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Il battaglione Papar’Azov e la banalità del ridicolo

Una conferenza in Sardegna dedicata a presentare libri sul Medio Oriente, guerra e libertà d’informazione viene trasformata in un'invasione russa. Smontiamo il maccartismo di provincia, la cornice manipolatoria e la nuova russofobia che pretende di stabilire chi può parlare e chi no.

Il battaglione Papar’Azov e la banalità del ridicolo
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17 Novembre 2025 - 00.02


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di Pino Cabras.

Stamani ho scritto che non avevo tempo per occuparmi del delirio di un maccartista che aveva scritto un’articolessa contro di me. Ho finalmente trovato il momento. Ci sono attimi preziosi in cui ci si concede quei piccoli rituali perfettamente superflui che, paradossalmente, ti fanno fare pace con il fluire delle ore. C’è chi si rilassa limandosi le unghie, qualcuno conta quante macchine rosse passano sotto casa.

Io, nei rari momenti liberi, apro un pezzo di Francesco Nocco o di Francesco Pigliaru.

Sul sito dell’ex assessore regionale Paolo Maninchedda, proprio Nocco ha pubblicato un pezzo dal titolo: “Chi sono i nazisti tra noi?”.

Già dal titolo si capisce l’aria che tira: un piccolo manuale di 𝗱𝗲𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹𝗲, con tanto di foto della conferenza di Calasetta dell’8 novembre scorso, dove ho presentato il mio libro 𝘊𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘪𝘭 “𝘚𝘪𝘰𝘯𝘪𝘴𝘮𝘰 𝘙𝘦𝘢𝘭𝘦” insieme a Simone Spiga che presentava 𝘓𝘢 𝘴𝘱𝘪𝘨𝘢 𝘯𝘦𝘭𝘭’𝘰𝘤𝘤𝘩𝘪𝘰.

𝟭𝗔𝗿𝗲𝗻𝗱𝘁 𝘂𝘀𝗮𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗺𝗼𝗹𝗹𝗲𝘁𝘁𝗮 𝗱𝗮 𝗯𝘂𝗰𝗮𝘁𝗼

Nocco esordisce evocando Hannah Arendt e la “banalità del male”.

Per lui il male si manifesta… quando un assessore comunale concede una sala pubblica a chi non recita in coro il catechismo NATO–UE.

Non più i campi di sterminio, non le guerre preventive, non le sanzioni che affamano popoli interi.

No: la 𝘃𝗲𝗿𝗮 “banalità del male” sarebbe un dibattito pubblico con cinquanta sedie e delle copie di libri che parlano di genocidio in Medio Oriente e di crisi dell’informazione.

Arendt merita di meglio che essere ridotta a gadget retorico in mano a chi non ne ha capito un rigo: non era la teorica della “banalità della conferenza”, ma dell’orrore che nasce quando la gente smette di 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗿𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲: cioè esattamente nel punto in cui l’articolo di Nocco prende slancio.

E qui, se permettete, il problema non è la sala del Centro Velico di Calasetta: sono gli inquisitori che vogliono decidere 𝗰𝗵𝗶 𝗵𝗮 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗮. C’era la squadra dei suoi premurosi emissari – il Battaglione Papar’Azov – che scattava foto e filmava con lo stesso zelo di tutti i soldatini dei bassifondi spionistici.

𝟮𝗜𝗹 𝘁𝗿𝘂𝗰𝗰𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗶𝘁𝗼𝗹𝗼𝗻𝗼𝗻 𝘁𝗶 𝗰𝗮𝗹𝘂𝗻𝗻𝗶𝗼𝘁𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗿𝗻𝗶𝗰𝗶𝗼

Nocco in un commento più tardi mi rimprovera di aver scritto che mi ha dato del nazista.

In effetti è vero: la parola “nazista” non la mette direttamente accanto al mio nome.

Molto più fine: titola “Chi sono i nazisti tra noi?”, poi infila il mio nome, Simone Spiga, Russia Today, Dugin, Rusich, Wagner, neonazisti vari, Z come nuova svastica, e lascia che il lettore faccia da solo due più due.

