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Se le società di social media sono editori e non piattaforme, cambia tutto

È tempo che i giganti dei social media scelgano da che parte stare. Non possono essere al contempo editore e piattaforma, nonostante le definizioni legali che usano per giustificare le loro decisioni.

Se le società di social media sono editori e non piattaforme, cambia tutto
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19 Novembre 2020 - 23.24


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di Christian Zilles.*
 
Il dibattito in corso sul fatto che le società di social media come Facebook e Twitter debbano essere considerate piattaforme o editori sta davvero iniziando a scaldarsi. In effetti le cose si stanno facendo così scottanti che nel mezzo del dibattito è intervenuta la Casa Bianca, dichiarando che è finalmente giunto il momento per aziende come Facebook e Twitter di ammettere di essere effettivamente editori che si nascondono dietro tutte le tutele legali concesse loro come piattaforme.
Insomma, se Facebook o Twitter prendono decisioni editoriali su ciò che appare sulle loro piattaforme, agiscono in realtà come editori. Se prendono decisioni riguardo alla censura di determinati tipi di contenuti, escludendo determinati individui dalle proprie piattaforme o in qualche modo filtrando o bloccando certi tipi di contenuti usando algoritmi, allora non sono diversi dagli editori tradizionali come i giornali o le riviste.
 
Editore vs. piattaforma
La differenza tra “piattaforma” e “editore” potrebbe sembrare semantica o fuffa specialistica aziendalese, ma in realtà comporta enormi implicazioni legali per aziende come Facebook e Twitter. Vedete, come “piattaforma” questi giganti dei social media possono nascondersi dietro tutte le protezioni legali della Sezione 230 del Communications Decency Act (trad: Legge sul decoro delle comunicazioni). Ad esempio, non possono essere citati in giudizio se sul loro sito web vengono visualizzati contenuti diffamatori. Sebbene le aziende tecnologiche abbiano ancora l’obbligo di rimuovere qualsiasi contenuto che violi le leggi penali federali, non possono essere ritenute responsabili se qualche folle inizia a diffondere disinformazione o a spacciare teorie del complotto. Tuttavia… puf! Tutte le protezioni legali vengono rimosse una volta che queste aziende sono considerate editori e non piattaforme.
 
Esempi di editori e piattaforme
Il modo più semplice per riflettere su questa dicotomia è pensare a società di giornali come il New York Times o il Philadelphia Inquirer. Queste aziende prendono decisioni editoriali su quali notizie pubblicare, hanno comitati editoriali, divulgano articoli di opinione e fanno ogni sforzo possibile per verificare (e riverificare) ogni singola cosa che pubblicano. Se pubblicano un articolo calunnioso o diffamatorio su un personaggio di alto profilo, possono aspettarsi di essere citati in giudizio.
Ora pensiamo a società come Verizon, AT&T o Comcast. Queste sono piattaforme, in quanto la loro funzione principale è quella di facilitare la comunicazione e distribuire le informazioni. Non possono vietarti di usare i loro servizi neanche se stai spacciando tutti i tipi di teorie del complotto. Se vuoi parlare al telefono di complotti false flag con tuo zio pazzo, nessuno bloccherà o censurerà quella conversazione, non riceverai una lettera da AT&T che ti dice che non sei più un cliente.
 
Quindi Facebook è un editore o una piattaforma?
Usando le analogie di cui sopra, le società di social media dicono sostanzialmente che si comportano molto più come il gruppo Comcast che come il Philadelphia Inquirer. Di conseguenza dovrebbero essere concesse loro tutte le protezioni legali della Sezione 230. Ma in realtà questo non regge, se si considera che lo stesso Mark Zuckerberg ha ammesso che Facebook a volte si comporta sia come piattaforma che come editore. E, come hanno evidenziato numerosi politici statunitensi, Facebook ha un notevole pregiudizio verso le ideologie politiche liberali, di sinistra e filodemocratiche, come anche un notevole pregiudizio contro le ideologie politiche conservatrici, di destra e filorepubblicane. A questo proposito, Facebook è molto simile al Philadelphia Inquirer che decide di sostenere un particolare candidato a una carica politica: questo è qualcosa che fanno sempre gli editori, non le piattaforme.
 
E non dimentichiamo la neutralità della rete
A rendere le cose ancora più complicate è il fatto che i giganti dei social media sembrano parlare da entrambi i lati della bocca quando si tratta di questioni come la neutralità della rete. Facebook, ad esempio, vuole essere sicuro che nessuno dei suoi contenuti venga bloccato, censurato o spostato nella “corsia lenta di Internet” da qualsiasi provider di banda larga. Twitter parla di una grande partita in gioco sull’importanza di proteggere la libertà di parola e la diversità di pensiero quando si parla di neutralità della rete, ma poi sembra adottare un approccio completamente diverso quando si tratta di censurare, limitare o vietare i contenuti.
 
Attitudine a essere editore
È quindi tempo che i giganti dei social media scelgano finalmente da che parte stare. Non possono essere allo stesso tempo editore e piattaforma, indipendentemente dal tipo di definizione legale che scelgono di usare per giustificare le loro decisioni. Non importa se è un essere umano o un algoritmo meccanico a prendere la decisione editoriale: se stai bloccando o censurando alcuni contenuti che non sono in linea con i tuoi valori e punti di vista, allora sei un editore. Punto. È tempo che le società di social media prendano coscienza di questa realtà e si preparino alle conseguenze.

 

* Christian Zilles è Fondatore e CEO di Social Media HQ.

 

 

Fonte: https://socialmediahq.com/if-social-media-companies-are-publishers-and-not-platforms-that-changes-everything/

Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.

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