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Il suicidio di Grillo: a chi conviene?

Abbandona lo Ukip per allearsi con l’Alleanza liberale del belga Verhofstadt, un gruppo pro establishment le cui idee sono antitetiche a quelle del M5S.

Il suicidio di Grillo: a chi conviene?
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9 Gennaio 2017 - 15.05


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di Marcello Foa

Eh già, c’è chi decide di suicidarsi buttandosi giù da un ponte. E
chi prendendo le decisioni sbagliate nel momento più sbagliato,
dimostrando una miopia politica così clamorosa da chiedersi se sia
davvero solo il frutto di un errore di valutazione o se invece non sia
voluta, con estrema e raffinata perfidia, per distruggere il Movimento 5
Stelle.

Mettiamo in fila gli elementi.

Il M5S ha combattutto una battaglia durissima contro il sistema; il
suo fondatore e vera mente politica, Gian Roberto Casaleggio, è stato
oggetto di attacchi durissimi e personali, che lo hanno sfiancato nella
salute, con un epilogo drammatico.

Dopo la scomparsa di Casaleggio, il mondo ha iniziato a cambiare. Da
tempo il Movimento 5 Stelle si era schierato all’Europarlamento con lo
“scandaloso” Farage, considerato per anni poco più che un velleitario
buffone. Ma Farage ha guidato la Gran Bretagna alla Brexit.

Nel frattempo i pentastellati conquistano due grandi città italiane,
Roma e Torino. Negli Stati Uniti vince contro ogni pronostico Trump,
spostando il baricentro degli interessi degli Usa su posizioni molto più
vicine a quelli di movimenti alternativi di protesta (sì, i cosiddetti
“populisti”) come il M5S e la Lega di Salvini. Il 4 dicembre questi
stessi partiti guidano la campagna referendaria che si risolve con un KO
clamoroso di Renzi.

Il mondo sembra volgere dalla loro parte. E infatti da Washington
arrivano segnali incoraggianti. Notate bene: Nigel Farage, pur essendo
britannico, è uno dei pochi politici di cui Trump si fida; è l’uomo che,
sulle vicende europee, può sussurrare all’orecchio del presidente
eletto.

Un’occasione propizia per chi è sempre stato amico di Farage. Lo
capiscono tutti. Proprio sabato 7 gennaio sul quotidiano la Stampa esce
un retroscena molto interessante, intitolato “Dai migranti al terrorismo, Trump cerca un alleato in Italia per rilanciare l’alleanza con gli Usa” , in cui vengono riportate le indiscrezioni di due collaboratori presidenziali. I quali spiegano che:

È  chiaro che Trump sia contento del risultato
referendario alla luce dei discorsi e delle dichiarazioni fatte in
passato non solo sull’Italia ma anche in merito alla Brexit. Tutti i
suoi consiglieri, a partire da Steve Bannon – che è molto vicino alla
politica europea – consideravano il “no” come un primo passo verso un
processo di ricollocazione dell’Italia, una sorta di distacco, non nel
senso di uscita dall’Unione europea, ma di presa di distanza dagli
schemi conformisti di un certa politica e di una certa Europa. Un
passaggio verso la strada del popolarismo che privilegia l’economia
reale, il lavoro, la real politik e l’allontanamento dall’ideologia
conformista che sta decretando il fallimento del progetto europeo così
com’è.

Quei consulenti assicurano che Trump vuole:

individuare il giusto interlocutore con cui
l’amministrazione americana dovrà interloquire per rilanciare i rapporti
con lo storico alleato.

In un’Unione europea di cui non hanno fiducia, perlomeno non di quella che ha governato finora:

“Alcune settimane fa ho incontrato Farage e abbiamo
discusso della situazione in atto, quello che sta avvenendo in Europa è
un processo storico, il baricentro si sta spostando dalla parte della
gente, in Italia, in Francia e in Germania.”

Afferma il generale Paul Vallely, secondo cui

Il popolo sta prendendo coscienza della propria
sovranità, di essere la spina dorsale di nazioni indipendenti che non
devono per forza essere parte di un movimento globalista e
globalizzante. “E questa è un ottima cosa, per l’Italia ad esempio si è
compiuto un passo nella direzione che favorisce la gente. Siamo
contenti.”
Secondo il veterano allo stato attuale le nazioni europee non
hanno l’obbligo di essere parte di una entità sovranazionale come la Ue
che ha dimostrato – specie in alcuni specifici casi come l’Italia – “di
esigere più di quanto offra”. “Non mi sembra che Bruxelles abbia fatto
molto per i popoli europei fuorché creare una burocrazia pesante
comandata dai soliti noti. Sta emergendo una nuova visione dell’Europa e
con questo passo ci saranno interessanti scenari di cooperazione con
l’America di Trump.”

Musica per le orecchie innanzitutto di Salvini e della Meloni, che
sono sempre stati su queste posizioni. Ma anche di Grillo che in passato
non ha esitato a sparare sulla Ue e sulla globalizzazione e ad allearsi
con Farage.

La strada sembra spalancata per un atteso e fino alla scorsa primavera insperato sdoganamento internazionale.

E il Movimento 5 Stelle cosa fa? Anziché mettersi in scia e godersi
il momento, cambia improvvisamente rotta proprio a Bruxelles.

Abbandona lo Ukip per allearsi con l’Alleanza liberale del belga
Verhofstadt, le cui idee sono antitetiche a quelle di Grillo e di
Farage: pro Ue, pro globalizzazione; insomma un gruppo che affianca
l’establishment che ha governato finora.

Grillo, incredibilmente, scende dal carro del vincitore. E contraddice se stesso, la propria storia, la propria identità.

Lo fa anche nei modi peggiori: lanciando senza preavviso e senza
dibattito una consultazione interna nel week-end dell’Epifania. E
ottenendo il risultato più ovvio: quello di spaccare il Movimento, di
disamorare la base e molti sostenitori, di incrinare i rapporti con
Farage e con Trump per abbracciare quell’establishment e quei poteri
forti che ha sempre dichiarato di voler combattere.

Harakiri.

Un’ottima notizia per Salvini e la Meloni, che immagino, non
mancheranno di ringraziare Grillo. Ma anche – e forse soprattutto – per
quell’establishment che da un decennio cerca il modo di spaccare il
Movimento, senza mai riuscirci, almeno finché era in vita Casaleggio.
Sono passati pochi mesi ed è bastata una trattativa segreta a Bruxelles
per raggiungere quell’obiettivo.

Chissà se chi l’ha voluta e l’ha ideata ne è consapevole. 

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