aveva probabilmente convocato il referendum sperando di perderlo ed essere legittimato dal voto a riconoscere il carattere irreversibile dell’automazione finanziaria. Poi ha dovuto tradire il responso delle urne perché l’alternativa sarebbe stata il caos, la violenza di strada, e un possibile intervento della polizia tra le cui fila Alba Dorata è decisiva. Tsipras è un bravo ragazzo, per questo i Greci lo seguono, non è un intellettuale radicale alla Varoufakis. Perciò ha scelto di non portare il suo paese alla guerra civile, verso la quale i criminali dell’Eurogruppo lo stavano coscientemente spingendo.

La sconfitta di Syriza non è conseguenza di errori o di tradimenti, ma il riconoscimento del fatto che il dominio della governance, cioè il dominio dell’astrazione finanziaria sulla concretezza della vita sociale non consente vie d’uscita politiche. Dopo la (provvisoria) conclusione della vicenda greca, i tentativi di riattivazione di una sinistra non vanno certo sabotati o irrisi. Ma è bene sapere che le forze di opposizione politica della sinistra rappresentano solo un residuo che pigola sempre più piano.

Mi chiedo se occorra fare un convegno per fare questa constatazione. Forse no.

Per fare un convegno che non sia retorico e auto-consolatorio occorre rovesciare l’ottica della faccenda, abbandonare dichiaratamente l’ottica della resistenza e della speranza, e dar per acquisita la precipitazione catastrofica che incombe.

Tanto per chiarire avrei un titolo da proporre per il convegno:

COME SOPRAVVIVERE ED ESSERE FELICI NELL’EPOCA INCOMBENTE DI MISERIA SCHIAVITÙ E GUERRA.

Un titolo di questo genere comporta due svolgimenti complementari:

da una parte comporta un riconoscimento del fatto che non esistono le condizioni sociali e psico-culturali per la resistenza: la resistenza non resiste. Miseria schiavitù e guerra sono inarrestabili al momento. D’altra parte richiede la proposta di una mappa delle vie di fuga esistenziali collettive.

Colonialismo astrazione finanziaria, nazionalismo emergente

L’estate amara ha svelato il carattere colonial finanziario della costruzione europea. L’Unione è un dispositivo di imposizione delle regole di precarietà e privatizzazione: la dinamica di predazione finanziaria si svolge attraverso un trasferimento di risorse e di potere dai paesi colonizzati verso il sistema bancario tedesco.

L’energia imperialista dei paesi che raggiunsero tardivamente l’unità nazionale (Germania Italia e Giappone) si manifestò nel ventesimo secolo con la formazione del fascismo aggressivo che ha alimentato la seconda guerra mondiale. Per ragioni geopolitiche la Germania non poteva esprimere quell’energia se non attraverso l’espansione in Europa, e questa espansione, che negli anni ’40 si manifestò come blitzkrieg e occupazione territoriale, oggi consiste nell’imposizione di un prelievo finanziario sul continente.

Per quanto sia orribile a dirsi, il disegno geopolitico della nazione tedesca è oggi esattamente lo stesso del 1941. I mezzi con cui si svolge la colonizzazione del territorio europeo sono diversi, l’ordoliberismo che ha ispirato la politica economica della tecnocrazia tedesca diverge dalle politiche di tipo dirigista del nazismo, ma alla fine converge nell’esaltare il ruolo aggressivo dell’economia nazionale. E comunque il rapporto tra la Germania e il resto del territorio europeo è il medesimo, e per finire mi pare che anche la psico-cultura del popolo tedesco sia cambiata pochissimo rispetto agli anni ’30. Il pogrom contro la Grecia è stato accompagnato da una campagna di stampa in cui gli stessi toni che negli anni ’30 si usavano per parlare degli ebrei sono stati usati per parlare dei greci. I contenuti dell’accordo-umiliazione sono stati risparmiati ai lettori dei giornali tedeschi. E l’omogeneità del ceto intellettuale non è dissimile dall’omogeneità del ceto intellettuale tedesco negli anni di Goebbels. Poiché non esiste alcuna legittimazione del ruolo tedesco di egemonia sull’Unione europea, questo ruolo si esercita come nel 1941 con la forza, anche se la forza finanziaria ha preso il posto della forza militare.

La reazione contro questa potenza colonialista non può venire dalla sinistra, che ha perfino paura di riconoscere il ritorno dell’aggressività tedesca, come se fosse un incubo che non si può tradurre nelle forme del discorso politico. La sinistra ha perduto legittimità e credibilità, e non ci sono le condizioni perché possa ricostruirle. Di conseguenza questa reazione assumerà sempre di più il carattere di movimento anti-coloniale, con un’accentuazione di elementi sovranisti, nazionalisti, e anche fascisti.

Alla forza dell’astrazione finanziaria non può contrapporsi ormai altro che la corporeità decerebrata dell’appartenenza. Da un lato i governi fantoccio che rappresentano gli interessi del colonial-finazismo, Renzi Rajoy Hollande, dall’altro le forze politiche nazionaliste che si oppongono a questo dominio in nome dell’interesse nazionale, con implicazioni anti-globaliste, e apertamente razziste.

