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Due o tre cose turche viste da me/2

'Seconda parte del reportage della scrittrice Michela Murgia dall''Istanbul del dopo golpe. Voci dall''interno della società turca che bucano la bolla mediatica italiana.'

Due o tre cose turche viste da me/2
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22 Luglio 2016 - 16.02


ATF

di Michela Murgia.

ISTANBUL (Turchia) – Gürsel Bulut non ha
neanche cinquant”anni, ma nell”antica fumeria di narghilè di Istanbul in cui ci
siamo dati appuntamento lo salutano a decine con la reverenza che si offre a un
anziano stimato.

Il luogo in cui sono stata invitata si chiama
Erenler, ha più di 400 anni ed è costruito accanto a un antico cimitero nel
quartiere di Fatih; aperto 24 ore, ha una fornace che, così mi dice il mio
anfitrione Çağatay Özdemir, dal sedicesimo secolo non è mai stata spenta e tra
le sue mura le donne sono benvenute, a differenza dell”alcool. In compenso
tutti fumano le pipe ad acqua che saturano l”ambiente con vapori profumati di
mela.

Gürsel Bulut in una foto del suo profilo di Facebook

Ci sediamo in una piccola stanza già occupata
in parte da quattro uomini; è affrescata con antichi motivi grafici ispirati
alla mistica sufi e mentre li ammiro arriva un inserviente con un narghilè e
tre bocchini monouso, insieme ai bicchierini di tè che qui a Istanbul non
mancano su alcun tavolo. Il clima è sereno e tutti chiacchierano piacevolmente:
sembra impossibile che meno di una settimana fa per la strada su cui si
affaccia la fumeria ci fossero i carri armati, centinaia di militari con i
mitra spianati e in atto il golpe fallito più veloce della storia della
Turchia.

Çağatay Özdemir, il giovane sufi che ci ha fatto da mentore per
l”incontro

Gürsel è un mercante di artigianato orientale
e gira tutto il mondo per trovare gli oggetti del suo commercio e partecipare
alle fiere internazionali in cui incontra i migliori acquirenti. “Sono stato
anche a Cagliari, bellissima città, avete artigiani meravigliosi!”

Viene da una famiglia originaria
dell”Azerbaigian e nel parlare con me alterna italiano e inglese, una
poliglossia non rara a Istanbul, metropoli dove confluiscono popolazioni da
ogni dove.

“Non credere mai a chi si vanta di essere
originario di Istanbul” – mi dice col bocchino per traverso tra le labbra –
“nessuno che viva qui lo è, a meno che non sia in grado di risalire per sette
generazioni fino agli ottomani”.

Sono felice di incontrare Gürsel perché
quelli come lui, i miti seguaci della mistica sufi dediti allo studio dei testi
antichi e all”attività benefica, mi sembrano la cosa più lontana dal fanatico
fondamentalista islamico, forse gli interlocutori ideali per cercare di capire
la Turchia del dopo golpe. Se però mi aspettavo un pensatore dissenziente,
Gürsel mi spiazza subito: “Non mi sono mai considerato un sostenitore di Erdoğan,
ma un golpe militare eterodiretto da un fanatico predicatore sponsorizzato
dagli Stati Uniti come Fethullah Gülen è l”ultima cosa che serve alla Turchia
in questo momento. Il mio paese deve cambiare democraticamente e per sua
scelta, non forzato dai mitra armati da uno che si considera il nuovo Messia”.

La fumeria Erenler, dove ha sede la fondazione di Gürsel.

Gürsel è un uomo complesso: non è solo un
mistico sufi, ma anche è il responsabile della fondazione Dokuz Önü,
un”organizzazione di aiuto umanitario che dichiara di non avere scopi politici
né di proselitismo e che opera negli strati sociali turchi più poveri, dove
peggiore è la condizione delle donne maltrattate, degli orfani e degli anziani
ammalati. Conosce bene la Turchia più ferita e le cose che mi spiega
smentiscono ancora una volta quello che assumo dai media europei.

“La parte di esercito che ha organizzato il
golpe con l”aiuto degli americani non è composta dai difensori dello stato
laico di Atatürk, ma da seguaci dell”ideologia religiosa di Gülen, Hizmet, che
qui ha più di quattro milioni di adepti, decine di scuole a pagamento
controllate da lui e interessi affaristici miliardari. Per capire cosa è Gülen
non devi immaginare un vecchio esule moderato, ma il capo di una setta, un tycoon, un grande vecchio pieno di soldi
e di progetti per la Turchia, naturalmente i suoi.”

Sui licenziamenti degli insegnanti è pacato,
ma altrettanto chiaro: “Tu quando leggi la parola insegnante pensi che stiano
mandando per strada dei poveri maestri di lettere e di matematica, invece quei
dodicimila licenziamenti riguardano persone che insegnano nelle scuole di Gülen
e che fanno parte di una rete sovversiva. Devi immaginarti una specie di Opus
Dei con i suoi campus costosi privati, luoghi da dove per anni è uscita una
classe dirigente ideologicamente conforme al proprio credo, uomini e donne
potenti, ricchi e istruiti, posizionati nei luoghi chiave della società turca
allo scopo di destabilizzarla e prendersela. Dopo un attentato voi lascereste
aperte le scuole coraniche dove imam fondamentalisti formassero i terroristi
per conto dello stato islamico? E i fiancheggiatori delle BR li avreste
lasciati liberi nelle loro case, o non siete forse andati a stanarli uno per
uno finché non avete debellato tutta l”organizzazione terroristica degli anni
70?”

