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Cultura per una nuova cittadinanza

Verso un open manifesto della cultura per un nuovo senso di cittadinanza. [Emmanuele Curti]

Cultura per una nuova cittadinanza
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18 Febbraio 2016 - 06.48


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di Emmanuele Curti

L”articolo è stato pubblicato ieri su [url”cheFare”]www.che-fare.com[/url]. Ringraziamo Emmanuele Curti per averci gentilmente concesso di

riprenderlo qui. Buona lettura. (pfdi)

[center]***[/center]

1815, con il congresso di Vienna, abbiamo dato vita allo Stato moderno. Da quel momento fu costruita la grande

impalcatura della nuova era moderna. L’Inghilterra, la grande vincitrice di quel momento storico, lavorando sulle nuove

discipline storiografiche (storiografia che era stata dimenticata per secoli), costruisce la sua nuova identità inventando il

British Museum e la National Gallery, dando vita allo stesso tempo alle nuove università e scuole.

Il sapere del passato, o meglio, il recupero strumentale del passato greco (Londra come la nuova Atene con l’acquisto dei

marmi di Fidia del Partenone fulcro intorno al quale immaginare il British Museum), al centro del discorso identitario, con

annesso percorso che bypassando il Medioevo, riparte dal periodo giottesco nelle sale della National Gallery. Le nuove

discipline diventano il fulcro della nuova cultura: storia, storia dell’arte, archeologia, geografia modellano i nuovi

cittadini.

A 200 anni di distanza, a 200 anni dall’invenzione di discipline, musei, accademie, scuole, ecc. (che hanno costituito

l’ossatura di questo percorso bicentenario), sarebbe forse ora di iniziare a domandarsi verso dove stiamo procedendo: in

questi decenni l’infrastruttura culturale (sempre e purtroppo nella sua accezione di ‘cosa’ per il tempo libero) è rimasta

strutturalmente la stessa, anche se attraversata da mille pensieri, teorie, approcci. Dal positivismo al crocianesimo, dal

pensiero marxista al postmodern, dalle diverse teorie storiografiche alle cultural studies, da Gramsci a Foucault, Derridà,

Anderson, Hobsbawm, Augé, non ci sarebbe spazio qui per elencare correnti e pensatori che hanno segnato il tempo,

senza peraltro avere effetto sulle forme del nostro spazio, marcato ancora dalle istituzioni di sempre (accademie, scuole,

musei, ecc.). Lo stesso secolare dialogo fra discipline umanistiche e scientifiche, costruito sempre su di un sano confronto,

sembra evaporato, così come ci ha recentemente ricordato [url”Giuseppe Genna”]http://www.che-fare.com/innovatevi-culturalmente/[/url] su queste pagine.

Come dice [url”un altro grande padre, Bauman”]http://elpais.com/elpais/2016/01/19/inenglish/1453208692_424660.html[/url], siamo in un periodo di interregnum, sociale e culturale, e per assurdo, dalla

sua liquidità sembriamo non sapere venirne fuori con vocabolari nuovi di riferimento.

Nel frattempo, dallo smarrimento del post Novecento emergiamo con la consapevolezza di una democrazia occidentale in

crisi e con un sistema del lavoro stravolto: Carl Benedikt Frey e and Michael A. Osbornein [url”già nel 2013 denunciavano”]http://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf[/url] che

in pochi decenni circa il 47 % delle professioni (in USA), tipiche del ‘900, scomparirà nei prossimi anni, vittime della

computerizzazione della nostra società.

Una società in piena evoluzione, con noi spettatori. Oppure no?

[center][url”Continua a leggere su cheFare”]www.che-fare.com/open-cultura/[/url][/center][/size=4]

Infografica: © Adam Broomberg & Oliver Chanarin.

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