Un terzo fronte non esiste, e dopo l’estate greca non è più proponibile.

Troppo a lungo abbiamo creduto che il problema fosse “più Europa politica” più democrazia e simili baggianate, quando in effetti assistevamo alla costituzione di un dispositivo assolutamente originale di colonizzazione finanziaria. Il capitale globale doveva cancellare la specificità europea del secolo operaio, e la specificità europea della democrazia sociale e della solidarietà. Questa cancellazione è stata realizzata con l’imposizione del modello ordo-liberista tedesco, e di una dinamica di colonialismo finanziario che ha paralizzato e distrutto ogni forma di solidarietà sociale, e realizzato un gigantesco accentramento di risorse.

Nei giorni in cui scrivo queste note, il Ministro delle Finanze tedesco propone la creazione di un’eurotassa, di un fondo comune alla cui formazione deve concorrere la popolazione di tutti i paesi europei.

Nella storia della democrazia moderna vigeva il principio: “No taxation without representation”. Nessun potere decisionale rappresentativo esiste in Europa, gli organismi che decidono sono completamente dominati dal ceto finanziario tedesco. Dunque possiamo dire che quella proposta da Scheuble non è una tassa, ma un prelievo coloniale che verrà imposto manu militari. Probabilmente questo spiega perché lo stato colonial-finazista ha scatenato nei mesi scorsi una vera e propria campagna di terrore contro il popolo e il governo greco. La finalità di quella campagna era creare le condizioni per imporre un prelievo forzato sul continente colonizzato.

Diserzione disfattismo sabotaggio

Dovremo prendere posizione nella guerra che si va delineando, come conseguenza di questa polarizzazione, nel contesto di una crescente espansione del fronte di guerra Mediterraneo e dal fronte di guerra russo? Credo di no, anche se capisco benissimo che spesso ci troveremo di fronte all’alternativa tra colonial-finazismo e sovranismo nazionalista e non sempre saremo in grado di evitare una scelta.

Credo che dovremmo abbandonare il piano stesso del discorso politico come discorso sul potere, e sempre di più dovremo ragionare in termini di cura e in termini di disfattismo attivo. Il nostro compito sarà proteggere spazi esistenziali e culturali che ci permettano di preparare le condizioni per il tempo successivo a quello della miseria e della violenza in cui siamo entrati credo irreversibilmente. Il nostro compito sarà creare spazi di sopravvivenza e sabotare la predazione coloniale e la guerra.

Il problema sarà: quale dimensione e quale persistenza possono avere le forme di sopravvivenza felice? In che misura potranno connettersi con esperienze di rappresentanza istituzionale? In che misura potranno prefigurare progetti per il dopo?

Qui si apre lo spazio per una riflessione su esperienze di finanza locale come quella di Barcellona, su ipotesi come quella di Varoufakis, o su un esperimento finanziario come Robin Hood, o sulla probabile regolamentazione repressiva di Bitcoin cui apre la strada l’arresto di Mark Karpeleis. Insomma, il problema della finanza come territorio di sperimentazione potrebbe essere al centro della parte propositiva del convegno.

Che senso ha

C’è una domanda finale che voglio porvi, ponendola a me stesso: per che ragione (a parte comprensibili motivi professionali per alcuni di noi che sono ricercatori o giornalisti o cose del genere) per che ragione persistiamo nello sforzo di analisi critica e di immaginazione, quando l’esperienza ci ha dimostrato che non c’è alternativa alla barbarie capitalista, almeno per il tempo che possiamo prevedere?

La mia risposta è esitante e la formulo così: perché c’è un tempo che segue il tempo che possiamo prevedere. E quel che noi possiamo vedere non è che una frazione minima dello spazio del possibile. E il possibile non coincide affatto con ciò che abbiamo il potere di realizzare.

Possibile e potere divergono, al punto che il potere mi appare come un regime del visibile e dell’agibile costruito per rendere il possibile invisibile e inagibile.

Torna qui prepotente – e tornerà sempre più prepotente nei prossimi anni – la paradossale tenaglia della riduzione tecnica del tempo di lavoro necessario, della crescita del tempo disoccupato e dell’imposizione di lavoro come ossessione fondamentale del potere.

Quando mi chiedo: abbiamo noi un contributo da portare alla disperata ricerca di una via d’uscita, c’è una ragion d’essere del pensiero autonomo che noi (con molti altri certamente) incarniamo? la mia risposta è sì, c’è una ragione. Noi siamo coloro che vedono ciò che la macchina di accecamento rende invisibile: il lavoro salariato è una superstizione, l’alternativa sta nel libero e pieno dispiegamento delle potenzialità del sapere esistente. Questo nostro vedere appare oggi un’allucinazione, un’illusione, un sogno. Non lo è. È il nucleo concettuale che occorre salvare, oltre l’orizzonte della miseria, dello schiavismo e della guerra civile planetaria.

(5 agosto 2015)

Immagine di Digerible.

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