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La Dittatura del Sarcasmo non serve a un Cazzo

È penoso leggere quintali di sarcasmo auto-compiaciuto, un sarcasmo così fasullo e neo-piccolo-borghese, da essere la venduta parodia dell’atto gioioso dell’ironia.

La Dittatura del Sarcasmo non serve a un Cazzo
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3 Settembre 2017 - 22.36


ATF
di Lorenzo Monfregola.
 
La creazione di contenuti culturali in italiano sta affogando nelle pose evasive di una generazione di mezzi-hipster-anti-hipster che usano ossessivamente la retorica del sarcasmo senza mai dire un cazzo di niente su quello che ci capita stando al mondo.
Spesso il sarcasmo è una gran cosa, ma quando diventa totale, totalitario e assoluto, allora diventa una dittatura retorica.
Abbiamo così questa truppa di gente con la battuta pronta e niente di più, questa Combriccola di mantenuti che con la scrittura non deve probabilmente pagarsi l’affitto, questo esercito di gente con la bio-di-twitter-brillante-e-terribilmente-tagliente che sopravvaluta ogni giorno la correlazione tra sarcasmo e intelligenza.
È penoso leggere quintali di sarcasmo auto-compiaciuto, un sarcasmo così fasullo e neo-piccolo-borghese, da essere la venduta parodia dell’atto gioioso dell’ironia. Perché la vera incapacità di specifici editorialisti, giornalisti, blogghisti è quella di non saper distinguere attivamente tra ironia e sarcasmo. Il vero peccato di tutti questi Sarcastici Stilosi è di non avere la forza di capire che quella che distingue l’ironia dal sarcasmo è, sostanzialmente, una cifra di gioia ribelle, magari anche senza speranza, ma moralmente e culturalmente non contemplativa o auto-assolutoria.
Tutti questi sarcastici pensano che, una volta pisciato sul mondo e dimostrato quanto poco abbiano a che fare con la melma in cui nuota gran parte della marmaglia che siamo, il compitino culturale sia concluso e si possa tutti tornare a una qualche serata post-qualcosa (sono tutti post-qualcosa i mezzi-hipster-sarcastici, forse per evitare di fare troppa fatica).
In pratica siamo pieni di articoletti che sparano su una qualche croce rossa, che prendono in giro qualche innocuo stronzo di turno, qualche ignorante che non azzecca gli accenti… Siamo bombardati da elenchi che stigmatizzano tipi umani imbarazzanti, giusto per il gusto di sentirsi un po’ migliori, narrazioni orgasmiche dell’idiozia del mondo, così che i creatori di contenuti sarcastici possano continuare a professarsi intelligenti e brillanti ancora per qualche giorno. Sembra quasi che la merda del mondo torni troppo comoda per scrivere di qualcos’altro. Quello che lo scrittore di contenuti sarcastici non fa mai è chiedersi realmente l’origine e le prospettive di tutto quello che trova per strada, gli basta pisciarci sopra.
In ultima analisi, il sarcastico totalitario è un bambino che gode a dire cacca e pipì e si ferma lì, senza nessun passaggio successivo, niente di più. In ultima analisi, il sarcasmo dittatore è tanto inutile quanto l’entusiasmo da propaganda, anzi, è la stessa fregatura usata per camuffare un conformismo spietato che si allinea con strutture di potere culturale.
Siamo inondati di scritti sarcastici impegnati a prendere per il culo qualche facile bersaglio e a fare battute dark-humour brillanti come se vivessimo tutti in una sit-com newyorchese di metà anni Novanta. Ed ecco perché la produzione culturale sarcastica si svolge tragicamente e comicamente, perché sembra non svolgersi qui e ora, Europa 2014, ma in un mondo in cui ci sono ancora abbastanza soldi in giro per non doversi chiedere come diavolo usare le settimane che ci sono concesse su questo mondo.
Se un giorno la storia dovesse irrompere con prepotenza nella nostra vita, tutta questa gente dalla battuta pronta si ritroverà a dire “Eh, ma io scherzavo” e a chiamare una qualche Polizia per farsi portare al sicuro prima di prendersi una sonora sberla di pragmatica. Prima di doversi rendere conto che sapere quanto siano coglioni gli altri non basta per non essere dei coglioni.
Perché i sarcastici ci tengono tantissimo a far sapere quanto siano coglioni gli altri, anzi praticamente ci vivono su quanto-sono-coglioni-gli-altri… Eppure non basta, appunto, per non essere dei coglioni. Non basta nemmeno fare finta di essere un coglione per non esserlo.
Così come non basta, per agire artisticamente, il comunicare esteticamente agli altri il proprio nichilismo. I sarcastici ci tengono tantissimo a far sapere in giro d’essere dei nichilisti, ma vagano senza uno straccio di vero nulla nel cuore… Cosa mai potrebbero creare, quindi? Come mai potrebbero rivoltare sensi e parole quando il loro nichilismo è soltanto una pigrizia da mantenuti, una performance identitaria?
Quindi?
Forse il nichilismo è davvero e solo una sovrastruttura. O, forse, è anche solo sulla differenza tra nichilismo passivo e attivo, tra frustrazione culturale e piacere creativo, che si giocano i pezzi di questo mondo.
Certo non sarebbe male creare quel che si riesce non distogliendo lo sguardo dalla differenza tra la risata che vomita bile e quella furiosa che spinge un qualche cammino.
-Fine-
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BONUS Track: Eh, ma così anche tu…