È la tecnica classica del 𝗱𝗲𝗹𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝟰.𝟬: non ti calunnia apertamente, ti mette nella 𝗰𝗼𝗿𝗻𝗶𝗰𝗲 𝘀𝗲𝗺𝗮𝗻𝘁𝗶𝗰𝗮 della calunnia e poi, come ogni dilettante dell’inquisizione, finge stupore se glielo fai notare.

Freud lo chiamerebbe proiezione, io lo chiamo 𝗕𝗮𝘁𝘁𝗮𝗴𝗹𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗣𝗮𝗽𝗮𝗿𝗔𝘇𝗼𝘃: i fotografi e gli scribacchini che si sentono partigiani perché fanno dossier.

Nocco, intervenendo poi sulla mia bacheca Facebook, ha perfino scritto:

«𝗡𝗼𝗻 𝗵𝗼 𝗰𝗶𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝘁𝘂𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼

Perfetto: è la prova regina della strumentalità del suo pezzo.

Ero a Calasetta proprio 𝗽𝗲𝗿 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝘀𝘂𝗹 𝗠𝗲𝗱𝗶𝗼 𝗢𝗿𝗶𝗲𝗻𝘁𝗲, 𝘊𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘪𝘭 “𝘚𝘪𝘰𝘯𝘪𝘴𝘮𝘰 𝘙𝘦𝘢𝘭𝘦”, che parla del genocidio, di Gaza, Israele, poteri occidentali, informazione distorta.

Non di Dugin, non di Rusich, non di Wagner.

Ecco perché non lo cita: perché 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗼𝗴𝗴𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗿𝗲𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 farebbe crollare la sua costruzione insinuante. La tecnica è sempre la stessa: ignorare i contenuti per fabbricare una cornice accusatoria che regge solo se svuoti il contesto.

Non potendo attaccare ciò che ho scritto e detto, attacca ciò che non ho detto. Vallo a far capire agli ex assessori regionali.

𝟯𝗟𝗮 𝘀𝗮𝗹𝗮 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗹𝘂𝗼𝗴𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗱𝗲𝗹𝗶𝘁𝘁𝗼

In base al teorema Nocco, il problema non sono le idee – che pure attacca con grande superficialità – ma il fatto che 𝘂𝗻𝗮 𝘀𝗮𝗹𝗮 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮 sia stata concessa a gente come me e Spiga.

L’assessore locale, in questa sceneggiatura, diventa una sorta di Eichmann dei verbali: ha “eseguito una pratica amministrativa” senza farsi impartire la linea morale da Nocco.

Qui la lezione arendtiana è capovolta: invece di temere il potere che pretende di decidere chi possa parlare, Nocco teme l’amministratore che 𝗻𝗼𝗻 𝗰𝗲𝗻𝘀𝘂𝗿𝗮.

Il messaggio di fondo è semplice e inquietante: gli spazi pubblici devono essere aperti solo a chi è allineato all’ortodossia bellica UE-NATO. E questo lo chiamano “difendere la democrazia”.

𝟰𝗜𝗹 𝗰𝗮𝘀𝗼 𝗡𝗮𝘃𝗮𝗹𝗻𝘆𝗶𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗯𝗹𝗲𝗺𝗮𝘁𝗶𝘇𝘇𝗼𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗳𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗰𝗮𝘁𝗲𝗰𝗵𝗶𝘀𝗺𝗼

Un passaggio divertito del suo articolo è la caricatura di un mio testo sulla morte di 𝗔𝗹𝗲𝘅𝗲𝗶 𝗡𝗮𝘃𝗮𝗹𝗻𝘆.

Secondo Nocco, io lo avrei liquidato come “morto per malore improvviso”, quasi a far da notaio alla versione ufficiale.

