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Michela Murgia e la stroncatura di Diego Fusaro

La stroncatura, in un certo senso, Fusaro se l’è meritata. Non ci si può limitare a fare filosofia con i tweet. [P. Zygulski]

Michela Murgia e la stroncatura di Diego Fusaro
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13 Febbraio 2017 - 05.17


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di Piotr Zygulski

Incalzato da varie persone ho deciso di scrivere un commento alla “stroncatura” che Michela Murgia ha riservato, nella sua consueta rubrica Quante storie, all’ultimo libro di Diego Fusaro – il noto “filosofo” che avrete tutti visto spesso comparire come opinionista in TV – intitolato Pensare altrimenti (Einaudi, Torino 2017).

Ho deciso di raccogliere le sollecitazioni innanzitutto perché conosco la persona e il pensiero di Diego Fusaro: siamo stati legati da un rapporto di amicizia, ormai ahimè interrotto, a cui devo molto per la mia formazione; in primo luogo, per la presentazione del nostro comune maestro Costanzo Preve. Un altro motivo che mi ha convinto a scrivere questo commento è la stima che nutro nei confronti di Michela Murgia per i suoi progetti politici per l’indipendenza della Sardegna e per i suoi ottimi interventi, anche a sfondo religioso. Ma in questa sede lascerò da parte ogni affezione personale.

Non ho avuto ancora il tempo di leggere il libro di Diego Fusaro appena uscito, ma l’ho sfogliato velocemente; oltre ad alcuni argomenti interessanti sulla storia della dissidenza, mi sembra che la sostanza del libro sia costituita da quello che ripete da sempre in modo monocorde da ormai anni: argomenti mutuati da altri – talvolta nobili – pensatori, spesso rielaborati con un buono stile e coniando formulazioni particolarmente efficaci.

La “stroncatura”, in un certo senso, Fusaro se l’è meritata. Non ci si può limitare a fare filosofia con i “tweet”. Ha ragione la Murgia quando critica frasi del tipo: «L”ideologia gender rimuove la differenza tra uomo e donna e demonizza come omofobo e intollerante chiunque non introietti supinamente questa nuova visione coerente con l”ordine mondiale». Un filosofo, soprattutto se sta scrivendo un libro e non si trova a Uno Mattina, parlando di gender come minimo dovrebbe distinguere tra gender e queer, confrontarsi con passi tratti da autori della galassia gender studies, e discernere fra la genesi delle idee e le eventuali – inevitabili – ricadute ideologiche, evitando di “buttarla in caciara” come un qualsiasi opinionista da quattro soldi. Tra parentesi, questa confusione sul termine gender riguarda anche certi preti, compreso il vescovo di Roma, che vi hanno trovato un mulino a vento contro il quale scagliarsi.

Quello che si richiede però ad un filosofo quale vorrebbe essere Diego Fusaro è un’autentica problematizzazione che (si) elevi – hegelianamente – oltre le dicotomie manichee. Le analisi fusariane, soprattutto riguardo la società contemporanea, mancano di determinatezza: vengono assemblati moltissimi temi e categorie, pertinenti nel contesto dai quali vengono mutuati, in un “calderone critico” in cui domina un “tutt’uno indistinto”. In questo senso, non è mia intenzione istituire un processo alle filosofie della totalità, che leggono la realtà come un insieme relato da comprendere nella sua interezza, bensì notare una certa assenza di determinatezza di questa totalità, cioè la non articolazione del sistema tinteggiato da Diego Fusaro.

Anche il fatto di leggere l’intera storia delle idee in una narrazione unitaria – segno per taluni di scarsa scientificità – è al contrario segno di coraggio intellettuale e può vantare illustri predecessori. Si pensi che Aristotele piegò alle sue esigenze i presocratici, Hegel tutto il pensiero a lui precedente, Heidegger incolpò Platone, e giù seguendo, per aver inaugurato il filone dell’“oblio dell’Essere”; ma anche il liberale Popper, in modo molto più sommario, mise in fila i filosofi “nemici della società aperta”, ossia “totalitari”, operazione attuata in modo destoricizzante. Cosa che perlomeno Fusaro, da discreto conoscitore di Hegel e di Marx, si guarda bene dal fare.

Mi preme anche sottolineare che la mia posizione sul tema gender potrebbe essere anche più vicina a quella di Fusaro che non a quella di Michela Murgia, la quale sembra sottovalutare le ricadute ideologiche dei gender studies quando afferma che «quelle che lui chiama “ideologia gender” in realtà hanno un altro nome: si chiamano “studi di genere” e il loro scopo non è cancellare la differenza tra gli uomini e le donne. Il loro scopo è discutere che le differenze naturali biologiche possano continuare a fondare le differenze sociali e le discrepanze tra i diritti». In realtà questi gender studies sono assai eterogenei e alcuni a dir poco deliranti. La critica però non può evitare il piano della problematizzazione filosofica e della chiarificazione concettuale; altrimenti la “dissidenza” si potrebbe trasformare in un’accozzaglia reazionaria di opposti estremismi, capace solo di dire di no. Forse è quello che i “nemici di Fusaro” sognano, per poter ridicolizzare facilmente ogni opposizione.

Quindi ha ragione da vendere la scrittrice sarda nel ricordare che «i filosofi lottano tutti i giorni per la precisione delle loro parole», ma anche per discernere i vari contesti. Altrimenti il rischio è quello di diventare solo l’ennesima macchietta intellettuale, come il “papirologo” Aristide Malnati, ridotto a commentare nella trasmissione Cuore di mamma la bellezza delle “pretendenti” con paragoni “egittologici”, fino addirittura a partecipare all’Isola dei famosi. Non vorrei che Fusaro facesse la stessa fine che già si prospettava con le sue prime apparizioni televisive, che altro non fanno che alimentare il narcisismo e “decaffeinare” proprio quel pensiero così “dissidente”. Perché le opinioni scomode – Fusaro dovrebbe saperlo bene – non vengono tanto censurate dallo Spettacolo contemporaneo, bensì vengono decontestualizzate, ridicolizzate o estremizzate a tal punto dal farle sembrare assolutamente impraticabili. Perché Marx può essere decaffeinato in tanti modi: sia descrivendolo come un paladino postmoderno dei “diritti civili”, sia come saccente profeta di scenari apocalittici.

Penso che Diego Fusaro valga molto di più. Non può limitarsi ad essere un “pappagallo in gabbia” – che catalizzi audience quanto quello di Enzo Tortora – né la “Margherita Hack della filosofia”. Un consiglio spassionato: prenditi un anno sabbatico. Riposa. Proprio tu che hai scritto Essere senza tempo sai quanto possa essere rivoluzionario, e quanto possa far bene anche a te. La filosofia necessita anche di tempo, di riflessione, di studio pacato. Vedrai che le tue critiche saranno più credibili. Non solo “dissidenti”, ma persino rivoluzionarie, come ci insegnava Costanzo Preve.

Uscendo infine dall’angustia del caso mediatico si può scorgere il vero dramma: sono costretto a dire che anche il peggior libro di Fusaro è di gran lunga più consigliabile – soprattutto per chi si avvicini a certe tematiche e debba essere risvegliato dal “sonno dogmatico” del pensiero liberal di sinistra – di molti autori che “continuano a raccontarsele” dopo decenni di fallimenti. E, alla fine, mi trovo a riconoscere questo: purtroppo dobbiamo ringraziare Dio dell’esistenza di Diego Fusaro.

Pubblicato giovedì 9 febbraio 2017 su [url”Termometro Politico”]http://www.termometropolitico.it[/url].

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