‘di Cecilia Attanasio Ghezzi.
In molti hanno notato che la Cina sta diventando il primo paese per  morte da stress. Addirittura Xinhua,
 l”agenzia stampa governativa, ha  pubblicato uno studio che la piazza 
al primo posto per stress da  lavoro tra tutti i paesi del mondo.  La 
chiamano guolaosi, morte per straordinari. In Cina si contano 
600mila morti all”anno, in prevalenza colletti bianchi che lavorano 
nelle grandi città.
Qualche giorno fa un ragazzo di 24 anni è morto di arresto cardiaco
 sul posto di lavoro. Aveva fatto straordinari per un mese di fila. Nei 
giorni scorsi altri tre operai della Foxconn – l”azienda taiwanese che 
produce per Apple e Nokia, balzata sulle cronache internazionali per la 
catena di suicidi del 2010- si sono suicidati buttandosi dal tetto 
dell”azienda. In molti hanno notato che la Cina sta diventando il primo 
paese per morte da stress. Addirittura Xinhua, l”agenzia stampa
 governativa, ha pubblicato uno studio che piazza la Cina al primo posto
 per stress da lavoro tra tutti i paesi del mondo.
Le chiamano guolaosi, morte per straordinari, e significativamente si scrive con gli stessi caratteri usati nella parola giapponese karoshi.
 È stato infatti il Giappone a scoprire il fenomeno, studiarlo e, dal 
1987, riconoscerlo in una diversa categoria di morte da lavoro. Negli 
anni in cui il Giappone devastato dalla seconda guerra mondiale si 
rimetteva in marcia con l”obbiettivo di ricostruire la sua potenza, fu 
chiamato addirittura “la nuova epidemiaâ€.
Si dimostrò che era impossibile per un uomo lavorare dodici o più ore al
 giorno per sei o sette giorni alla settimana. Anno dopo anno, 
l”individuo comincia a soffrire di danni permanenti, fisici e 
psicologici, la cui soluzione estrema è appunto la guolasi, morte per 
straordinari. Il Giappone poi nell”aprile del 2008 arrivò a una sentenza storica: un”azienda fu legalmente costretta a compensare un suo lavoratore caduto in coma per eccesso di lavoro con 200 milioni di yen.
Da allora sono cambiate molte cose. E la Cina, insieme al secondo posto 
nell”economia globale, ha strappato al Giappone il primato di morti per 
stress da lavoro. Le statistiche elaborate dalla multinazionale Regus e 
citate dall”agenzia di stampa governativa cinese Xinhua, parlano di 600mila morti all”anno, in prevalenza colletti bianchi che lavorano nelle grandi città. 
E bisogna considerare che non ci sono solo le morti. Sintomi acuti di stress da lavoro includono insonnia, anoressia e dolori addominali. Un sondaggio su mille individui tra i 20 e 60 anni condotto dal Global Times, spinn off in lingua inglese del Quotidiano del Popolo (o
 del Partito), dimostra come la maggioranza degli intervistati non li 
ritiene motivi abbastanza gravi per rivolgersi al medico. E così non è 
possibile stimare il numero di chi, anche se non muore di lavoro, soffre
 danni fisici.
Ci sono diversi studi in Cina che dimostrano che la maggior parte di 
cinesi non sono soddisfatti del loro lavoro, e recentemente un articolo 
del Financial Times ha sottolineato come gli studenti che si laureeranno quest”anno entreranno nel mercato del lavoro peggiore che la storia della Repubblica popolare cinese ricordi.
 E non saranno pochi. Secondo il Ministero dell”istruzione cinese 
quest”anno concluderanno le università quasi 7 milioni di studenti, 
190mila in più rispetto a quelli dell”anno scorso.
E i media locali sono preoccupati. Trovare lavoro nel 2013 è già 
parecchio difficile, più difficile ancora che alla fine del 2008 quando 
la crisi economica aveva raggiunto il suo picco. Un video che
 denuncia la situazione lavorativa che questi giovani si trovano ad 
affrontare è immediatamente diventato virale sulla rete cinese. Racconta
 storie individuali di giovani 25enni con lavori più che dignitosi.
 Ma in tutti cӏ un sentimento di ansia e di stress: soldi mai 
sufficienti, relazioni interpersonali difficili e straordinari senza 
fine che rubano il tempo alla vita reale. E nonostante questo nessuno di
 loro sente che un giorno sarà abbastanza “ricco†per comprarsi una 
casa, magari costruire una famiglia.
È un sentimento contrastante quello che provano, perché non si può dire 
che la Cina di oggi sia infinitamente più ricca e istruita di quella di 
anche solo cinque anni fa. Ma è allo stesso tempo più cara, più 
competitiva e, in un certo senso crudele. E chi lo denuncia è proprio 
quella classe media che se attualmente rappresenta il 10 per cento della popolazione è prevista arrivare al 40 entro il 2020. 
Sono quelli che hanno beneficiato della crescita e che per la prima volta si accorgono che forse non staranno meglio della generazione dei loro genitori a porre le problematiche sociali e ambientali. E saranno loro, forse, a costringere il governo a risolverle.
[Scritto per Rassegna; foto: Cecilia Attanasio Ghezzi]
Tratto da: [url””]http://www.china-files.com/it/link/29406/morire-per-troppo-lavoro[/url].
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