Basta leggere integralmente quell’articolo (16 febbraio 2024) per vedere l’operazione:

– io spiegavo che, di fronte alla morte in custodia di una figura così esposta, 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗮 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗹𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲̀ 𝗰𝗿𝗲𝗱𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲;

– paragonavo il caso a quello di 𝗝𝗲𝗳𝗳𝗿𝗲𝘆 𝗘𝗽𝘀𝘁𝗲𝗶𝗻 in USA e di 𝗚𝗼𝗻𝘇𝗮𝗹𝗼 𝗟𝗶𝗿𝗮 in Ucraina, ricordando che dove intervengono grandi potenze agiscono spesso poteri opachi, non interamente riconducibili al potere visibile;

– criticavo la rappresentazione occidentale di Navalny come “principale oppositore di Putin”, un’icona costruita mediaticamente, figlia anche di ingerenze occidentali;

– concludevo chiedendo che la stessa indignazione fosse applicata a 𝗝𝘂𝗹𝗶𝗮𝗻 𝗔𝘀𝘀𝗮𝗻𝗴𝗲 e alle migliaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.

Insomma: zero “giustificazionismo”, molta 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘀𝘀𝗶𝘁𝗮̀ e critica dei doppi standard.

Esattamente ciò che i piccoli vice-Torquemada non sopportano: chi non si accontenta della versione prefabbricata “ha stato Putin” o “ha stato il Nemico di turno”. Peraltro, come spesso accade, i gerarchetti sono più realisti del re. Kyrylo Budanov (capo dell’intelligence militare ucraina) non ha mai parlato di omicidio nel caso Navalny: ha detto invece che, secondo le informazioni dell’intelligence ucraina, la morte sarebbe dovuta a un coagulo di sangue. Ha definito questa versione “più o meno confermata”. È notevole: perfino l’intelligence ucraina adotta toni più prudenti della canea dei blogger russofobi sardi. In pratica, ha escluso un’esecuzione politica. Parole di uno che avrebbe avuto tutto l’interesse per mettere in cattiva luce il nemico moscovita. Nocco però ritiene di saperne di più. Che aspetta a tatuarsi la verità come Calenda? O almeno il nome di Sciaboledda Bomboi. O un grafico di Pigliaru.

𝟱𝗗𝘂𝗴𝗶𝗻𝗥𝘂𝘀𝗶𝗰𝗵 & 𝗰𝗼.: 𝗶𝗹 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝘀𝗽𝗮𝘂𝗿𝗮𝗰𝗰𝗵𝗶𝗼

Poi c’è la lunga tiritera su 𝗗𝘂𝗴𝗶𝗻, i neonazisti russi, il gruppo Rusich e altri elementi della destra russa.

Interessante, per carità; peccato che serva solo a un trucco: se conosco un filosofo tradizionalista russo, allora tutti quelli che criticano la NATO sono sospetti duginiani;

se esiste un battaglione neonazista pro-Mosca, allora ogni voce che chiede pace è “nazi-filo-putiniana”.

Nel mondo reale le cose stanno diversamente:

  • 𝗶𝗼 sono da anni tra i pochi in Italia a denunciare con nomi e cognomi i neonazisti 𝘂𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗶 spacciati per patrioti;
  • 𝗶𝗼 contesto la russofobia sistemica che trasforma un intero popolo in bersaglio;
  • 𝗶𝗼 difendo la libertà di parola anche per chi non la pensa come me, mentre gli ultras russofobi chiedono a gran voce che gli “eretici” vengano esclusi da sale, festival, media.

Il vero tratto totalitario, qui, non è in qualche oscuro pensatore russo: è nella pretesa occidentale di ridurre il discorso pubblico a 𝘂𝗻 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗼, quello di Kaja Kallas, di Ursula 𝘎𝘶𝘦𝘳𝘳𝘢𝘧𝘰𝘯𝘥𝘦𝘳𝘭𝘦𝘺𝘦𝘯, di Pina 𝘗𝘪𝘤𝘦𝘳𝘯𝘰𝘣𝘺𝘭 e dell’intero reparto marketing della russofobia industriale.