Aggiornamento decisamente non indispensabile per la lettura del testo di sopra – Il testo di sopra è fatto e finito, c’è tutto, niente da aggiungere, vale autonomamente.

Tante-quasi-troppe persone hanno riconosciuto, in maniera molto eterogenea, una qualche affinità con questo scritto che ho buttato giù istintivamente mercoledì scorso. Bene, su questo non c’è molto da aggiungere, sono contento che il testo sia servito a qualcuno.
Un paio di persone mi hanno chiesto, invece, se la mia critica di sopra non abbia ripetuto lo stesso paradigma del sarcasmo che giudico inutile.
La mia risposta è no, assolutamente no. Anzi, trovo decisamente superficiale (e pigra) un’interpretazione di questo tipo. Non solo, un’interpretazione di questo tipo rende anche evidente come un punto a dir poco cruciale della questione possa essere rimosso come un vero e proprio tabù.
Quale e Perché?
Oltre ad aver iniziato scrivendo che il sarcasmo non dittatoriale sia spesso una gran bella cosa, nel testo di sopra ho sottolineato un altro passaggio fondamentale.
Quale? Che lo specifico sarcasmo totalitario che critico si è affermato spesso come unico approccio ai fatti del mondo da parte di specifici creatori di contenuti, fino a trasformarsi in una nuova ideologia dominante e, quindi, in una (più o meno) riconoscibile struttura di potere culturale.
Mi rendo conto che parlare di ideologie dominanti e di strutture di potere culturale non sia molto di moda in tempi in cui le discussioni su qualsiasi punto si risolvono distrattamente in accese invettive tra tifoserie da stadio casualmente opposte.
Ma, per quanto mi riguarda, il sarcasmo dittatoriale come ideologia dominante e come struttura di potere culturale è e rimane una questione cruciale.
Perché?
Se non avessi riconosciuto in questo fenomeno della dittatura del sarcasmo una struttura di potere, non avrei speso una riga per parlarne, su questo non ho alcun dubbio. E, soprattutto, non l’avrei chiamata dittatura.
Non ho alcun problema con chi piscia sul mondo, anzi… Però ho un problema con chi ha deciso che il solo atto di cultura o critica contemporanea sia pisciare sul mondo in una maniera così canonica da essere quasi istituzionalizzata nel suo devastante conformismo. E non perché io ami particolarmente tutte le cose di questo mondo, figuriamoci, ma perché non amo la scelta deliberata dell’estetica della rassegnazione. Non solo, ora e qui, come scelta contingente, trovo che vantarsi culturalmente della rassegnazione sia una scelta incredibilmente ridicola, conservatrice, assolutamente paracula e pure un po’ vigliacca.
Pisciare su tutto perché nulla cambi, ecco dove sta la “dittatura”. Ecco perché non scrivo qui del sarcasmo, ma del sarcasmo dittatoriale. Ed ecco perché ho detto che questo tipo di sarcasmo è l’altra faccia della medaglia dell’entusiasmo acritico di propaganda, che è altrettanto conformista, tiranno e tristeIn ultima analisi, Entusiasmo e Sarcasmo dittatoriali sono il nuovo pensiero dominante, una nuova cultura consolatoria di massa (e se c’é un nuovo moralismo, sta proprio da quelle parti).
