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I forzati della precarietà

'Il futuro che non c''è. Storie di ordinaria precarietà sul lavoro. '

I forzati della precarietà
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2 Giugno 2013 - 17.33


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di Anna Lami

Monica ha 21 anni, un viso da bambina dietro ai grandi occhiali, il rossetto marcato ed una 600 piena di peluche. Lavora questo weekend all’inaugurazione del Pewex, un nuovo ipermercato a Ciampino. Fa la promoter. E siccome è la sua prima volta nel settore, è un po’ impacciata nel fermare la folla che prende d’assalto la nuova attività. Quelli che vede passare con addosso una giacca li chiama tutti “principali”, ai suoi occhi ci sono capi ovunque, anche se lei è un’esterna. Oggi ci sono le ragazze vestite da fatine che distribuiscono zucchero filato e uno sconto speciale dedicato ai disoccupati, che il giovedì pagano il 10% di meno. Migliaia gli avventori, lo speaker annuncia le ciliegie in offerta, mezzo chilo 99 centesimi, accorrete tutti. E ci sono decine di addetti ai reparti, mandati da altri centri di vendita.

Monica, è fidanzata con Roberto, poco più grande di lei, di mestiere scaffalista, cioè rifornisce gli scaffali dei supermercati, di giorno e di notte. Roberto è socio-lavoratore di una cooperativa, guadagna 4,90 euro netti l’ora. Nella sua busta paga solo una parte degli emolumenti figurano come ore lavorate, circa il 40% di quello che gli spetta è conteggiato come rimborsi spese ed indennità di trasferte chilometriche, anche se abita nelle vicinanze dei luoghi di lavoro. E’ la regola prima delle cooperative, uno degli escamotage più adottati per non incappare nella disciplina fiscale dei redditi dei lavoratori dipendenti e quindi risparmiare sui contributi da versare ai lavoratori.

Monica invece percepisce 40 euro al giorno, la domenica 45, le verranno corrisposti a “novanta giorni fine mese”, cioè a settembre. In realtà oggi ha guadagnato 30 euro, dieci li ha anticipati per comprare al mercato le scarpe nere “eleganti” richieste dalla divisa. Il suo è un contratto di collaborazione occasionale, una delle cinquanta o poco meno, sfumature di contratti ultra-precari esistenti in Italia. Se avesse avuto i soldi per l’Università, avrebbe voluto studiare psicologia, oppure pedagogia, oppure le sarebbe piaciuto diventare maestra. Non è arrabbiata con il mondo, non ha mai avuto santi in paradiso e poi quando andava alle superiori sentiva già parlare della crisi, forse è solo un po’ triste. La sua lista della spesa delle cose da chiedere alla vita è sempre più breve.

L’Italia è in recessione? Monica non sa cosa sia la recessione. Lo sai, Monica, che l’Unione europea ha fatto uscire l’Italia dalla procedura per infrazione delle regole di rapporto deficit/Pil? Monica ne ha sentito parlare ma non ha ben chiaro se questo cambierà qualcosa in meglio. “Non seguo molto la politica” dice. Monica ha votato Grillo alle scorse elezioni politiche. Lo ha votato perché le sembrava dicesse “cose giuste”. Però oggi fa un sorriso amaro. “Forse è stato inutile”.

Noemi ha 20 anni, lavora come commessa, ha un contratto a tempo determinato che scade tra un mese. Al bar ordina un caffè perché è il prodotto che costa meno. Vorrebbe andare in Australia ma non sa l’inglese, lo dice ridendo, e poi non saprebbe nemmeno che fare in Australia, ammette. E comunque “che ne so io, magari la crisi c’è anche in Australia”. Non ha mai votato in vita sua, perché diffida dei politici. Pensa siano “tutti bugiardi”. E’ convinta che sia sempre stato così, che i politici siano sempre stati “tutti bugiardi”, che anzi sia normale, e che comunque lei e quelli come lei non possano farci nulla.

Anche Noemi è fidanzata, con Francesco, 24 anni, cameriere in un bar di Ciampino. Lo apre alle 6.00 tutte le mattine. Francesco lavora in nero, come probabilmente un terzo dei camerieri di Roma e provincia, per cinque euro l’ora ma non si lamenta “perché c’è chi sta peggio”. Però per portare a casa Noemi deve stare attento perchè non ha pagato l’assicurazione della macchina. Legge Repubblica ed il Messaggero tutte le mattine, della crisi ha capito che c’è “la Germania che vorrebbe che i politici italiani spendessero meno.” E poi secondo Francesco “in Italia ci sono troppi privilegiati”. Gli chiedo cosa significhi essere un privilegiato, risponde che “in troppi vivono grazie alla politica e poi ci sono anche quelli che lavorano per lo stato e hanno lo stipendio sicuro”. Il fatto è, secondo Francesco, che “dovremmo scendere tutti in piazza, come fanno negli altri paesi d’Europa, ma gli italiani in piazza non ci vanno”. Nemmeno Francesco in realtà ha mai manifestato.

Una delle ragazze che si occupano del banco frigo si chiama Federica, 23 anni, studentessa fuorisede di Giurisprudenza, capelli biondi e occhiali di marca. Forse un po’ si vergogna a ripetere “se compri il latte ti regalo lo yogurt” e quindi prova a rassicurare me e se stessa, perché presto si laureerà ed allora cercherà qualcosa di meglio. Federica è abruzzese e lavora da due anni, di nascosto dai genitori. Loro le pagano l’affitto di una stanza sulla Prenestina e le danno duecentocinquanta euro al mese per bollette e viveri. Non le bastano, ma non vuol far preoccupare i suoi che di più non potrebbero comunque darle. Ha un contratto a chiamata con una agenzia di comunicazione di Prato, lavora dal giovedì alla domenica tutte le settimane, ma il contratto resta “a chiamata”.

Federica ha votato Grillo perché “almeno è diverso dai soliti partiti”. Ieri sera ha ascoltato i “moniti” di Napolitano sull’importanza dell’occupazione giovanile, ma non si fida del Presidente della Repubblica né di Enrico Letta. E nemmeno dei sindacati: “Parlano tutti allo stesso modo e non fanno niente”. Federica idealmente si definisce “di sinistra”. Negli scorsi anni ha partecipato a qualche corteo contro la Gelmini ma non ha mai pensato di frequentare attivamente nessun gruppo studentesco. “Quasi tutti parlano in modo troppo ideologico e mi sembrano un po’ troppo distanti dai problemi reali”. Le chiedo quali sono, secondo lei, le cause della crisi e in che modo pensa che ne potremmo uscire, risponde dicendo che di economia non ne sa tanto ma “sicuramente i banchieri hanno grandi responsabilità”. Poi dice ridendo: “ci vorrebbe una rivoluzione come quella francese”. Ma mica ci crede davvero che la risposta potrebbe non essere così campata in aria. Chi lo spiegherà a Federica e gli altri?

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