𝟲𝗜𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝘀𝗲𝗹𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗼𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 𝘂𝗰𝗰𝗶𝘀𝗶 𝗲 𝗔𝘀𝘀𝗮𝗻𝗴𝗲

Singolare poi che per Nocco e per il suo giro:

  • 𝗰𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗮𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 𝘂𝗰𝗰𝗶𝘀𝗶 𝗱𝗮 𝗜𝘀𝗿𝗮𝗲𝗹𝗲 in Gaza non meritino la stessa indignazione che riservano a una sala a Calasetta;
  • nessuno di loro si sia mai visto sotto i tribunali a chiedere la liberazione di 𝗝𝘂𝗹𝗶𝗮𝗻 𝗔𝘀𝘀𝗮𝗻𝗴𝗲: iniziative che invece 𝗦𝗶𝗺𝗼𝗻𝗲 𝗦𝗽𝗶𝗴𝗮 (quel “fascistone” a cui si dà del mostro) ha organizzato più volte assieme a me e tanti sinceri democratici, spendendosi con generosità;
  • nessuno apra bocca sul 𝗱𝗲𝗯𝗮𝗻𝗸𝗶𝗻𝗴, sulla chiusura arbitraria di conti correnti a dissidenti e media scomodi, sui casi Albanese, Baldan, Visione TV, Alina Lipp e molti altri.

In nome della “democrazia liberale”, questi signori tollerano e applaudono pratiche 𝗶𝗹𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝗮𝗹𝗶: censura di fatto, persecuzioni economiche, campagne di linciaggio mediatico. La loro bussola morale è semplice: ciò che fanno le attuali classi dirigenti occidentali è “difesa”, ciò che fanno gli altri è “disinformazione”. Una simmetria perfetta nella sua ipocrisia.

E poi vengono a dar lezioni di libertà a me, che da anni denuncio queste derive.

𝟳𝗟𝗼𝘀𝘀𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗰𝗵𝗶 𝘃𝗲𝗱𝗲 𝗹𝗮 𝗴𝘂𝗲𝗿𝗿𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗲̀

I miei post che tanto infastidiscono il Battaglione Papar’Azov hanno un filo rosso molto semplice:

  • spiegano come la categoria di “𝗴𝘂𝗲𝗿𝗿𝗮 𝗶𝗯𝗿𝗶𝗱𝗮” sia usata per bollare il dissenso interno, mentre sabotaggi e operazioni oscure dell’Occidente spariscono dai radar;
  • raccontano la trasformazione dell’Europa in una 𝗺𝗶𝗻𝗶𝗲𝗿𝗮 𝗮 𝗰𝗶𝗲𝗹𝗼 𝗮𝗽𝗲𝗿𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝘀𝗮 𝗹𝗲 𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗶 𝗺𝗲𝗱𝗶𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘂𝗻 𝘀𝘂𝗼𝗹𝗼 𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗽𝗿𝗲𝗱𝗮𝗿𝗲, sacrificata a un riarmo suicida per tenere incollato il legame vassallo con gli Stati Uniti;
  • denunciano gli apparati di 𝗰𝗲𝗻𝘀𝘂𝗿𝗮 𝗺𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮𝘁𝗮 – lo “Scudo per la Democrazia”, gli immensi flussi di denaro ai media allineati, la retorica sulla “resilienza” contro la disinformazione;
  • prendono sul serio le parole ciniche di gente come 𝗞𝗮𝗷𝗮 𝗞𝗮𝗹𝗹𝗮𝘀, che ragiona in termini di guerra totale “fino all’ultimo ucraino”;
  • ricordano che su Zelensky e sull’oligarchia ucraina io parlavo 𝗺𝗼𝗹𝘁𝗼 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 che i grandi giornali si accorgessero del livello di corruzione e di carneficina;
  • difendono chi paga davvero il prezzo della verità: Assange, i giornalisti indipendenti, gli intellettuali come 𝗔𝗻𝗴𝗲𝗹𝗼 𝗱𝗢𝗿𝘀𝗶 oggi sotto attacco.