Quindi.
Una critica tagliente contro un’ideologia dominante e una struttura di potere culturale non è per niente la stessa cosa di un sarcasmo inutile che affoga una qualche funzione attiva della cultura nel dissacrare bersagli facili, soggetti deboli,oggetti irrilevanti, capri espiatori casuali e nemici approssimati.
Una critica tagliente contro una cultura di potere, non è per niente la stessa cosa che stroncare qualsiasi evoluzione culturale gettando dogmaticamente qualche chilo di sarcastico iper-nichilismo passivo e funzionalmente reazionario.
Una critica che faccia della condizione attuale un propulsore di eterogenee dinamiche e non un atto di rassegnazione è qualcosa che può piacere o non piacere, ma non è qualcosa che possa essere retoricamente ridotto all’oggetto stesso della critica, magari con lo scopo – conscio o inconscio – di rimuovere l’esistenza di un discorso spesso culturalmente dominante basato sul sarcasmo come atto repressivo e auto-repressivo.
Spesso si può, anzi, si deve, essere crudeli, ma bisogna provare a esserlo con coraggio. Spesso si ha il diritto, più che giustificato, a voler essere elitari, ma lo si dovrebbe fare senza sfruttare la propaganda di massa, altrimenti non vale. Possiamo, dobbiamo, essere beffardi, contenti e irriverenti. Dobbiamo dissacrare senza tregua, ne sono certo, niente è più importante. Ma, proprio per questo, non possiamo non chiederci cosa ci facciamo con l’energia delle nostre beffe più selvagge.
O, per farla molto più semplice, il sarcasmo dittatoriale èdebole con i forti e forte con i deboli. Il sarcasmo dittatoriale è feroce con i tentativi evolutivi e impotente contro quasi tutte le dinamiche di potere reale e, quindi, il sarcasmo dittatoriale è passivamente nichilista, quasi totalmente inutile e decisamente non satirico.
No, quanto scritto nel mio pezzo di sopra può essere roba di ogni tipo o tante altre cose sconosciute, ma non sarcasmo dittatoriale.

In realtà non si ride abbastanza

E poi c’è la parte della gioia ribelle, la risata improvvisa e liberatrice che vale 50 risate passive al secondo.
Certo è un gioco di sfumature sottili, ma stando ben attenti: come si fa a non sentire la differenza? La risata triste di bile repressiva non vale un solo pezzetto della risata ironica e beffarda.
Chi ha deciso che bisogna ridere solo amaramente e passivamente? Con quale diritto il sarcasmo dittatoriale si prende, a volte, pure l’esclusiva sulla risata, svuotandola, impoverendola, depotenziandola?
La cosa più assurda da dire a chi rifiuta la repressione del sarcasmo dittatoriale è: “Ma dai, e fattela una risata“…
Ma come, non avete capito? È proprio questo il punto: fatevela voi una risata.
Insomma, fate un po’ quello che volete, ma fatevi anche una risata non amara, fatevi anche una risata che non sia una parentesi consolatoria, fatevi anche una risata radicalmente dissacrante ma non repressiva.
Fatevi una risata libera, fatevi una risata feroce di un qualche coraggio.
Fatevi una risata che sia pericolosa.
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