Dentro la fumeria. (Quello con i baffi non è un turco, è il mio
fidanzato)

Provo a spiegargli che Fethullah Gülen in
Europa è considerato un moderato e che circolano sue foto amichevoli persino
con Giovanni Paolo II. La cosa lo fa ridere. “Ci sono foto di Giovanni Paolo II
anche con Pinochet, ma non credo che per questo abbiate considerato quel
macellaio un moderato. Fethullah Gülen è un fanatico religioso contrario allo
stato laico di Atatürk, amato dagli Stati Uniti e da quel papa anche perché a
suo tempo fondò l”Associazione per la Lotta contro il Comunismo, ma non
illuderti: è convinto che la fede sia una questione di stato. È un teocrate,
basterebbe leggersi uno qualunque dei suoi libri. Erdoğan non è un santo e
certamente adesso i suoi nemici politici avranno vita più dura, ma questo non
diventerà mai uno stato islamico per sua mano. Perché dovrebbe sottomettere il
potere politico a quello religioso?”

Cerco di capire perché lui, che è un uomo di
religione, non si fida di Gülen, che in fondo è un imam. “Un imam non è niente.
Gli imam in Turchia non sono capi religiosi, ma dipendenti dello Stato,
funzionari nominati dal governo: non sono come i vostri preti, non hanno
autorità personale. È così da Atatürk, che era uno statista vero. A differenza
di come avviene in Francia, non voleva che la religione fosse espulsa dalle
istituzioni, perché altrimenti si sarebbe organizzata contro le istituzioni,
come è avvenuto in molti paesi a maggioranza musulmana. Per questo istituì il
Direttorato di Stato per gli affari religiosi: tutti gli imam che predicano
nelle moschee di Turchia sono nominati da quell”istituzione. Per un certo
periodo Gülen l”ha persino diretta, ma poi Erdoğan si è accorto che aveva usato
il suo potere per costruire una sorta di stato parallelo. Ecco perché gli
adepti di Hizmet oggi sono una rete diffusa ovunque nei mezzi di informazione e
nelle istituzioni. Le epurazioni che stai vedendo riguardano loro, non generici
dissenzienti dalla politica di Erdoğan.”

Gürsel Bulut con i bambini in uno dei centri sostenuti dalla fondazione
Dokuz Önü

Non gli nascondo che visto dall”Europa questo
dopo golpe sembra il prodromo di una dittatura e che i paragoni con Hitler e il
suo iniziale consenso popolare si sprecano.

“L”Europa è sempre pronta a indicare i
pericoli antidemocratici fuori da sé, ma mai al suo interno. Dopo l”attentato
di Parigi Hollande ha sospeso gli accordi di Schengen sulla libera circolazione
e ha dichiarato lo stato di emergenza, che congela diversi diritti civili.
Adesso, dopo i fatti di Nizza, lo ha prolungato, ma nessuno in Europa pensa che
Hollande sia un dittatore. Qui c”è un colpo di stato, la nostra nazione è in
pericolo, ma se Erdoğan fa la stessa cosa di Hollande è subito dittatura. C”è
un problema di trave e di pagliuzza, non è così che dice Cristo?”

I quattro uomini che sono nella stanza con
noi lo ascoltano con attenzione. Çağatay Özdemir, il giovane sufi che ci ha
portati qui, traduce loro cosa ci stiamo dicendo e di quando in quando qualcuno
annuisce. Manifesto a Gürsel la preoccupazione che Erdoğan possa usare questo
particolare momento di crisi nazionale per rendere permanente lo stato di
emergenza e servirsi della religione come forma di controllo sociale.

Prima di rispondere prende tempo, quello che
occorre per una lunga boccata di fumo dal narghilé. “È un rischio, non te lo
nego, ma la Turchia ha i suoi anticorpi. Guarda le manifestazioni di strada,
guarda le auto piene di famiglie, di giovani donne con i capelli sciolti, di
anziani e di studenti: credi siano tutti stupidi? Pensi inneggerebbero al golpe
scampato se davvero la prospettiva fosse il fondamentalismo? Siamo uno stato
laico da troppo tempo, farci tornare indietro non sarebbe così facile.”

E la pena di morte minacciata?

“Non è credibile, è un espediente populista e
Erdoğan è il re dei populisti. Ma vuole entrare in Europa e non farà niente che
lo impedisca. Si terranno normalissimi processi ai colpevoli, cioè qualcosa che
gli Stati Uniti quando hanno preso Bin Laden non hanno nemmeno provato a fare.”

Erdoğan è al potere da quattordici anni, dopo
essere stato sindaco di Istanbul. Sono abbastanza da costruire un paese a sua
immagine e somiglianza. Mi ascolta guardandomi in tralice, ironico.

“Berlusconi vi ha governati per quasi
vent”anni e il mondo si chiede ancora come avete fatto a continuare a votarlo
per tutto quel tempo.”

Sto per dirgli che Berlusconi non ha mai
mandato l”esercito contro i giovani in protesta nelle piazze. Poi mi ricordo
che due giorni fa era l”anniversario del G8 di Genova e che il parlamento
italiano ha appena bocciato un emendamento per l’istituzione del reato di
tortura. Scelgo il silenzio. Tra i vapori di mela delle pipe ad acqua tacciamo
tutti.

Da Istanbul per ora è tutto.

p.s.

Leggo di molte
persone incredule del fatto che le cose turche viste dai turchi che sto
incontrando possano essere anche solo leggermente diverse da come sembrano
dall’Italia.

Queste persone sono
pronte a dichiarare che:

– i turchi hanno
subito un lavaggio del cervello, diversamente non si spiega come possano
continuare ad appoggiare Erdoğan il figlio di Satana.

– io sono prezzolata
dal governo turco per scrivere che Erdoğan è popolare.

– ho abdicato al mio
spirito critico e ho tradito i valori democratici.

Ne prendo atto. Nel
frattempo, se non dispiace, continuo a raccontare quello che vedo e sento.

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