Questa è la vera colpa, agli occhi dei piccoli cacciatori di “nazisti tra noi”: non ho cambiato posizione a seconda del vento, non ho ceduto alla moda della guerra, non mi sono fatto arruolare nel fan club di Zelensky e dei suoi sponsor. Quando loro erano a caccia di farfalle blu-gialle, 𝗚𝗶𝘂𝗹𝗶𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗖𝗵𝗶𝗲𝘀𝗮 𝗲 𝗶𝗼 raccontavamo il curriculum mafioso di 𝗜𝗵𝗼𝗿 𝗞𝗼𝗹𝗼𝗺𝗼𝗶𝘀𝗸𝗶, il padrino che finanziava i battaglioni nazistoidi ucraini nonché il 𝘣𝘳𝘢𝘯𝘥 prima televisivo e poi elettorale di Zelensky.

𝟴𝗖𝗵𝗶 𝘀𝘁𝗮 𝗳𝗮𝗰𝗲𝗻𝗱𝗼 𝗱𝗮𝘃𝘃𝗲𝗿𝗼 𝗺𝗮𝗰𝗰𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝗺𝗼

Chiudiamo il cerchio con Arendt.

Il cuore del suo pensiero è limpido: il male prospera quando le persone smettono di 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗴𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗴𝘂𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, quando rinunciano al giudizio critico e delegano la coscienza ai protocolli.

Ora chiediamoci:

è più vicino alla “banalità del male” chi organizza una conferenza pubblica su Gaza, sulla guerra, sulla libertà di informazione?

O chi pretende che esista un 𝘁𝗶𝗺𝗯𝗿𝗼 𝗶𝗱𝗲𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗼 per poter parlare in una sala comunale?

Chi difende la dignità di uno storico come d’Orsi contro la gogna di Calenda, o chi usa la parola “indegno” e “nazista” come manganello semantico?

Chi denuncia il nuovo 𝗠𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗲𝗿𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗩𝗲𝗿𝗶𝘁𝗮̀ europeo, o chi vi si arruola da volontario, pronto a certificare quali opinioni sono ammesse e quali no?

Il nuovo maccartismo non passa dai tribunali speciali, passa da articoli come quello di Nocco: 𝗱𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗿, 𝗹𝗶𝘀𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘀𝗰𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲, 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗻𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, 𝗿𝗶𝗰𝗵𝗶𝗲𝘀𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝗰𝗹𝘂𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗮𝗴𝗹𝗶 𝘀𝗽𝗮𝘇𝗶 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗶.

Un clima nel quale ogni pacifista è sospetto, ogni critica alla NATO è “ibrida”, ogni dubbio è “pro-Putin”. E in questo delirio si fanno ora trascinare l’ex presidente della Sardegna, Francesco Pigliaru, l’uomo più amato dal Qatar, e il suo ex assessore Paolo Maninchedda. Come “Niccolai in mondovisione”, tutto mi sarei aspettato nella vita tranne che vedere Maninchedda battere la grancassa per i No Pax, per i servi della Rheinmetall e di tutti i pescecani del riarmo e della censura.

Io a questo gioco non ci sto.

Continuerò a parlare, a scrivere, a presentare libri, a discutere con chiunque voglia un confronto 𝘃𝗲𝗿𝗼, non una scomunica.

Ringrazio l’amministrazione comunale di Calasetta per una cosa molto semplice e molto preziosa: non aver trasformato il loro municipio in un succursale del Ministero della Verità.

Al Battaglione Papar’Azov, invece, auguro di trovare un giorno il coraggio di fare ciò che oggi non osa: un dibattito pubblico, alla luce del sole, stando sui contenuti: senza scudi morali, senza etichette infamanti.

Nel frattempo, continueranno a cercare “nazisti tra noi”.

Ma, come insegnano la storia e la psicoanalisi, spesso chi vede mostri ovunque sta solo guardando nello specchio sbagliato. La differenza tra noi è semplice: io contesto il potere, loro chiedono di censurare chi lo contesta, perché lavorano per il re di Prussia, per il riarmo, per la caccia alle streghe. E poi parlano di “democrazia”. Come no?

Ha ragione Angelo d’Orsi. Ci possiamo organizzare per sconfiggere questi nemici della libertà. Per parte mia sarò ben lieto di spiegare questa battaglia a partire dall’assemblea pacifista di Oristano del 22 novembre.

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